Clerici G. (2013), Wimbledon. Sessant’anni di storia dal più importante torneo del mondo, Mondadori.
Nel recensire un libro di Gianni Clerici si può commettere un solo fatale errore: pensare di poter esprime giudizi sull’autore. Parliamo, infatti, di un giornalista e scrittore che è stato in grado di creare arte partendo dalla cronaca sportiva; del resto, egli stesso ha ammesso di aver capito da giovanissimo che avrebbe potuto mettere a segno molti più punti con la penna che non con la racchetta. Clerici enfatizza questo aspetto già dall’introduzione del libro: voto 9 in un tema di terza elementare sul suo primo viaggio a Wimbledon, l’eccellenza per i compiti di un bambino. Tale momento viene comparato con l’eliminazione al primo turno del suo primo e unico match da singolarista al torneo londinese, sul campo numero 16 dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club nel 1953, contro uno sconosciuto giocatore jugoslavo, il “minimo sindacale” per un giocatore professionista.
Wimbledon è una raccolta dei migliori articoli scritti da Clerici dal 1953 al 2012 in diretta dai campi del torneo di tennis per eccellenza. Riga dopo riga, anno dopo anno, il lettore, non solo si trova a conoscere i dettagli storici e statistici dei principali match, ma viene “fisicamente” catapultato tra il pubblico del campo centrale, assaporando sia la delusione nell’assistere a una finale mediocre, come quella tra Jan Kodes e Alex Metreveli del 1973, sia l’emozione di rimanere senza fiato per la tensione e l’adrenalina che hanno caratterizzato la finale del 2008, dove Rafa Nadal, battendo Roger Federer, si è proclamato nuovo Re di Wimbledon. Inoltre, tutto il fascino, la tradizione e il glamour del club più esclusivo del mondo sono sottolineati in ogni descrizione del pubblico e degli addetti ai lavori. L’atmosfera è da garden party, lieta quanto i colori delle toilettes e dei cappellini delle signore, che costituiscono i tre quarti del pubblico.
Ma il libro non è solo un susseguirsi d’incontri, racconta storie. Storie di rivalsa sociale, come fu in bassi tempi di razzismo quella di Althea Gibson, che da un ghetto di New York si ritrovò a danzare con il duca di Devonshire; storie d’interessi “politici” ed “economici”, celati nel falso dilettantismo degli anni ’60; storie d’amore e gossip, dietro alle centotrenta appassionate lettere ricevute da Adriano Panatta nel 1972; storie di femminismo, quale il tentativo delle giocatrici di raggiungere nel 1976 la “parità di racchetta”, ovvero l’uguaglianza di trattamento economico tra i sessi almeno sui campi da tennis (obiettivo, peraltro, non ancora del tutto raggiunto, ndr); storie di eventi fuori programma, come lo striptease della biondona fan di Krajicek durante la finale del 1996; storie di amore e odio tra sorelle, nell’eterno duello tra Venus e Serena Williams negli anni 2000.
Inoltre, un piacevole e continuo intramezzo tra gli articoli è la rubrica “Dintorni”: biografie dei migliori o dei più interessanti tennisti della storia, rivisitate dal grande scriba, nonché racconti di tennis avvenuti lontano dai campi londinesi. Da leggere e rileggere il dialogo tra Gianni Clerici e una pallina da tennis a pag. 383. Guardo meglio e, incastrata in uno sporco traliccio d’acciaio, vedo una cosa gialla, pelosa, che geme. Allungo la mano con cautela, la sfioro, e quella ancora geme, in un inglese soffocato: “Tirami via, tirami fuori di qui”. L’ho fatto. Era una palla da tennis.
Un cameo e un elogio al tennis che fu. Wimbledon è un libro interessante per tutti i lettori: per chi non ha mai seguito con attenzione il tennis e vuole una guida completa del torneo che meglio lo rappresenta; per chi è già un appassionato e malato di statistiche e primati; ma soprattutto per chi, guardando ogni partita del Centre Court in TV, sogna di poter sedere un giorno su quelle tribune, assaporando fragole e panna tra un servizio e una volée. Tutto questo perché da quando si apre la prima pagina è come se si aprissero davanti al lettore le porte del All England Lawn Tennis and Croquet Club.
Manuel Calcaterra & Chiara Gheza
P.S. È consuetudine che ogni recensione che si rispetti debba essere critica nei confronti di almeno un aspetto dell’opera commentata. Ci abbiamo provato ma non ci siamo riusciti. Quando la poetica di uno dei più grandi scrittori di sport della storia si confronta per sessant’anni consecutivi con uno dei più importanti eventi sportivi del mondo, si può solo ringraziare.
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