Il rapporto di Dimitrov con la racchetta è come quello di un pittore con la sua tavolozza, dice sua madre. Un pittore che deve crescere ma quando conta sembra perdere l’ispirazione: vedi i 4 doppi falli con Djokovic e i 3 con Murray nei game in cui ha servito per il set
Quando Federer non ci sarà più – più o meno tra qualche mese – si alzeranno alti lai; le vedove piangeranno, le vergini si graffieranno la schiena e verranno sacrificate al Dio di Basilea, 1000 e 1000 schiavi innalzeranno obelischi e piramidi in memoria e onore del re defunto. E mentre tutto questo accadrà nei campi da tennis si continuerà stancamente a giocare e a cercare la scintilla divina, il magico e delicato colpo che fa sospirare le fanciulle e sognare gli adolescenti di 60 anni, mendicanti di bellezza per dirla con Galeano. E allora ci sarà forse finalmente un po’ di spazio per osservare con grande piacere misto a riconoscimento il rovescio tagliato di un bulgaro nato in una sorta di Maastricht (senza gli assurdi parametri da disattendere, ma solo un piccolo paese tra tre frontiere, quella bulgara, quella turca e quella greca) in una qualsiasi giornata di maggio del 1991, in una Bulgaria non più comunista non ancora del tutto democratica e che oscillava tra nostalgie monarchiche e costituzionalismi moderni. E se pure il padre gli diede un nome scomodo da portare non inganni l’assonanza del nome del bimbo, Grigori, con quello ben più impegnativo di Georgi Dimitrov perché di solo tennis si parla.
l figlio di Dimitar e di Maria, coppia alquanto sportiva se è vero che lui di mestiere fa il coach e lei l’insegnante di educazione fisica, comincia presto. Quando a 5 anni la mamma gli porge uno strumento simile ad una padella pare che sia amore a prima vista, tanto da convincere la signora Maria a parlare addirittura di “ossessione”: Grigori gioca dall’alba al tramonto e colpisce la palla anche in situazioni altrimenti complesse per un povero bimbo. Ma il suo rapporto con la racchetta, è sempre la mamma a parlare, sembra quello di “un pittore con la sua tavolozza”. Il bimbo cresce, a 10 anni appena compiuti gli capita sotto gli occhi una partita di tennis tra due che sembravano venire dal cielo. Il padre gli spiega che uno dei due è forse il giocatore più forte che si sia mai visto su un campo da tennis e ha vinto quel torneo sull’erba per ben 7 volte negli ultimi 8 anni.
Il piccolo Grigori si invaghisce anche se subisce la sua prima delusione: quell’uomo, dai tratti così simili a quelli che vede ogni giorno per le strade di Hakovo, perde con un ragazzo con la coda che ha ancora i brufoli, si inginocchia e piange. Quasi quanto Dimitrov. Sette anni dopo ritroviamo ormai adolescente che ha condotto la Bulgaria alla sua prima promozione in serie B di coppa Davis. A 17 anni ha vinto tutti e 6 gli incontri di singolare giocati. A Parigi perderà da un altro tipo di cui si sentirà un po’ parlare, un polacco che non è un grandissimo esempio di educazione, ma due settimane dopo Grigori gioca la sua settima partita di fila all’All England club battendo un finlandese disperso adesso nei fiordi. Mentre festeggia, il giorno dopo il ragazzetto che lo aveva fatto piangere 7 anni prima, adesso diventato leggenda, subisce il più terribile dei contrappassi perdendo la partita che nessuno dimenticherà mai.
Dimitrov è sorpreso ma il peggio per lui deve arrivare. L’ex allenatore del divino campione va a vedere una sua partita. Peter Lundgren si chiama, è un mattacchione gaudente che è stato un buon giocatore e che ha visto tanto tennis da potere ogni tanto divertirsi a far finta di essere esperto. “Oggi ho visto Federer redivivo: è un bulgaro e si chiama Dimitrov”. Apriti cielo, il ragazzo vince anche gli US open juniores e poi non si raccapezza più. Tatticamente diventa uno scellerato, comincia a entrare in una parte che solo chi ha 18 può capire quanto complessa e finiscono col fargli dire cose del tipo “io sono io”. Sulla sua strada ad un certo punto, da buon appassionato di calcio, Dimitrova trova Mou, che però non allena il Real Madrid non è poi così speciale, e come cognome intero fa Mouratoglou. Il francese disperatamente cerca di infondere disciplina tattica al sempre più scapestrato bulgaro. Lentamente cercano un qualche compromesso, Dimitrov fa finta di non annoiarsi e Mou prova a lasciare le briglie lente.
Non dura, a fine 2012 i due si lasciano ma il francese è di rara eleganza “Auguro a Grigor, a cui voglio bene, il meglio per la vita e per il lavoro, sono sicuro che il suo potenziale e la sua dedizione a questo sport lo porteranno molto lontano. Buona fortuna amico mio”. Il resto è cronaca. Dimitrov finisce alla “Good to Great Tennis Academy” , in Svezia tra le amorevoli cure di Norman, orfano di Soderling, Kulti e soprattutto Tillstrom. Il ragazzo inizia l’anno in modo altalenante inizia benissimo a Brisbane ma perde subito a Melbourne. Poi a Rotterdam gioca un gran torneo, fermato da un solidissimo Del Potro. Il ragazzo però quel rovescio non lo sbaglia più, a Indian Wells mette sotto di brutto persino il numero 1 Djokovic fino a quando al servizio per chiudere il primo set riesce nella fantastica impresa di mettere insieme 4 doppi falli. Ma fate attenzione perché non si vive di solo Federer.