TENNIS – Monica Seles compie oggi 40 anni. Le facciamo gli auguri ricordando la sua risalita dal tremendo episodio che ha cambiato la sua vita e il mondo del tennis, l’accoltellamento subito ad Amburgo nel 1993.
Quando sei una ragazzina di sedici anni cresciuta a dritti e rovesci, che tutto d’un tratto si trova catapultata nel mondo dei grandi e delle grandi, ogni tuo sforzo, ogni energia è impiegata a far si che tu possa mantenere la concentrazione e non lasciarti sopraffare. Così continui a colpire quella pallina, così familiare perché la conosci da tutta una vita, come un forsennata, aggredendola con impeto, assuefatta dal ritmo dei rimbalzi. Poi un giorno, il tuo mondo, le tue barriere vengono squarciate da una coltellata e tu sola sai quanto sia difficile tornare sotto gli occhi di tutti, guarita nel corpo ma divisa nell’animo, campionessa nel cuore, fragile nella mente, dove la sfida più grande diventa ritrovare un equilibrio perduto prima ancora che tornare a vincere.
“Fino ad allora ero al centro del mondo. Frequentavo gente famosa, firmavo autografi ai fan, incontravo gente interessante, mangiavo nei ristoranti migliori, dormivo negli hotel più lussuosi e mi guadagnavo un modo di vivere fenomenale, giocando a uno sport che amavo con tutto il cuore. La vita non poteva essere più bella. Giocavo a tennis da quando avevo sei anni, quando ero piccola in Jugoslavia. Mio padre ha notato che avevo un vero talento e mi ha allenata. Non era come un lavoro, ma qualcosa che amavo. Giocare a tennis era la cosa più divertente che potessi fare, ed ero brava a farlo.
Poi il mio mondo si sgretolò improvvisamente. Il 30 aprile del 1993 era un giorno pieno di sole e l’aria era fredda e frizzante. Stavo giocando i quarti di finale al torneo di Amburgo contro Magdalena Maleeva. Conducevo per 6-4, 4-3, e stavamo facendo pausa durante un cambio campo. Ricordo che ero seduta, mi stavo asciugando il sudore con un asciugamano e poi mi sono sporta in avanti per bere un po’ d’acqua; la pausa era quasi terminata e avevo la bocca secca. Non appena mi porto il bicchiere alle labbra sento un tremendo dolore alla schiena.
Mi volto di scatto e vedo un uomo con un cappellino da baseball, che mi guarda sogghignando. Le sue braccia erano sollevate sulla testa e teneva tra le mani un lungo coltello. Stava per affondarlo di nuovo verso di me”.
Sono passati più di vent’anni da quel giorno e da quel giorno Monica non è stata più la stessa. La vita di Seles era il tennis e non c’era mai stato altro che avrebbe voluto fare, dedicandosi anima e corpo a quell’unica disciplina che le portava gioia, fama e incredibili successi. “Potrei giocare ancora? Bene. Forse non ho voglia di giocare di nuovo. A 19 anni, stavo affrontando la prospettiva terrificante di una vita senza tennis. Cosa sarebbe successo se non fossi riuscita a tornare?”.
Era tutto sbagliato, nell’improbabilità e brutalità degli eventi, il momento era sbagliato e forse il peggiore, Seles viveva di solo tennis, il tennis era tutto e il tennis le era stato portato via dalla paura. Quei due fugaci anni (1991-1992) in cui ha stravolto il circuito WTA e strappato lo scettro a Steffi Graf – quella stessa Steffi che nel 1988 aveva ridefinito gli standard realizzando il Golden Slam – l’hanno proiettata fra le più grandi e migliori tenniste della storia ed è triste che il mito di Monica Seles debba essere innegabilmente legato ad un atto brutale, un atto che ha riversato su di lei una fama non richiesta e ha stravolto una carriera dal potenziale straordinario.
Nei 28 mesi in cui Seles evita di calcare pubblicamente un campo da tennis una totale confusione la domina interamente, complice anche la malattia del padre, a cui era stato diagnosticato un cancro alla prostata. Sono troppe le cose di cui non riesce a capacitarsi e per lei sembrano non esserci più certezze se non quella che la vita, il circuito WTA possano andare avanti senza che ci sia bisogno di lei, come se niente fosse accaduto. Il lento morire del padre, la mancata condanna per tentato omicidio del suo assalitore, Günther Parche, la non avvenuta sospensione del torneo di Amburgo e la decisione delle sue colleghe (ad eccezione di Gabriela Sabatini) di non concederle una prologa per il mantenimento del ranking, sono ulteriori ferite che scaveranno dentro di lei sino a divorarla internamente, e questo vuoto Monica cercherà di colmarlo con il cibo, trascinando se stessa nel vortice di un disturbo alimentare che penalizzerà ulteriormente la sua carriera e contribuirà a farla sentire attaccabile da parte del mondo esterno.
“Una sola giocatrice si dichiarò favorevole: Gabriela Sabatini. E non lo dimentico. Fu un gesto speciale. Certo, tutte avevano da guadagnarci dal fatto che io rimanessi per un po’ lontano dai vertici, ma Gaby mise da parte gli interessi economici e la carriera per compiere un gesto di grande umanità. Le numero uno cambiano, è solo una questione di tempo. Ma la tua personalità, il tuo modo di essere resta sempre quello. E il gesto di Gabriela la rende davvero speciale”.
Sono gli Australian Open del 1996, Monica è tornata a competere dall’estate precedente, vincendo il suo torneo d’esordio, il Canadian Open di Toronto e raggiungendo la finale degli Us Open, dove incontra nuovamente Steffi Graf e perde un match di incredibile livello agonistico al terzo set. E’ impossibile non notare il suo disagio, mentre, ogni volta che le è possibile, stiracchia la maglietta, nel tentativo di coprire un fisico ben diverso da quello che tutti ricordavano. Vincerà il torneo, il nono ed ultimo Slam della propria carriera, ma il tormento interiore le farà solo desiderare di poter schermare il proprio corpo, tornare a casa e nascondersi nella sua tuta da ginnastica. “Durante un servizio o quando raggiungevo una palla, le mie cosce erano in piena mostra per il giudizio di tutti, non avevo mai giocato con quel tipo di autocoscienza prima, e l’ho odiato”. Più tardi riconoscerà nella bulimia un tentativo di proteggersi, troppo dure, troppe aliene erano state le dichiarazioni di Parche subito dopo l’attentato: “Le donne non dovrebbero essere magre come grissini” e Monica aveva paura, dentro di sé non voleva più essere la ragazzina ossuta capace di vincere quasi tutto: “Se mi imbottisco con qualche chilo extra, mi proteggerò dall’essere ferita di nuovo”.
Nei confronti di Seles si scatena una discriminazione mediatica, la stampa non può far a meno di catalizzare l’attenzione sui suoi problemi di peso, il suo gioco e il suo talento passano in secondo piano, il suo aspetto è più importante. A Wimbledon cede al secondo turno contro Katarina Studenikova, numero cinquantanove: “I giornali hanno avuto una giornata campale e hanno detto che assomigliavo ad un lottatore di sumo”. E’ solo l’inizio di una battaglia lunga dieci anni, nel ’98 papà Karolj muore lasciando un ulteriore profondo vuoto da riempire con il cibo, poi è la volta dell’infortunio e nel 2003 Monica gioca l’ultima partita da professionista della propria carriera; non tornerà numero uno, né vincerà altri Slam dopo l’Australian Open del ’96, ma per lei si apre una nuova sfida, la più difficile perché non c’è nessun talento che può venirti in soccorso: riprendere il controllo di se stessa, come recita il titolo della sua autobiografia pubblicata nel 2010, “Ho ripreso il controllo. Del mio corpo, della mia mente, di me stessa”.
Una volta sconfitta la malattia, ritrovato l’equilibrio ed aver accettato la realtà di quanto successo e l’inevitabilità di quanto non si può cambiare, Seles he deciso di mettere la propria esperienza al servizio degli altri. Spesso ha presenziato ad incontri pubblici sui disturbi alimentari e l’autobiografia stessa è un racconto a tratti toccante, ma anche spiritoso, del percorso che l’ha condotta ad essere la splendida donna che oggi compie quarant’anni. Il tennis non ha mai abbandonato la sua vita, si occupa di preparare i bambini all’agonismo e nel tempo libero, a titolo gratuito, prende parte al programma Laureus, che ha lo scopo di far conoscere lo sport a bambini che vivono in realtà disagiate, senza intenti agonistici, ma solo a scopo sociale ed educativo. Sempre nell’ambito della Laureus World Sport Academy, ha partecipato al programma “I Challenge Myself” che prende in considerazione l’educazione motoria ed alimentare dei giovani a rischio di obesità.
Inoltre l’autobiografia non è l’unica opera letteraria di Monica, la scrittura è stata una compagna e uno strumento utile a riscattare se stessa: nel 2013 è uscita una serie di racconti “leggeri” ambientati in un’accademia prestigiosa “The Academy”. La protagonista è Maya, una ragazza il cui sogno è diventare una tennista professionista, che si trova catapultata nella realtà sociale dell’accademia, dove scopre il retrogusto amaro dell’amore e dovrà destreggiarsi per non lasciarsi sfuggire le opportunità che la vita le mette davanti. Seles descrive il suo romanzo come una specie di diario di fantasia, una sorta di riscrittura salace di un’infanzia tesa e competitiva: “Mi sono divertita molto, ho annotato idee per anni, fra una partita e l’altra e quando ero in aereo. Poi un paio di anni fa ho detto al mio agente: ‘ho qualcosa, proviamoci’. Perché credo fermamente che anche se qualcosa non funziona, almeno devo averci provato. Abbiamo dato una visione un po’ intima dell’accademia e credo che chiunque ami lo sport o segua lo sport non potrà che divertirsi leggendolo”.
Con quel gioco a due mani atipico, Seles possedeva una capacità d’anticipo straordinaria che le permetteva di produrre colpi esplosivi e di giocare aggressiva a tutto campo, ma quel 30 aprile del ’93 è stato il destino a giocare d’anticipo con la sua vita e a far sì che le conseguenze dell’aggressione abbiano interrotto il suo percorso agonistico proprio non appena si era confermata come la migliore tennista del circuito, pronta a riscrivere il libro dei record in un’era in cui il tennis femminile non era certo privo di giocatrici d’eccezione.
“Non credo nei rimpianti, l’accoltellamento di cui sono stata vittima non era necessario, e avrei preferito che mio padre avesse seguito anche la seconda parte della mia carriera. Ma ho avuto anche la fortuna di praticare lo sport che amo. Bisogna guardare le cose dalla giusta prospettiva”, ed in fondo è solo questo che conta.
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LA SCHEDA:
Vittorie/sconfitte 595–122 (82.98%)
Titoli vinti 53
Miglior ranking 1° (11 Marzo 1991)
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australian Open V (1991, 1992, 1993, 1996)
Roland Garros V (1990, 1991, 1992)
Wimbledon F (1992)
US Open V (1991, 1992)
Altri tornei
Masters V (1990, 1991, 1992)
Giochi olimpici Bronzo (2000)
RECORD PERSONALI:
1990: Più giovane vincitrice di sempre, a sedici anni, del Roland Garros
1990-93: Vincitrice di tre titoli consecutivi agli Australian Open e al Roland Garros