TENNIS AL FEMMINILE – Battendo Jana Cepelova a Charleston, Andrea Petkovic ha vinto il primo torneo Premier in carriera, a distanza di tre anni dal suo ultimo successo. Storia di una giocatrice tanto forte caratterialmente quanto sfortunata e fragile fisicamente.
In uno dei tipici filmati della WTA, alla domanda su quali siano propositi e aspirazioni per l’anno nuovo, le prime due giocatrici intervistate esprimono lo stesso desiderio: rimanere sane.
Non che sia sorprendente: evitare malattie e infortuni naturalmente è importante per tutti; ma per gli sportivi la salute (anzi: la perfetta salute) è condizione indispensabile per poter esercitare al meglio la propria professione. E sappiamo che nel corso di una carriera sono inevitabili periodi di appannamento determinati da défaillance fisiche, più o meno gravi.
Se questo è vero, è anche vero però che per alcuni tennisti rimanere sano è impresa particolarmente difficile.
Nella settimana appena conclusa, Andrea Petkovic ha vinto sulla terra verde di Charleston il suo terzo torneo, ma quasi si esita a raccontare finalmente una pagina felice della sua carriera, tanto fragile e precaria è apparsa ultimamente la sua integrità fisica.
La maggior parte degli appassionati probabilmente ricorda il suo sfortunatissimo 2012, ma in realtà le sue avversità fisiche sono più antiche, e cominciano molti anni prima, quando la carriera era ancora agli inizi.
Petkovic ha seguito un percorso sportivo abbastanza anomalo. E’ nata nel 1987 in Bosnia-Erzegovina (allora ancora Jugoslavia) e quando aveva solo sei mesi la sua famiglia si è trasferita in Germania, dato che il padre (ex giocatore professionista) aveva trovato lavoro in una scuola di tennis a Darmstadt.
A differenza di molte tenniste di successo, Andrea ha aspettato di raggiungere il diploma di scuola superiore prima di dedicarsi seriamente al tennis. A questo proposito, una delle poche giocatrici attuali che ha compiuto la stessa scelta è stata la connazionale Mona Barthel (come avevo raccontato qualche settimana fa).
Per entrambe questo ha implicato tempi ritardati rispetto a quasi tutte le loro coetanee.
Petkovic, ad esempio, ha la stessa età di Sharapova, però tennisticamente ci sono molti anni di differenza: Maria aveva già vinto un paio di Slam quando Andrea ancora si dedicava principalmente allo studio.
Dicevo dei suoi problemi fisici ad inizio carriera. Probabilmente per le tenniste il momento fondamentale per dare una solida impostazione professionistica alla propria attività è riuscire ad entrare in pianta stabile tra le prime 100 del mondo (meglio ancora vicino alle 50). In questo modo si può prendere parte agli Slam e a quasi tutti i tornei WTA senza passare dalle qualificazioni, potendo così raggiungere una certo equilibrio economico e tecnico, con tutto quel che ne consegue in termini di programmazione e di qualità del team su cui fare conto.
All’inizio del 2008 Petkovic aveva raggiunto quel punto cruciale: era salita al 92mo posto, e per la prima volta poteva partecipare agli Australian Open. Ma al primo game in assoluto disputato a Melbourne, si procura la rottura del crociato del ginocchio destro. Riguardando il momento dell’infortunio, ci si ritrova ancora più dispiaciuti vedendo che l’avversaria di quel giorno era Anna Chakvetadze, un’altra giocatrice che in quanto a sfortuna ha raggiunto livelli record; a sottolineare ulteriormente che senza la salute la carriera di uno sportivo davvero non può esistere.
Vorrei soffermarmi sulla parte finale del filmato. Non so chi l’abbia messo in rete, e forse il taglio è stato fatto sbadatamente. Tuttavia il modo in cui si conclude lo trovo significativo: Petkovic esce dal campo (addirittura sulle sue gambe) dopo essersi ritirata, e lo speaker annuncia il match successivo (Johansson vs Baghdatis) con conseguente ovazione del pubblico.
Intendiamoci, non credo si possano muovere particolari accuse agli spettatori, che non potevano sapere della gravità dell’infortunio di quella giocatrice esordiente. Però con il senno di poi si percepisce tutta la durezza dei meccanismi del tennis professionistico: chi si infortuna rischia di essere messo da parte immediatamente e dimenticato senza troppi rimpianti; avanti con il nuovo match.
Per Andrea quel crac al ginocchio significava gettare via in un istante tutti gli sforzi fatti negli anni precedenti per scalare il ranking. Nemmeno un game intero giocato, appena sfiorato il vertice, e si ritrovava a dover ricominciare tutto da capo: una vera e propria fatica di Sisifo. Operazione e otto mesi di stop. Al rientro non sarebbe stato sufficiente il periodo di ranking protetto a permettere il completo recupero della condizione dopo un infortunio così serio. Per tornare ad essere una giocatrice del tutto pronta, Petkovic avrebbe avuto bisogno di più di un anno.
Bisogna anche dire che, considerato il suo modo di giocare, per lei la condizione ottimale è davvero imprescindibile.
Il suo è un tennis di ritmo e potenza. Anche per questo si è costruita una fisico particolarmente prestante, e dato che secondo me non dispone di grande tocco né di tante varianti di gioco, per poter emergere ha bisogno di essere in forma assoluta.
Ha un modo di giocare che non permette grandi margini di sicurezza: in particolare di rovescio si basa su traiettorie tese che se non vengono eseguite con un timing perfetto rischiano di infrangersi in rete.
Nel dritto (che è più forte del rovescio) adotta una open stance esasperata, a volte direi perfino troppo, tanto che secondo me qualche volta si trova in difficoltà a spingere al massimo sul lungolinea. In ogni caso la sua direzione prediletta è quella incrociata.
Anche per questo quando vuole giocare il lungolinea (e ancor più il dritto anomalo) tende a posizionarsi con molto anticipo, rendendo più facile all’avversaria l’interpretazione della direzione del colpo.
Quando Petkovic è davvero in condizione, il suo gioco di costante pressione diventa molto solido: i gratuiti scendono drasticamente e riesce a tenere a lungo un palleggio ad alta velocità con cui finisce per soffocare quasi tutte le avversarie, fatta forse eccezione solo per le primissime del ranking.
In sostanza direi che la vera forza del suo tennis si basa sulla solidità dei fondamentali da fondo, considerata anche l’efficacia della risposta (forse un po’ più debole sugli allunghi) e, specie nell’ultimo periodo, anche l’incisività della battuta.
A rete secondo me colpisce discretamente da ferma, mentre correndo in avanti fatica molto di più a dosare il tocco di palla. Sulle palle alte, a volte, invece che giocare la volèe di rovescio dorsale preferisce l’esecuzione della volèe alta di dritto giocata con la sinistra; caratteristica davvero rara, visto che di solito il cambio di mano le giocatrici tendono a farlo sugli allunghi da fondo (ad esempio Sharapova e Pavlyuchenkova spesso giocano dei dritti con la sinistra al posto del rovescio bimane).
Questa era la Petkovic che era riuscita ad entrare in top ten nel 2011, e a contendere fino all’ultimo a Radwanska e Bartoli l’ultimo posto utile per il Masters di Istanbul. Andrea era diventata la migliore giocatrice di Germania, la prima a rientrare nell’elite WTA dopo undici anni. La sua costante crescita sembrava procedere bene, quando all’inizio del 2012 sono ricominciati i guai. Prima una frattura da stress alla schiena (Australian Open saltati): quattro mesi ferma.
Poi l’impressionante infortunio alla caviglia a Stoccarda contro Azarenka, appena rientrata. Cinque mesi di stop, tempo non sufficiente per usufruire del ranking protetto (6 mesi senza partite è il minimo per averne diritto), ma l’interruzione sommata a quella del primo infortunio alla schiena ha significato stagione e classifica compromess
E il 2012 aveva ancora in serbo un’ultima amarezza proprio alla sua conclusione. Il 29 dicembre, nel primo giorno di Hopman Cup (di fatto l’apertura della stagione 2013) Andrea si infortuna al menisco. Sulle prime sembra una cosa da niente: prima qualche piegamento sospetto, e dopo un paio di scambi ancora disputati (sufficienti a terminare il game e il set) arriva il MTO e poi il ritiro.
Così si conclude il suo annus horribilis. Il 2012 è finito, ma il 2013 è già in parte compromesso. Senza ranking protetto, risalire diventa durissimo.
Di nuovo come Sisifo, tutti gli sforzi precedenti diventano inutili, e Andrea si ritrova per la terza volta nella carriera con la montagna della classifica da scalare; questa volta il punto più basso è il 177mo posto (4 marzo 2013).
Usufruisce di wild card in alcuni tornei WTA, ma deve giocare le qualificazioni del Roland Garros, dove perde al secondo turno dalla cinese numero 156 del mondo Yi-Miao Zhou, fallendo quindi l’accesso al tabellone principale.
Dando un’occhiata alla tabella della sue partecipazioni Slam si possono capire tutti gli ostacoli che ha incontrato lungo la strada di tennista:
Di solito evito di fare il riepilogo delle stagioni delle giocatrici, con date e risultati, perché lo trovo abbastanza inutile e noioso; secondo me per questo genere di informazioni vanno più che bene Wikipedia o il sito WTA. Però questa volta ho voluto mettere uno in fila all’altro gli infortuni di una giocatrice perché credo che così si possa capire meglio cosa significa per un professionista dello sport disporre o no della propria integrità fisica.
A questo proposito la stessa Petkovic ha confidato che dopo l’ultimo infortunio ha temuto di non riuscire a risalire per l’ennesima volta, pur avendo dentro di sé la volontà di continuare con il tennis, perché volontà non sempre significa certezza di successo (“ho dubitato di me stessa tutti i giorni e mi capita ancora. Ma non ho mai smesso di volerlo”). Personalmente trovo sorprendente quanto la sfortuna e tutte queste avversità siano in contrasto con il suo carattere aperto ed espansivo.
Generosa in campo, dà l’impressione di mettere tutta se stessa nel gioco, e a fine partita è sempre sportivissima con l’avversaria, anche quando perde il match decisivo della stagione. Andrea ha chiaramente grande facilità di dialogo e sembra una leader nata, quanto meno con le sue compagne di squadra. Un modo di comportarsi molto estroverso che l’ha resa popolare, ma qualche volta anche un po’ indigesta ad alcune colleghe. Non tutte, ad esempio, hanno gradito la Petkodance, il balletto fatto al termine delle partite vinte.
Per quanto mi riguarda, devo confessare di essere vittima di un “pregiudizio” positivo nei suoi confronti. Parlo di pre-giudizio, perché l’opinione su di lei me l’ero fatta prima che diventasse davvero famosa e conosciuta.
I lettori meno recenti di Ubitennis, infatti, Petkovic l’hanno apprezzata molto prima che avesse i migliori risultati, e questo grazie a Monique Filippella, che l’aveva “scoperta” al torneo di Bad Gastein del 2010 e ci aveva raccontato del suo particolare modo di porsi e della sua attenzione nei confronti degli altri.
Così poi era stato cercato il suo sito, dove pubblicava i filmati di Petkorazzi, parlava dei suoi studi e dei suoi interessi. Questi sono i link di quegli articoli (ciascuno con una parte dedicata ad Andrea), che consiglio di leggere a tutti; a maggior ragione a chi in quel periodo non seguiva Ubitennis e quindi non ha avuto la fortuna di conoscere i fotoracconti di Monique:
– Finisce l’avventura di Dentoni
A causa di quei fotoracconti avevo deciso di seguirla al primo turno degli US Open 2010, quando Andrea ha inventato la petkodance, che ho quindi avuto “il privilegio” di veder nascere in diretta. E forse se si contestualizzasse un po’ la genesi di quella esultanza si capirebbe che a volte le cose accadono quasi per caso, senza particolari desideri esibizionistici. In quel momento Petkovic non era ancora una tennista molto nota, nemmeno testa di serie. Tanto è vero che le era capitato un primo turno sulla carta quasi proibitivo: Nadia Petrova allora numero 16 del ranking, ma soprattutto reduce dalla finale di New Haven la settimana precedente.
Probabilmente proprio perché la possibilità di passare sembrava piuttosto remota, Andrea aveva fatto una scommessa con il suo allenatore: in caso di vittoria avrebbe ballato a fine match. Anch’io, pur avendo deciso di seguirla a notte inoltrata, non nutrivo grandi speranze. E invece riuscì a spuntarla (al tiebreak del terzo set, giocando pure bene) mantenendo di conseguenza la promessa. A dire il vero la danza venne effettuata in uno stadio quasi completamente vuoto, visto che il match era stato programmato come ultimo sull’Armstrong e la partita era andata per le lunghe.
Così la petkodance divenne un portafortuna, ma forse se al turno successivo non avesse sconfitto una giocatrice locale (Bethanie Mattek Sands, in un altro match lottatissimo), la cosa si sarebbe notata meno. Invece crescita di risultati e popolarità andarono di pari passo, e le affermazioni del biennio successivo fecero il resto.
P.S. Ho chiesto conferma a Monique Filippella, e quindi posso anticipare che, salvo imprevisti, finalmente ritornano i suoi straordinari fotoracconti. Appuntamento per il torneo di Stoccarda, tra meno di due settimane.