Bertolucci, uno dei quattro moschettieri azzurri che portarono in Italia l’unica Coppa Davis della storia tricolore, festeggia il suo 62esimo compleanno. A Paolo gli auguri di tutta la redazione.
E’ esistita un’Italia così. Nata a Forte dei Marmi, vissuta tra il mare e il campo da tennis; invece di costruire spocchia, si è lasciata trascinare da una leggerezza quasi calviniana. Fosse stata piemontese, quell’Italia si sarebbe chinata sui campi, avrebbe vinto qualche slam, sarebbe arrivata tra i Top 5 e avrebbe detto «esageruma nen». Qualche chilometro più a Sud, si è messa a mangiare pasta e fagioli, è arrivata al numero 12 della classifica mondiale e non prendeva niente sul serio, a cominciare da se stessa: era solo tennis! E il talento, il braccio d’oro, serve a divertirsi, a non faticare troppo, ché il mondo ha già tanti problemi e non è certo il caso di rovinarsi la vita… per arrivare dove poi? A vincere Wimbledon? E sicuri che ne varrebbe la pena? Guardate quel povero ragazzo di Borg, rovinato a 26 anni, o a Connors, sempre arrabbiato col mondo, o al povero Mc, che dava l’impressione di giocare legato a qualche sedia. A Forte dei Marmi si era liberi: se volevi giocare giocavi! E meglio il doppio: c’è un compagno, qualcuno con cui parlare, un giornalista che farà il direttore di un sito di tennis qualche decennio dopo, si può fare una battuta, scambiare un sorriso, vincere una Davis con la propria Balizarde, la racchetta (o era la spada?) di Porthos. La maglietta rossa? Ma si, ne abbiamo parlato tante volte, non esageriamo, il mio amico era così, gli ho fatto anche da testimone alle nozze… Ad un certo punto si doveva smettere col campo, poteva durare di più, ma troppe cose belle ha il mondo, a cominciare da una tavola imbandita. “Pasta Kid” diceva Bud Collins, ma gli americani mancano di fantasia, cosa ne sanno del vino e del pesce? E poi tutto questo gusto per il correre è sospetto, in fondo c’è una palla, c’è una racchetta con cui colpirla, colpiamola e vediamo chi è più bravo e se siete voi pazienza, poi si va a cena insieme vero? Una volta ci si mette persino a fare il commissario tecnico di una squadra che, diciamolo francamente, non è che fosse formata da fenomeni. Eppure, nella città di Fonzie succede un miracolo e mentre tutti accorrono da Sanguinetti, il capitano ricorda che «si, sono bravi, hanno dato tutto. Generosi? Come no, mai visti offrire un caffè». E a proposito di generosità, si racconta persino di una partita in un carcere, quello di Rebibbia, insieme a Panatta. A batterlo, perché da fermo il tennis è più divertente e magari, qualche volta, si può vincere. E stavolta gli americani hanno ragione: perché mai rovinare una bella storia con la verità? E se devo proprio scegliere un ricordo, beh allora meglio le lacrime di Mestre, commoventi certo, ma rimane una partita. Cacciato nel 2001 da una federazione che voleva ringiovanire (e per quello, solo per quello, scelse Barazzutti, uno che ha 540 giorni di meno, vuoi mettere?): «ma va bene, è stata una bella esperienza, mica vi aspetterete che mi metta a sputare nel piatto in cui ho mangiato?» è l’ora di iniziare a raccontare storie in Tv. Con i capelli al vento (sempre di meno) – sic transit gloria mundi – una giacca da palombaro, posizionato sulle tettoie di Wimbledon, a raccontare che Federer lo prende in considerazione per arrivare al suo diciassettesimo slam, ma si, chi se lo aspettava? Proprio quel ragazzo svizzero gioca, fa uno sport che non conosco. O gioca a tennis e allora io non so a cosa giocavo. Buon compleanno Bertolucci, c’è ancora tanta pasta e fagioli sulla strada.