Nessuna lacrima plateale, nessun proclama intriso da contorni da drammaticità sportiva. Nulla di tutto questo, solo applausi sinceri, volti familiari in tribuna e quella dignità silenziosa che ha sempre contraddistinto la carriera di Albert Ramos Vinolas. Dopo quasi vent’anni nel tour, il mancino di Barcellona ha annunciato che il 2025 sarà il suo ultimo anno da professionista. Un commiato sobrio, coerente con il personaggio. Senza troppa scena, ma con sostanza. Come il suo tennis.A dare il “la” simbolico all’addio è stato il Trofeo Conde de Godó, il torneo di casa a Barcellona, quello che lo ha visto muovere i primi passi da junior e che lo ha accolto ancora una volta, da veterano, nel primo turno contro Holger Rune, grazie ad una Wild Card. Sconfitta in due set (7-5, 6-4), ma con la consueta tenacia. Quella che, se il fisico regge, ancora oggi gli permette di giocarsela con i più forti.
“Dopo Montecarlo non mi aspettavo di giocare così bene. Oggi è mancato pochissimo, forse un break nel primo set avrebbe cambiato tutto”, ha raccontato in un’intervista a Punto de Break; una riflessione pacata, senza fronzoli, ma lucida. La stessa lucidità con cui ha saputo prendere atto dei limiti fisici imposti dal tempo. “La pre season è stata durissima, poi in Sudamerica una lesione mi ha portato a un’osteopatia del pube. Ho capito che serviva troppo sforzo per mantenere il livello. Quando vinco, ora, faccio fatica a recuperare”.
Albert Ramos-Viñolas è stato un esempio raro nel tennis moderno, applicato alla terra rossa, la sua superficie: costanza senza clamore, umiltà senza debolezza, e una carriera costruita centimetro dopo centimetro, palla dopo palla. Best ranking al numero 17 del mondo (maggio 2017), una storica finale al Masters 1000 di Monte Carlo persa contro Rafael Nadal – il suo picco tecnico ed emotivo – e quattro titoli ATP in singolare, tutti rigorosamente sulla sua amata terra battuta. Ma il dato che più racconta la sua identità di specialista è questo: da quando esistono i tornei ATP 250, Albert è il giocatore ad aver vinto più partite sulla terra in questa categoria. Un maratoneta silenzioso del circuito, che non ha mai mollato un centimetro, quando il sudore si mischia alla terra rossa, sporcandosi e resistendo, in quel modo che rappresenta l’essenza anche drammatica di questi campi.
Nel suo tennis c’erano pochi fronzoli, ma molta sostanza: dritto carico, rovescio solido, un’abilità geometrica nel manovrare lo scambio, e quella capacità di fare della regolarità un’arma. Mai esplosivo, ma sempre affidabile. “Non ho mai avuto un servizio potente, ho sempre dovuto compensare con la preparazione fisica. Ma ora, quando mi alleno al massimo, iniziano a venir fuori i dolori”, ha spiegato con sincerità.
Ramos non ha ancora deciso quale sarà il suo ultimo torneo. Gli piacerebbe salutare anche Madrid, o magari giocare per l’ultima volta il Roland Garros, torneo che ha sempre sentito vicino per superfici e atmosfera. Ma la realtà, oggi, si chiama classifica. E anche le wild card non sono garantite. “Mi piacerebbe tanto Madrid, ma non so se mi inviteranno. Vedremo. Anche la qualificazione a Parigi mi piacerebbe. Però sono molto al limite”.
Fuori dal campo, Albert ha sempre mantenuto un basso profilo. Pochissima esposizione mediatica, niente teatrini da social network, e soprattutto una riservatezza che lo ha reso un profilo apprezzato nel circuito, specie tra gli addetti ai lavori. “Non ho mai avuto bisogno di riconoscimenti. Non ho l’ego per voler essere celebrato. Mi basta sapere di aver dato tutto”.
E forse è proprio questa la chiave per capire chi è stato Ramos Vinolas: un tennista che non ha mai chiesto nulla, ma ha sempre dato. Senza strappi, ma anche senza sconti. Senza palmarès luccicanti, ma con una costanza da ammirare. E con un’ultima, rara fedeltà: una carriera interamente condivisa con lo stesso allenatore, José María Díaz. Un sodalizio lungo vent’anni, che ha sfidato le mode e il turnover tecnico del tennis moderno. “Abbiamo iniziato da zero, senza esperienza, e siamo cresciuti insieme. Lui sa cosa penso solo guardandomi. Mi ha sempre aiutato a migliorare, con naturalezza. Gli devo tantissimo”.
E mentre il tennis prepara a salutare uno dei suoi lavoratori più onesti, viene naturale pensare che, in fondo, Albert Ramos Vinolas non sia mai stato un fuoriclasse della racchetta nel senso più tennistico, ma che invece lo sia stato in termini di professionalità ed abnegazione, e in un’epoca fatta di luci abbaglianti, a volte è proprio la costanza silenziosa a brillare più a lungo.