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Non ci sono state grandissime sorprese, al di fuori della batosta presa (6-2 6-0) dalla Suarez Navarro dalla lettone che vinse qui il torneo junior l’anno scorso, Jelena Ostapenko, figlia di una tennista di buon livello dell’ex Unione Sovietica (Jelena Jakovleva) e di un portiere di serie A dell’Ucraina (non meglio identificato…) e che abbiamo intervistato in esclusiva per Ubitennis. La Ostapenko ha goduto di una wild card proprio per aver vinto il torneo un anno fa, ma è appena n.140, non aveva mai battuto una top 50 e vantava un paio di vittorie su top 100 (Smitkova, Wickmayer, Peer) e… una sconfitta in tre set con la Flipkens. La Suarez Navarro, n.9, non è una specialista dell’erba, tuttavia ha comunque raggiunto qui una volta gli ottavi, e soprattutto il fatto che abbia fatto appena due games con una ragazzina – per quanto dotata – è abbastanza clamoroso. Ci ho scambiato una velocissima battuta e mi ha detto che non aveva alcun problema fisico.
Anche Tommy Robredo, ha perso nettamente; tre set a zero e punteggio ascendente con il qualificato australiano Millman, n.120. Gli australiani, anche se hanno abbandonato l’erba nella maggior parte dei loro tornei, sull’erba sono spesso pericolosi: per via del vento presente in molte loro città si lanciano la palla bassa – proprio il contrario dei cechi: pensate a Lendl, Berdych… – e tendono ad attaccare più che a restare a fondocampo. Vedi anche Kyrgios. Che non ha avuto problemi con un argentino tipico: Schwartzman, fino a che non si è un po’ distratto: 6-0 6-2 7-6. Mi ha sorpreso un po’ in negativo la sconfitta di Kokkinakis infatti, anche se Leo Mayer è un argentino… anomalo che ha vendicato Schwartzman.
Djokovic ha regolato Kohlschreiber quando doveva: tre set fotocopia. Sempre 4 pari, sempre Djokovic che teneva il servizio per salire 5-4 e sempre il tedesco che lo perdeva nel decimo game. Ci sono state due maratone, quella persa dal vecchio leone Lleyton Hewitt, ex campione qui nel 2002, battuto solo 11-9 al quinto – vedi articolo dedicato – e quella vinta da Fernando Verdasco 13-11 al quinto sullo slovacco Klizan nella battaglia tutta mancina.
Per quanto ci riguarda se non ci fosse stato un derby italiano, quindi con un nostro connazionale obbligato a vincere, avremmo perso tutti gli incontri, quattro su quattro quando giocati contro avversari stranieri. Solo la Errani ha raggiunto il secondo turno dei cinque connazionali in gara questo lunedì. Ci è riuscita a spese della Schiavone che si è presentata in sala stampa con un suo “discorsino” scritto di cui vi abbiamo dato altrove nel sito l’estratto. Val la pena leggerlo, è il… “dopo Schiavone tennista” e “l’ante-Schiavone” che si prefigge di fare quel che il tennis italiano non ha saputo fare: formare coach all’altezza in un Paese che non li ha avuti se no Francesca, Flavia, Sara, Fabio, non sarebbero stati costretti a cercarseli all’estero… tirar su dei giovani che possano sfruttare la loro esperienza, visto che nonostante i ripetuti successi in Fed Cup, dietro alla generazioni delle ragazze vincenti, non si intravede al momento il ricambio sperato. Nei tornei junior le nostre perdono sempre subito e se non fosse per la Giorgi, altra tennista che di italiano ha solo la nascita e non il coach, saremmo messi malissimo. La Schiavone, non so quanto consapevolmente, ha messo il dito nella piaga, raccontandoci il suo progetto. Ha spiegato, dopo averlo vissuto da tennista negli ultimi 15 anni: “Il mio obiettivo intanto è raggiungere il record degli Slam consecutivi, oggi sono a 60…”. La giapponese Sugiyama, contro la quale Francesca disputò un match infinito durato 4 giorni con nove interruzioni per la pioggia all’US Open di tanti anni fa, ne ha giocati 62. Questo vuol dire che Francesca se vuole arrivare a 63 dovrà giocare almeno i prossimi US Open, Australian Open e Roland Garros. Probabilmente se dovesse uscire di classifica dalle top 100 dovrebbe contare su una wild card, ma sono sicuro che ovunque gliela darebbero, più che ovunque al Roland Garros.
Prima di tornare sul “progetto Schiavone” – che è poi l’idea di costruire una “tennis academy” per tirar su finalmente qualcuno, sia coach sia giocatori (“Non solo ragazze eh, anche ragazzi, ma siamo ancora a livello embrionale, devo trovare un gruppo di persone – investitori? – che vogliano collaborare”), qualche riga sulle sconfitte italiane di primo turno. Prima di tutto Flavia Pennetta. Beh, qui a Wimbledon c’è il nostro massimo specialista di tennis femminile, AGF: leggete lui e capirete tutto quel che è successo e perché. Inutile che io aggiunga granché: solo osservo che sempre più spesso Flavia cala nel terzo set. Oggi addirittura per 4 games di fila. Poi è vero che si è ripresa. Ma rimontare un set da 0-4 è uno stress che costa caro. Raramente si porta a casa la partita. Sia Flavia sia Francesca rifiutano sempre ostinatamente di attribuire ad un calo fisico le loro sconfitte al terzo set. Ma io credo che l’età abbia il suo peso. 35 anni Francesca, 33 Flavia, quando fa caldo come faceva qui a Wimbledon sotto il sole e su una superficie che, a detta di Sara Errani, ti stanca molto più che la terra rossa – “E’ un problema di appoggi, di muscoli, di come ci si deve costantemente piegare” – è dura combattere contro l’anagrafe. Di Roby Vinci, 32 anni, ho praticamente visto, non avendo il dono dell’ubiquità, soltanto che era sempre indietro nel punteggio, sia nel primo sia nel secondo set, anche se nel secondo aveva recuperato. Però nella sua intervista ha spiegato diverse cosucce, compresa una certa mancanza di fiducia, e la decisione di non proseguire a giocare il doppio una volta che avrà cessato l’attività come singolarista. “Non penso davvero con Karin di dover sfidare i risultati raggiunti insieme a Sara, sarebbe impossibile”. Peccato abbia perso… anche perché avrebbe potuto dare vita contro Sara Errani ad un altro derby, dai risvolti abbastanza interessanti visto il clamore che seguì al loro divorzio annunciato con tanto di comunicato stampa.
Mi resta da dire qualcosa su Simone Bolelli, ancora una volta arresosi solo al quinto set a Kei Nishikori, come un anno fa (ma l’anno scorso il match fu giocato in due manche, in due giorni). Contro Baghdatis nei quarti di Nottingham meno di una settimana fa non era stato capace di conquistarsi una palla break (e aveva perso 64 64) e contro Nishikori ha giocato un bel match, ma alla fine nel quinto set non è stato capace di impensierirlo sui suoi game di servizio. Eppure il giapponesino, migliorato ancora da fondocampo (“Non mi dava tempo, anticipa tantissimo, gioca meglio di un anno fa, da fondocampo non gli facevo il punto”) non ha il servizio di Karlovic. “Devo migliorare nella risposta, ne sbaglio troppe anche sulle seconde palle dell’avversario, e negli spostamenti”. Per carità Simone sembrava uscito dal grande tennis per via dei suoi ripetuti infortuni ed è già un piacere ritrovarlo competitivo (“Credo di valere più della mia classifica, n.55 Atp…” ) ma insomma l’8 ottobre compirà 30 anni. Non è più un pivellino. Difficile credere che possa fare miracoli, anche se ogni tanto certi suoi match – tipo quello con Troicki a Parigi – illudono.
Lasciate le triste note italiane, non senza palesare un po’ più di ottimismo per la seconda giornata dei Championships. Seppi deve battere l’australiano “new brit” Klein, n.177 anche se degli australiani ho detto sopra che occorre sempre diffidare sull’erba, idem la Giorgi n.32 sulla Pereira n.77, e forse anche la Knapp n.43 sulla Rybarikova n.65… Ho sempre timore a sbilanciarmi su Fognini sull’erba anche se Smyczek n.77 dovrebbe essere davvero alla sua portata se non si fa innervosire da qualche chiamata dubbia e non eccede nelle “fogninate”. Vanni ringrazia il suo santo protettore per essere entrato in tabellone grazie a Ferrer – evitando Djokovic grazie al ritardo con cui Ferrer si è ritirato – e in fondo con Ward può giocarsela: gli sta dietro due posti in classifica, lui è 113 e Ward 111, ma chissà quante partite ha giocato Ward sull’erba: 50? 75? Luca è alle prime esperienze erbivore invece. Sarà dura, molto dura, anche se con il servizio che ha può far match equilibrato, se ci crede. Lorenzi con Vesely invece lo vedo proprio male. Insomma con sei italiani in gara oggi ci potrebbe scappare anche un 4-2 a favore, però un 3 a 3 non sarebbe un disastro.
La cosa più… promettente della giornata per noi italiani è legata all’annuncio di Francesca Schiavone che sta già pensando a quando avrà superato il record dei 62 Slam consecutivi della Sugiyama per mettere al servizio di giovani talenti – “Ci sono, ci sono” ha continuato a ripetere – la sua esperienza di giocatrice. “Non sono ancora una coach, spero di saperlo fare, ma soprattutto vorrei creare in Italia anche quel che non c’è stato a sufficienza: bravi allenatori. Qualcuno ce n’è, ma se ce ne fossero stati di più, noi non saremmo andate tutte, io, Flavia, Sara (e avrebbe potuto aggiungere Fognini…) in Spagna”.
Francesca non si è probabilmente resa conto di aver detto quanto su Ubitennis scrivo da tempo immemorabile, spesso deriso dai filofederali. Questo dei coach di livello è stato un problema che la nostra FIT ha fortemente trascurato. Non l’ha considerato, né Galgani prima, né Binaghi poi in 40 anni di gestione combinata fra i due (salvo brevi commissariamenti) una priorità.
Qualche coach bravo c’era ma non era disposto a subire condizionamenti politici: penso ad Alberto Castellani, Riccardo Piatti, Claudio Pistolesi, Massimo Sartori, per citarne solo alcuni che hanno preferito occuparsi di giocatori stranieri per non avere a che fare con una federazione che preferisce le passerelle televisive (su Supertennis e non solo) a fatti più concreti.
Se non è mai uscito nessuno da Tirrenia un motivo ci sarà secondo voi o no? Niente. Se uno lo scrive significa che è pregudizialmente contrario a chi ha la responsabilità tecnica di quel centro, e politica nell’ideazione dello stesso. In tutti i Paesi del mondo questi centri d’allevamento non hanno funzionato. Salvo forse che in Francia dove non mettono soldi dove non devono metterli, ma li indirizzano con intelligenza.
Ovunque hanno funzionato i team privati, vedi Spagna, “dove i coach parlano fra loro, collaborano, si aiutano – ha detto Francesca Schiavone – mentre in Italia un coach dice “Queso ragazzo è mio” e tiene nascosto ogni cosa. Va cambiata anche questa mentalità!”.
Beh, non so come andrà a finire questo progetto della “Schiavo”. Non so se anche al suo progetto qualcuno cercherà di metterci sopra il cappello. Condizionandolo. Con i soldi si condizionano molte cose, media, critica, progetti. L’unica cosa che non manca a questa FIT sono i soldi. E questo è un merito sicuro di Binaghi, anche se magari i circoli si sono sentiti strangolati da certi balzelli abbastanza ingiustificati.
Ma quel che ha detto la Schiavone, con toni pacati e non da denuncia, nasconde invece la denuncia implicita di un fallimento quarantennale che nemmeno i successi delle ragazze (e più negli Slam, date retta, che nelle Fed Cup dove le avversarie non erano mai tutte…) sono stati tramutati in semine produttive. Non c’è stato quello sviluppo che un buon manager avrebbe dovuto procurare perché non si è stati in grado di fare la giusta analisi. L’ho scritto mille volte e mi stavo stufando di ripeterlo. Mi fa piacere che adesso da un pulpito che non è il mio, quello di Francesca Schiavone che pure dalla nostra FIT è stata non poco gratificata allorquando vinse il Roland Garros nel 2010 con quel premio esagerato (400 mila euro dopo che aveva vinto lì già un milione ad aggiungersi ai 7/8 già guadagnati di soli premi), io abbia sentito dire esattamente le stesse cose che ho sempre sostenuto. È una questione di priorità. Per anni questa FIT, e le precedenti sia chiaro, hanno sottovalutato l’importanza di creare una buona scuola maestri, e da quella estrarre una buona scuola di coach internazionali mandandoli in giro a farsi esperienze che non potevano essere solo a loro rischio totale.
Come Francesca, se ci parlaste, la pensano anche Sara, Flavia e tutte le altre ragazze. Che pure, da un lato, non potevano certo mettersi a criticare apertamente – come per fortuna posso fare io – chi le ha spesso aiutate economicamente in maniera importante. Ma soltanto dopo che si erano “costruite” da sole il loro livello, con i loro coach stranieri.