Il tuo primo pensiero dopo il matchpoint.
Una sensazione indescrivibile, davvero, sto lavorando tantissimo e questi risultati sono il frutto di molti sacrifici. Sono anche contento di come ho giocato, a parte il primo set, ho comandato e cercato di crearmi occasioni già con il servizio.
Al prossimo turno adesso c’è Berdych, che vinceva il suo primo Masters 1000 quando tu avevi dieci anni. Come ti senti a dover affrontare un giocatore che magari fin ora hai visto solo in tv?
Non vedo l’ora. Sarà un banco di prova importante, in cui non avrò nulla da perdere, e anzi mi servirà per imparare e capire cosa mi manca per poter star dietro a giocatori del genere. Berdych è nei primi dieci da anni ormai, è un modello.
Parlaci un po’ di te: i tuoi inizi, la tua famiglia, il tuo staff.
Sono nato ad Alessandria, dove mi sono allenato fino a sedici anni: poi dopo un’estate un po’ travagliata mi sono spostato a Bra, dove ho iniziato a lavorare con Massimo Puci e i suoi collaboratori. Credo quello sia stato un vero colpo di fortuna, perché di fatto sono loro che mi hanno fatto nascere e crescere tennisticamente. In famiglia nessuno giocava a tennis, mio fratello Marco lo ha praticato fino a quindici anni prima di dedicarsi del tutto agli studi, è stato lui a farmelo conoscere.
Quali credi siano i colpi con i quali puoi reggere il confronto con i big, e quali quelli su cui devi lavorare?
Servizio e dritto sono già abbastanza soddisfacenti, riesco a gestirli in modo da comandare il gioco. Di sicuro devo lavorare ancora parecchio, sopratutto sull’aspetto fisico, che è quello in cui i migliori sono senz’altro uno o due passi avanti.
Hai hobby?
Mi piacciono i romanzi gialli, nessun autore in particolare. E preferisco la musica commerciale.
Hai festeggiato indicando il cielo, era una dedica particolare?
Un pensiero rivolto a mia nonna Dina, che mi guarda in ogni momento, bello o brutto che sia.
Con Puci hai lavorato molto sul servizio, vero?
Sì, è l’aspetto che più abbiamo modificato; prima partivo con i piedi troppo distanti, quindi ho dovuto modificare il lancio di palla e il movimento per arrivare a piegarmi con i piedi uniti. All’inizio è stata dura, ma penso siamo sulla giusta strada.