TENNIS APPROFONDIMENTI – Nell’elite del tennis mondiale, da qualche anno, c’è un nome nuovo… Alberto Bezzini
Da alcuni anni, nel gruppo di eccellenza della Coppa Davis, staziona un nome che, in quanto a tradizione tennistica, suscita qualche perplessità.
L’edizione in corso, anno di grazia 2014, presenta ai quarti i seguenti scontri: Italia-Gran Bretagna, Giappone-Repubblica Ceca, Francia-Germania, Svizzera-Kazakistan.
Qualcuno noterà che delle sei nazioni vincitrici delle ultime dieci edizioni ne è presente solo una (la Repubblica Ceca).
Qualcun altro noterà invece l’assenza delle due nazioni che, insieme, hanno vinto più edizioni (sessanta) di tutto il resto del mondo (quarantadue): gli Stati Uniti, trentadue vittorie su sessantuno finali disputate, e l’Australia, ventotto vittorie su quarantasette finali disputate.
Stati Uniti e Australia, tennisticamente abbastanza in crisi e in fase di ricambio generazionale, sono uscite al turno iniziale del World Group e dovranno ricorrere ai play-off per rimanervi: sic transit gluria mundi…
Di nazioni con palmares di rilievo restano solo Gran Bretagna e Francia (ciascuna con nove vittorie) e la Repubblica Ceca, vincitrice delle ultime due edizioni, oltre ad una più remota nel 1980.
Ci sono poi nazioni che, comunque, una traccia nell’albo d’oro della Coppa Davis l’hanno lasciata: la Germania (tre vittorie su cinque finali), l’Italia (una vittoria su sette finali) e persino Svizzera e Giappone che una finale – pur perdendola – l’hanno giocata.
L’intruso in questo nobile lotto sembra essere la “gloriosa nazione del Kazakistan” (cit. Borat) che dal 1995 ha iniziato a partecipare alla manifestazione e, nel 2010, ha ottenuto l’accesso al Gruppo Mondiale da dove, direttamente o tramite spareggi, non ne è più uscita.
Anche quest’anno, vada come vada a Ginevra contro Federer e Wawrinka, i Kazaki si sono guadagnati (battendo il Belgio) il pass per il Gruppo Mondiale 2015.
Si può dire alla fine che, se continuano con questa tenacia, la presenza del Kazakistan (Kazakhstan, per essere esatti) nell’elite del tennis a squadre, passerà sempre più come un fatto normale…
Che cosa sappiamo del Kazakhstan? Come ci immaginiamo questo ex-stato della ormai disciolta Unione Sovietica?
È un paese grande, grandissimo: la sua superficie è nove volte quella dell’Italia, è nono nella classifica dei paesi più grandi al mondo ed è il primo di quelli privi di accesso al mare (il Mar Caspio, a dispetto del nome, non lo è).
Il clima è “impegnativo”, molto freddo, soprattutto a nord, con lunghi mesi di neve e ghiaccio e caldo accentuato nel periodo estivo: li, davvero, non ci sono più (se mai ci sono state) le mezze stagioni…
La popolazione è, all’incirca, un quarto di quella italiana e, per due terzi, di etnia kazakh (il resto è prevalentemente di origine russa); le religioni prevalenti sono l’Islamismo (moderato) e il Cristianesimo Ortodosso; le lingue sono il russo (comunemente usato) e il kazakh (sostenuto dal governo per favorire il processo di identità nazionale), l’Inglese è poco diffuso, specie al di fuori dei luoghi meta di turismo o dove avvengono scambi economici.
L’economia, favorita dalla disponibilità di risorse energetiche a basso costo e da una ricchezza di materie prime con pochi eguali al mondo («noi possediamo tutta la tavola di Mendeleev…» mi ha detto alcuni giorni fa un amico kazako), galoppa con percentuali di PIL vicine alla doppia cifra.
Ovviamente, dopo anni di Unione Sovietica (l’indipendenza kazaka si realizza nel 1991), c’è stato, ed è tuttora in corso, un rapido processo di adeguamento agli standards occidentali (compreso quelli negativi) e la vitalità di una popolazione oltretutto mediamente giovane, fa si che il Kazakhstan sia una specie di treno in piena corsa.
Si potrebbero, casomai, se solo questa fosse la sede appropriata, fare alcune considerazioni sulla possibilità di dissenso dalle linee guida imposte dal presidente Nazarbaev, sulla libertà di informazione o sullo sfruttamento abbastanza disinvolto delle risorse ambientali ed energetiche.
Tornando al tennis e alla Coppa Davis.
Parlare di tennisti (e tenniste) kazaki è in realtà un pò improprio: pur essendo il tennis molto praticato e in strutture anche di buon livello, soprattutto nelle due città più importanti (Astana e Almaty), tanto da competere in attenzione con sport più radicati quali lotta, ciclismo e sport invernali, l’anagrafe delle rappresentative kazake di Coppa Davis e di Fed Cup parla chiaro.
Michail Kukuščkin, 27 anni, è nato a Volgograd. Andrej Golubev, anche lui nato nel 1987, è nato
a Volžskij vicino Volgograd. Addirittura moscovita è il ventiseienne Evgenij Korolëv. Altrettanto russo, nato a Kislovodsk nel 1979, è Jurij Ščukin.
Quest’anno finalmente, nella squadra schierata vittoriosamente contro il Belgio ad Astana, ha esordito senza scendere in campo, il ventenne Denis Yevseyev, nativo di Almaty e quindi kazako DOC.
Anche in campo femminile si assiste alla naturalizzazione “selvaggia”: le varie Voskoboeva, Shvedova, Putintseva, Pervak e Karatantcheva (tanto per citare le giocatrici schierate nelle ultime tre edizioni) sono tutte native di Mosca, ad esclusione dell’ultima, nata in Bulgaria, a Sofia.
Perché?
Al di là di un naturale legame socio-culturale rimasto in essere tra Kazakhstan e Russia, anche dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, stupisce questo sistematico ricorso all’importazione di tennisti/e da parte di chi gestisce lo sport (in questo caso il tennis) kazako.
Non è un mistero che lo sport abbia costituito da sempre e presso qualsiasi sistema di governo un potente strumento di comunicazione e, certo, l’area sovietica è stato uno degli esempi più marcati di questo fenomeno.
Le Olimpiadi invernali fortemente volute da Vladimir Putin a Sochi (curiosamente una delle altre candidate ad ospitare i Giochi era la kazaka Almaty), nonostante le difficoltà organizzative in tema di sicurezza, sono un esempio di quanto ancora oggi lo sport in generale sia spendibile in ottica di “propaganda”.
Il dato da sottolineare, nel caso nostro, è che il tennis negli ultimi anni ha assunto una visibilità ed una diffusione cosi “globale” da rappresentare uno dei migliori “investimenti” possibili per comunicare (da parte di un potere politico) un raggiunto status di benessere, sviluppo e modernità.
Alberto Bezzini