Djokovic ha sette vite, chi gli può negare il doppio triplete? (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)
Ancora, e ancora, e ancora. Come quando rimaneva per ore nascosto in cantina abbracciato all’adorato nonno mentre la Nato bombardava la sua Serbia. Anche sul campo da tennis, Novak Djokovic è allenatissimo alla resistenza, con l’elmetto calato sulla testa, in trincea, inchiodato fino al 6-7 1-4 dai traccianti di quel diavolo di Alexander Dolgopolov. «Quando sei incudine statti e quando sei martello batti», direbbero i saggi. Infatti, appena il genietto ucraino si rilassa in quel mulinare imprevedibile di braccia e gambe, abbassando quell’affascinante, imprevedibile, personalissimo samba di colpi di controbalzo, Djoker il campione elastico schizza fuori dall’inferno e porta in paradiso il match col 7-5 6-0 finale.
VOLONTA’ Il tennis del numero 1 del mondo non è frizzante e allegro come quello di «Dolgo», ma è essenziale e micidiale come quello di Ivan Lendl, anni 80. Non è istintivo e casuale, ma è deciso dalla forza di volontà. Nole, nato povero, senza sponsor e in un piccolo paese senza tradizione tennistica, è come «Ivan Drago», figlio dell’ex Cecoslovacchia, che fuggiva da mamma Olga e dalla grigia Ostrava. Non a caso, tutt’e due i campioni, un po’ meccanici ed esempi di professionalità, preparazione fisica e continuità, hanno vinto tanto: Ivan s’è fermato solo davanti all’erba di Wimbledon, Nole — finora — solo davanti alla terra del Roland Garros. Che l’attende a fine maggio da favorito, dopo i successi agli Australian Open e a Indian Wells, con la concreta possibilità di conquistare anche Miami, questa settimana. Primo di sempre a fare il bis, dopo l’impresa del 2011 quand’ha pareggiato il triplete di Pete Sampras 1994, di Andre Agassi 2001 e di Roger Federer 2006. Cui aggiungerebbe il record della terza accoppiata nei Masters 1000 «coast to coast».
FRUSTRAZIONE Anche Djokovic, come Lendl, perde la tramontana. E distrugge qualche racchetta. Anche lui rifiuta la parola sconfitta, semplicemente si oppone, di testa, a tutto quel talento che gli arriva da Dolgopolov e sembra travolgerlo. Così, dal 4-5 del secondo set, infila nove games, concedendo appena cinque punti su quarantuno al folletto di Kiev (tre nell’intero terzo set!). Per riproporsi come un incubo, nei quarti, a David Ferrer, che ha battuto le ultime sette volte, lasciandogli solo due set. Come sta il campione dalle sette vite? «In campo non mi sentivo molto fresco. Ero frustrato. Nel primo set non mi sentivo bene e ho perso la calma. Ho cercato un modo per rientrare nel match, lottando. Questi match in particolare mi aiutano a guadagnare fiducia e autostima perché non mollo fino all’ultimo punto e mando un messaggio agli altri giocatori». Così deve fare un numero 1 che è lontano appena 7 giorni dalle 141 settimane in vetta all’Atp Tour, come Rafa Nadal, sesto posto della storia, cioé dal 23 agosto 1973, quand’è nato il sistema di classifica del computer. «Ci tengo molto a queste statistiche storiche». Bravo veterano? «E’ tanto che gioco a tennis, sono un veterano. Torno sempre indietro, alla fanciullezza, ai primi tempi della carriera, ai sogni di diventare numero 1 (…)