Alla vigilia dei “Championships”, riproponiamo un’analisi tecnica generale del tennis su erba
Che il gioco su erba sia differente e peculiare rispetto a quello che si svolge su tutte le altre superfici è cosa nota, ma negli ultimi dieci/dodici anni la faccenda si è decisamente evoluta e modificata riguardo agli aspetti puramente tecnici ed esecutivi. Dividiamo, per esemplificare, quello che avviene prima dell’impatto con il colpo da quello che avviene dopo: la fase uno è costituita dalla ricerca della palla, dal footwork, dal backswing di preparazione; la fase due concerne quello che esce dalla racchetta, quindi la traiettoria, la rotazione e la velocità della palla, e il conseguente rimbalzo sul campo.
Fino all’inizio degli anni 2000, l’aspetto più importante, che faceva la differenza maggiore sui campi di erba, era la fase 2: grandi servizi, volée incisive con il taglio sotto, tutti i colpi con rotazione all’indietro e laterale (le esecuzioni slice, sia con i rimbalzi che con il servizio), e in generale una grande reattività e capacità di produrre colpi anticipati e poco liftati consentivano anche a giocatori relativamente pesanti e non mobilissimi di ottenere grandi risultati nei tornei sul “verde”. Questo avveniva per l’estrema rapidità, e bassissima restituzione dei rimbalzi, tipici dell’erba “classica”. Abbiamo quindi potuto vedere giocatori certamente esplosivi ed estremamente agili, oltre che chiaramente dotatissimi di manualità specialmente nel gioco di volo, vincere molto applicando la strategia del serve&volley, pur apparendo deficitari nel footwork da fondocampo. L’esempio più evidente di questo tipo di tennista è Boris Becker (così come Richard Krajicek, o Mark Philippoussis).
Ovviamente unire all’efficacia della combinazione servizio-volée anche la rapidità di piedi e l’esplosività e la coordinazione degli scatti brevi è ancora meglio, e qui l’esempio di campione da erba completo è Pete Sampras, ma si riusciva a specializzarsi e ad essere competitivi sui prati anche essendo degli “armadi” che basavano tutto sul talento nel tocco e sulla potenza muscolare, senza essere delle lepri nella copertura del campo, come appunto era Becker (il quale, aggiungendo il bonus di un’agilità da portiere di pallamano a rete, è stato per anni uno dei migliori a Londra).
Per i cosiddetti “arrotini” dell’epoca, che potevano anche essere “speedy gonzales” in difesa da fondocampo, nessuna speranza di eccellere su tale superficie: la loro fase 2, che produceva liftoni carichi di top-spin letali sulla terra rossa, non riusciva a far male agli avversari in nessun modo, la presa western era un autentico handicap sulle palle basse e sfuggenti rendendo impossibile passare e difendere in modo incisivo, e la disabitudine al gioco di volo era un “buco” tecnico incolmabile. Abbiamo così visto campioni del Roland Garros come Thomas Muster e Sergi Bruguera totalmente incapaci di esprimersi nello Slam londinese, incappando in sconfitte precoci, e arrivando perfino a disertare il torneo.
Come detto, dopo la “rivoluzione” dei manti erbosi di Wimbledon, che ha portato la superficie a una restituzione del rimbalzo molto maggiore, e a una conseguente ridotta efficacia dei colpi tirati con poca rotazione in top-spin, la fase 2 ha iniziato ad avere sempre minore peso nell’economia del gioco, perchè si è cominciato a riuscire a colpire bene anche con prese western, e ad essere efficaci anche con la pressione da fondocampo senza essere necessariamente costretti alla ricerca della rete il prima possibile.
A questo punto, e siamo arrivati ai giorni d’oggi, la vera differenza la fa la fase 1: in particolare, il footwork e la tecnica di approccio alla palla. Certamente l’erba rimane la superficie più rapida, dopo la scomparsa dei carpet indoor anni ’90, e aperture veloci e contenute, così come l’efficacia del servizio specialmente in slice, e la manualità nelle variazioni in back e nei tocchi a rete, sono qualità importanti e spesso decisive, vedi Roger Federer. Ma se si è capaci di arrivare ben coordinati sulla palla anche un gioco standard di potenza e top-spin da fondo, magari con qualche aggiustamento di ritmo e anticipo più che di esecuzioni vere e proprie, è tranquillamente sufficiente per vincere, come hanno dimostrato Rafael Nadal, Novak Djokovic e Andy Murray.
Non a caso, i quattro giocatori appena citati, che si sono spartiti le ultime dodici edizioni del torneo (sette Federer, due Nadal, due Djokovic e 1 Murray), oltre a essere i campionissimi che sono, hanno in comune una perfetta tecnica degli spostamenti. Anche sull’erba, facilitati (o costretti) dalle caratteristiche che i campi hanno oggi, interpretano un tennis prevalentemente di spinta da fondocampo, più vario e propositivo di tutti Roger, ottimo nelle variazioni anche Andy, meno diversi rispetto al gioco abituale da terra e cemento Rafa e Nole: ma ognuno di loro è un esempio magnifico di coordinazione e rapidità di piedi.
Perché l’erba potrà anche essere rallentata, e i rimbalzi più alti, quanto si vuole: rimangono comunque campi dove azzardare una scivolata significa nel migliore dei casi finire a gambe all’aria, e nel peggiore farsi male, dove il baricentro basso è imprescindibile, dove per chi si muove con falcate ampie ogni traiettoria subìta in contropiede è letale, e i baby-step (passetti numerosi e velocissimi) nell’approccio al colpo sono l’unica possibilità di rimanere coordinati e trasferire correttamente il peso sulla palla. Il migliore in assoluto da questo punto di vista è Andy Murray, anche Roger Federer è ottimo come coordinazione, i “maestri” del contrattacco e della tenuta da fondo Nadal e Djokovic rimangono eccellenti ma un piccolo gradino sotto, basando molto del gioco di gambe su potenza ed elasticità piuttosto che sulla rapidità e leggerezza dei passi.
Non è facile fare pronostici, quest’anno come sempre potrebbe vincere un giocatore a tutto campo, un attaccante, un muro con i rimbalzi: ma certamente, chi arriverà in fondo sarà uno che si sa muovere davvero bene, a prescindere da come e con quanta e quale rotazione colpisca la palla.