Serena contro Sharapova, Serena contro Safarova, Sarena contro Muguruza. Melbourne, Parigi, Londra. Williams è la costante del tennis femminile del 2015, e più la stagione si sviluppa, più diventa difficile pensare a vincitrici alternative. A Wimbledon la nuova sfidante sarà una giovane giocatrice spagnola (nata l’8 ottobre 1993) che si è fatta conoscere al mondo l’anno scorso quando compì proprio l’impresa di battere Serena al Roland Garros con un perentorio 6-2, 6-2 che decretò l’inatteso fallimento della campagna di Francia 2014 da parte della numero uno del mondo.
E così i Championships propongono di nuovo una giovane speranza come protagonista della finale, in modo non tanto diverso da quanto era accaduto l’anno scorso con Eugenie Bouchard. Allora ci pensò Petra Kvitova a ridimensionarne bruscamente le ambizioni, causando probabilmente una fase di doloroso disincanto per la stella nascente canadese. Sabato in finale si potranno mettere alla prova la resistenza e il carattere di Muguruza. L’impresa è di quelle al limite del possibile, ma, secondo me, rispetto a Bouchard Garbiñe parte con un elemento di vantaggio: nessuno ha già pensato di fare di di lei la nuova figura di riferimento della WTA, con tutto quello che ne consegue in termine di pressione.
E poi, visto che affronta Serena, nessuno riterrà che se dovesse perdere, anche nettamente, il suo torneo sarà un fallimento. Perché, comunque vada, di aspetti positivi Muguruza ne ha mostrati diversi. Intanto è arrivata all’atto finale passando attraverso un tabellone che non le ha fatto sconti: Lepchenko, Lucic, Kerber, Wozniacki, Bacsinszky, Radwanska. Significa che è stata capace di eliminare le tre migliori giocatrici di difesa della WTA (Kerber, Wozniacki, Radwanska).
Poi ha mostrato di avere un carattere tosto, che le ha consentito, ad esempio, di vincere un primo set durissimo contro Kerber (14-12 al tiebreak), o di risollevarsi dopo avere subito un parziale di sei game a zero contro Radwanska; parziale che avrebbe invece potuto trasformarsi in un K.O definitivo.
Ma soprattutto vorrei sottolineare come nel corso del torneo sia emersa la sua capacità di adattarsi sempre meglio all’erba; nel match contro Aga credo si sia capito perché Muguruza ha fatto tanta strada sui prati inglesi: riesce a giocare molto compatta, ha gambe fortissime che le consentono di piegarsi molto (l’erba lo richiede più delle altre superfici) e colpire con forza anche le traiettorie più basse, raccogliendosi in un movimento potente ed efficace. Sul piano della pura forza fisica e della corporatura è una delle tenniste che concede meno a Serena. Non che questo in sé possa bastare, ma se non altro dà l’impressione di non partire spacciata già al momento del lancio della monetina, quando le due contendenti si presentano una accanto all’altra con il giudice arbitro. Perché i casi sono due: o si nasce con il talento stratosferico di Justine Henin o se no avere una buona dose di forza fisica da contrapporre a Serena può essere di aiuto.
A mio avviso nella partita contro Radwanska Muguruza ha finito per prevalere per una ragione banalissima: è stata in grado di praticare un livello di gioco superiore in diverse fasi del match. Quando ha mostrato il suo miglior tennis ha staccato l’avversaria, che invece si è rifatta sotto nei momenti di calo. E contro Serena occorrono giocatrici capaci di picchi di gioco straordinari, altrimenti il risultato è già scritto. E’ impossibile, infatti, che Serena si presenti distratta in una finale tanto importante, ad una sola partita dall’ottenimento del cosiddetto “Serena Slam” (vincere i quattro major di fila) e ad un solo torneo dal Grande Slam (vincere i quattro major nello stesso anno).
Pur avendo perso, anche Radwanska ha ragioni per essere soddisfatta; dopo la finale di Eastbourne (un torneo però disertato da molte giocatrici di vertice) ha confermato un recupero nella solidità mentale e probabilmente anche nel fisico. Per il momento le grandi giocate, le invenzioni, i colpi di genio che le hanno consentito di arrivare al numero due del mondo non posso dire si siano riviste con costanza. Ma rispetto alla condizione di qualche settimana fa rimane comunque un progresso estremamente confortante.
In ogni caso Aga rientrerà in top ten (al numero 7 se vincerà Serena all’8 se vincerà Muguruza) e il ritorno tra le elette ha un valore sia concreto (essere teste di serie alte dà vantaggi) sia simbolico.
E insieme a lei fa l’ingresso in top ten, per la prima volta anche Muguruza. Sarà numero 9 se perde la finale, numero 6 se la vince. E dato che al 10 ci sarà di sicuro Carla Suarez Navarro, la Spagna ritrova, dopo quindici anni senza alcuna presenza, una coppia di giocatrici contemporaneamente. Proprio come era successo nel periodo di Arantxa Sanchez e Conchita Martinez.
Pensando a Conchita Martinez non si può non citare la sua vittoria a Wimbledon 1994 in finale contro Martina Navratilova. Che una spagnola formatasi sulla terra potesse vincere Wimbledon pareva impossibile. Muguruza potrebbe sperare in un ricorso storico, anche se rispetto ad allora c’è una differenza sostanziale: è vero che Martina aveva già in bacheca nove vittorie a Wimbledon, ma nel 1994 Navratilova aveva quasi 38 anni, era numero 4 del ranking (dietro Graf, Sanchez e proprio Martinez) e si sarebbe ritirata dal singolare a fine anno. Williams invece ha quattro anni di meno e spadroneggia ai vertici della classifica mondiale.
Nella seconda semifinale Serena ha nuovamente sconfitto Sharapova, portando a 18-2 il dato degli scontri diretti e allungando a 17 la striscia di successi consecutivi contro Masha, con la quale non perde da 11 anni. Già questi numeri fanno capire quanto fosse chiuso il pronostico, ma in questa occasione particolare aggiungerei che Sharapova si è presentata in condizioni di forma inferiori rispetto ai suoi standard. Era un po’ tutto il torneo che giocava con meno spinta del solito, spesso difettando in profondità; contro Vandeweghe in alcune occasioni ho avuto l’impressione che aspettasse l’errore dell’avversaria. Tutte cose non da vera Sharapova. Che sia riuscita comunque ad arrivare sino alla semifinale dimostra secondo me la sua capacità di raccogliere il massimo dalle situazioni, grazie alla grande esperienza e forza mentale. Ma contro Serena non poteva bastare.
Nella conferenza stampa di fine match Serena ha dichiarato ai giornalisti che se vincerà o perderà la finale di Wimbledon non cambierà granché, dato che ormai può essere contenta di quanto ottenuto sino ad oggi in carriera. In linea teorica sarebbe anche accettabile come ragionamento, ma se così fosse dovrebbe spiegare perché rifiuta ostinatamente di rispondere alle domande sul “Serena Slam” e sul “Grande Slam”. Le salta proprio a piè pari, ripetendo che non vuole parlare dei due argomenti. Allora forse non sta prendendo le cose tanto alla leggera, e vincere o perdere per lei non è proprio la stessa cosa…
In vista della finale è obbligatorio ripercorrere i confronti diretti, che nel caso di Serena e Garbiñe sono solo tre e tutti negli Slam. Uno è datato 2013: un secondo turno agli Australian Open finito 6-2, 6-0 per Serena. Allora Muguruza aveva 19 anni e stava vivendo una fase di assestamento nel circuito. Fra l’altro di lì a qualche mese (subito dopo Wimbledon) si sarebbe operata alla caviglia destra e al setto nasale, stando ferma sei mesi, per risolvere problemi che rischiavano di diventare cronici. La seconda partita è il già citato 6-2, 6-2 del Roland Garros 2014, in cui Muguruza sconfisse al secondo turno Serena, che probabilmente non si aspettava di trovarsi di fronte un’avversaria così forte e si fece cogliere impreparata. L’aspetto forse più da rimarcare di quel match è che Garbiñe riuscì a non far rientrare in gioco Williams, mantenendo uno standard altissimo di tennis dall’inizio alla fine.
Infine c’è l’ottavo di finale degli ultimi Australian Open. Allora di sicuro Serena non aveva sottovalutato il match, eppure perse comunque 6-2 il primo set. Poi però Williams aggiustò il servizio (alzando la percentuale di prime), e in generale i colpi da fondo campo. D’altra parte Muguruza cominciò a sentire la pressione perdendo 6-3 il secondo set. Se non ricordo male, il passaggio decisivo di quel match fu un lunghissimo game ad inizio terzo set in cui Muguruza si era conquistata diverse palle break non riuscendo mai a convertirle; una in particolare venne mancata per un errore su una volèe davvero elementare. Le volée di Muguruza, un punto debole su cui ha bisogno di lavorare, e sui cui si è già discusso in passato. Dopo quel game combattutissimo, la patita filò via abbastanza veloce verso il 2-6, 6-3, 6-2 conclusivo.
Il quarto confronto, si svolgerà quindi nell’occasione più prestigiosa che una tennista possa desiderare. A me sembra estremamente difficile che possa accadere la grande sorpresa, però una cosa mi sento di dirla: tra le due possibili semifinaliste emerse dalla parte bassa di tabellone (Radwanska e Muguruza) quella che sembra più attrezzata a mettere in difficoltà Serena è proprio Muguruza, e quindi sotto questo punto di vista l’esito della partita di giovedì, considerate le giocatrici rimaste in corsa, ha forse prodotto la miglior finale possibile.