TENNIS – La transizione dalle sfide Sampras-Agassi al presente dei Fab Four visto con gli occhi del tifoso. L’appassionato da poltrona e i due tempi della vita tennistica di Roger Federer.
Si racconta che all’inizio del terzo millennio c’era un signore di circa 30 anni che – stanco di infinite abbuffate di Borg-McEnroe, Edberg-Becker-Lendl, Sampras-Agassi – stava stravaccato in poltrona predisponendosi all’invecchiamento naturale. Aveva l’atteggiamento crepuscolare di chi pensa di avere già visto tutto quello che c’era da vedere, e aveva davanti agli occhi un esagitato australiano col berretto girato dall’altra parte e un argentino con poca voglia di allenarsi. I due giocavano, pensate un po’: nel sacro tempio, una finale con un pathos solo di poco inferiore a quello di baciare tua sorella.
‘anno successivo non andò tanto meglio. Certo, non c’era più quell’esagitato; certo, Sampras dopo lo scempio di luglio aveva chiuso la carriera nel modo migliore possibile; certo, quel ragazzotto svizzero non sembrava l’ultimo arrivato; però la presenza di un bombardiere che aveva avuto milioni di problemi fisici, addirittura in finale, non sembrava promettere granché. E poi questo svizzero l’anno prima era uscito al primo turno e a Parigi era stato battuto da Horna, figuriamoci. Però in fondo gioca bene, colpisce pulito, sembra non fare sforzi. Vince lo svizzero e il nostro tifoso è contento. Ah, sospira, c’è ancora spazio per questi panda, meno male. Non durerà, pensa, adesso arriverà sparatutto e buona notte.
Ma quando l’anno successivo lo svizzero vince prima a Melbourne e poi di nuovo a Wimbledon il nostro 35enne (il tempo passa anche per lui) comincia a scoprirsi un po’ più interessato. Certo – riflette – non avrei mai creduto che riuscisse a vincere 3 slam. Incuriosito finisce col dare un’occhiata ai risultati e si accorge che lo svizzero fino a lì ha perso la miseria di 4 partite. Comincia ad inarcare il sopracciglio. Prova a vedere cosa succede ai successivi US open. Vinti. Guarda il Master. Sempre quello svizzero. Che – incredibile – non solo vince ma comincia ad assomigliare a qualcuno che non crede di aver mai conosciuto. Mc? Si forse ma quella solidità dal fondo… Borg? Ma no, altro tocco questo svizzero. Lendl? Si forse quel dritto… ma Lendl non accarezzava certo la pallina in quel modo. Edberg forse? Troppo leggerino.
Il tempo passa e lo svizzero non perde più. Tra il 2005 e il 2006 su 173 ne vince 164. Sommate al 2004 sono 232 su 247. Il tifoso nel frattempo ha capito chi gli ricorda: nessuno. E’ come quelli di prima ma è un altro, non è Borg o Mc o Sampras: è Federer. Il tifoso non è più crepuscolare: non solo non pensa più a Borg&Mc o a Sampras&Agassi ma il tennis è di nuovo lo sport più bello del mondo. Scopre che da tempo non va a mangiare una pizza l’ultima settimana di agosto o la prima di settembre, da tempo le ultime due settimane di gennaio dorme la mattina presto, da tempo aspetta metà luglio per abbronzarsi. Ed ha sempre un sorriso beato, legge che a qualcuno non piace Federer e si dice che figurarsi, c’è gente che dice che la Cappella Sistina si ok, però questo Michelangelo…. e gli sale alle labbra un mezzo sorriso di compatimento.
Il tempo passa e Federer continua a volteggiare sui campi senza che nessuno sia in grado di procurargli qualche problema. Al tifoso da un certo fastidio Nadal, ma lo spagnolo in fondo riesce a giocare i mesi primaverili, compete bene a giugno ma poi da luglio ad aprile non se ne vede traccia, non arriva neanche alle semifinali. E’ una puntura di insetto, fastidiosa ma niente di più. Il 2007 comincia esattamente come gli altri anni e come gli altri anni finisce. In mezzo però Federer lascia per strada qualcosa. Perde due volte con Canas, si lascia rimontare da Djokovic in Canada, soprattutto si limita a vincere, non stravince più. Il tifoso capisce, lo ha visto altre volte, il grande campione cominciare leggermente a peggiorare.
E a gennaio del 2008, il tifoso sa che la sconfitta contro Djokovic in semifinale non è un incidente di percorso. A Federer gli incidenti di percorso non capitavano. E’ invece lo scricchiolio, il cartello in cui c’è affisso “sta per finire”; col senno di poi è la fine del regno di Federer I e della tranquillità del suo tifoso. Che limitava le sofferenze alla terra rossa parigina e poi volava insieme al suo eroe sul resto del mondo, da Melbourne a Londra, da New York a Shanghai. Da quel gennaio del 2008, Federer diventa un normale fuoriclasse. Ogni tanto perde, spesso in modo bruciante, ogni tanto vince. Ma vince soffrendo, non è più in grado di disintegrare nessuno. Muta persino il suo atteggiamento, e insieme a lui, muta il suo tifoso. Niente più gesti di compatimento, niente più partite tranquille davanti alla Tv, niente pronostici facili.
Ma il tifoso che ha visto Borg, McEnroe, Sampras, Edberg, è abituato anche a questo e si predispone allo struggente tramonto. Chissà magari un ultimo giro di giostra, come quello di Edberg, col fuoriclasse inseguito da standin ovation e parite che gli fanno riconsiderare la decisione di ritirarsi. E prima, purtroppo, l’impietosa discesa in classifica, niente più Wimbledon o Master, chissà magari un New York, contro quello che verrà dopo di lui. Si torna a mangiare qualche pizza, a prendere il sole un po’ prima. A metà 2009 il sussulto. Federer non solo vince, ma solo un’innata sufficienza gli fa buttare alle ortiche il Roger Slam. Il suo tifoso neanche se ne accorge, è contento. Però lo sa che non c’era Nadal, che Djokovic si è perso tra le braccia di Todd Martin, che Murray figurarsi se vincerà mai qualcosa. E’ contento, ma sa che è finita, non discute. Vede passare gli slam tranquillo, si inventa che in fondo basta il gran tennis, i risultati pazienza, in fondo anche il grande Mc ha smesso di vincere nel 1984, che delitto sarebbe stato non vederlo gli anni successivi. Le partite con Djokovic e Nadal che un tempo lo avrebbero visto vincitore adesso non sono le stesse, si parte sempre da sfavoriti. E se è vero che c’è una soddisfazione nuova a sovvertire il pronostico è vero che solo tre anni fa non ci sarebbe stata storia.
Ma, al chiuso dei palazzetti, in un autunno che sembrava far cadere le ultime foglie del gioco di quello che per il tifoso era il Re, Federer vinceva e vinceva. Il tifoso si fa cogliere dall’orgoglio: è sempre il più grande. Dimentica crepuscoli e tramonti e parte per la battaglia: si lotta per tornare al vertice, ci tornerà. Adesso si gioca con la guardia abbassata, improvvisamente i colpi non si lesinano più. Per il tifoso comincia una nuova vita e lancia in resta si stravince il primo Bercy e l’ennesimo Master, poi la scoppola a Melbourne, ma la lezione a Nadal in America e a tutti quanti gli altri sulla terra blu. Il solito Parigi e infine, l’apoteosi. Il tifoso guarda i sacri prati speranzoso e incattivito, non c’è più età non c’è più passato. Ha il suo giocatore e lo vede favorito tra i favoriti, Se vince, poche storie, è il numero 1. E quando vince il tifoso impazzisce, pensa che forse erano prematuri i discorsi sull’età, sulle corse non più belle come una volta, sul dritto che non spacca in due l’avversario. Non conta più niente quello che si era pensato l’anno scorso. Alle olimpiadi ci si danna per la sconfitta perché il tifoso adesso non vede più il giocatore in declino, è rinato con lui, e lui è il favorito, quindi la sconfitta in finale brucia. Travolge Djokovic a Cincinnati, chi è il numero 1 del mondo oggi?
Tanto aristocratico fu il primo dominio tanto sembra popolare e infuocato il secondo. Adesso il tifoso vive i suoi ultimi momenti e “in questi ultimi momenti amerà Federer più di quanto l’abbia mai amato… Non solo Federer, ma i suoi rivali e tutto il tennis. Tutto ciò che vuole è la risposta che noi tutti vogliamo: quanto ci resta ancora? Non possiamo far altro che restare lì e guardarlo finire di giocare”.