TENNIS ATP – Nell’approfondimento dedicato al G.O.A.T (greatest of all time) non c’è spazio per alcuni giocatori che hanno solo sfiorato la grandezza. Safin, Rios, Ivanisevic e Mecir hanno vinto poco ma hanno segnato comunque la storia del tennis con il loro talento e la loro originalità, facendo innamorare centinaia di tifosi.
Loro, con il discorso G.O.A.T, non dovrebbero c’entrare nulla. Hanno vinto una manciata di Slam (o addirittura nessuno), spesso non hanno stabilito record, sono rimasti più settimane fermi per infortunio che in cima alla classifica, hanno fatto il solletico alle statistiche che contribuiscono a stabilire chi fa parte e chi è escluso dal club dei migliori.
Eppure, quando si parla di grandezza, bisogna mettere un asterisco e citare esemplari come Safin, Rios, Ivanisevic e Mecir.Nessuno ha saputo impressionare come Marat, stupire come Marcelo, esaltare come Goran, sorprendere come “Gattone”. Ma si può essere grandi anche senza essere vincenti? Se sì, come e perché?
IL TALENTO
Quando il cileno si allenava all’accademia di Bollettieri attirava a bordocampo più gente della Sharapova: tutti si precipitavano per vedere il genio, che era apparso chiaro quando giovanissimo aveva portato al quinto Sampras al Roland Garros, nonostante i suoi 170 cm. Sfoderava rovesci devastanti, coglieva angoli impossibili, prometteva ai rivali di concedere al massimo un paio di game e poi manteneva. Solo quando gli andava, certo. “Gattone” no, non era così palesemente forte. Nel corso di uno scambio sembrava assente, fermo sulle gambe, per poi scattare all’improvviso e piazzare il vincente. Ivanisevic, poi, non serviva: lui sparava delle bordate mancine e poi si fiondava a rete a uncinare volèe. In quella zona, invece, Marat ci capitava solo a fine match, per stringere la mano all’avversario. La chiudeva prima, con colpi profondi e potenti, il famoso rovescio bimane con saltino, splendido e superfluo. “Sono distrutto ma so di aver perso da un campione”, firmato Pete Sampras post finale Us Open 2000.
L’ESSERE PERSONAGGIO
“Ho gli occhi pesti perché ho fatto a botte, ma tranquilli ho vinto io”, “non pago le donne per venire a letto con me, le pago per andare via”: Safin in conferenza era un’improvvisa ventata di ironia e intelligenza profonda. Non condivideva con il mondo l’esperienza del campo, ma le esperienze di vita. C’è la la festa di compleanno la sera prima della finale a Melbourne? Pazienza, vorrà dire che l’Australian Open lo vincerà Tomas Johansson. Mecir, addirittura, certe volte non si presentava nemmeno agli appuntamenti importanti. Era finalmente in forma, libero dai ripetuti problemi fisici che l’avrebbero costretto ad abbandonare precocemente il tennis. Ma se ne stava là, impegnato sulla riva di un fiume con la lenza e l’amo, nel corso di una paziente giornata di pesca, la sua grande passione. Che poi, non sono mica titoli e onori a fare la felicità. Quando diventò n° 1 al mondo, Rios venne invitato a dal Presidente cileno a Palazzo; ci arrivó in T-Shirt e pantaloni corti, in tipico abbigliamento da spiaggia, con quella faccia un po’ cosi’ tra il triste e l’annoiato. “Marcelo, vuoi dire qualcosa alla gente?” e lui “No, non voglio dire nulla”.
LA COMPLESSITA’ CARATTERIALE
Più matto di un cavallo matto. Ivanisevic portava a casa il game perfetto con una sfilza di ace e poi frantumava le racchette, quasi godesse a farsi del male. Tra attacchi kamikaze e crisi isteriche si è inflitto delusioni a ripetizione che hanno reso mitico, pero’, l’unico trionfo a Wimbledon nel 2001. Marat, invece, ce l’aveva coi monologhi: interi minuti di imprecazione contro se stesso, psicodrammi freudiani completamenti dimenticati una volta uscito dal campo. Il russo si perdonava l’ incompiutezza tennistica con una cura a base di caviale, champagne e Safinette. “Se solo avesse avuto un’altra testa, se solo si fosse allenato di più…”; ma le partite buttate al vento non erano segno di disinteresse e superficialità. Safin, semplicemente, amava la vita più del tennis come suggeriva quel sorrisetto malizioso, perennemente stampato in volto. Rios, al contrario, era privo di gioia. Cercava di schivare media e fans come la peste. Negava gli autografi ai bambini, ma poi, se gli girava, regalava maglia, polsino e borsa al raccattapalle. Del tutto incapace di fingere, faceva solo ciò che gli piaceva, campo da tennis compreso. Colpiva a ruota libera e senza schemi. Per questo non è mai entrato nella classifica dei più grandi di sempre ma resterà sempre uno dei più grandi, fuori classifica.