TENNIS – Roma. Nella presentazione degli Internazionali d’Italia, dove la sola vera notizia è stata la “dovuta” wild card a Camila Giorgi, non si è parlato né di Madrid, né di Federer, né di Nadal, né di Djokovic. Ecco allora qui alcune mie “assurde” riflessioni. Il video della domanda su SuperTennis di Ubaldo Scanagatta – [FOTO] Pietrangeli vs Scanagatta su erba – [FOTO] La conferenza stampa di presentazione degli Internazionali 2014
Siamo un Paese così. E dobbiamo tenercelo. Lo scorso anno, a fine Internazionali d’Italia, l’argomento che teneva banco era la “guerra fra Roma e Madrid”, due città che volevano conquistare più giorni nel calendario internazionale, per mettersi alla pari con Indian Wells e Miami (che con più giorni di gara ovviamente guadagnano molto di più).
Sia Ion Tiriac sia Angelo Binaghi sostenevano di avere le carte in regola per convincere l’Atp a scegliere il loro torneo quale Master “SuperCombined”. Con dichiarate ambizioni di…quinto Slam (cui sorridono benevoli gli americani di Indian Wells e Miami). Pareva che l’Atp dovesse fare la sua scelta per il 2015 entro Wimbledon o quasi.
Tiriac, da me intervistato in esclusiva a Parigi durante il Roland Garros, dichiarò che lui stava già pagando all’Atp da tempo un prezzo per “l’occupazione di due settimane” e questo, a suo dire, gli garantiva un diritto che Roma non aveva.
È passato un anno, nessuno ne parla più. E ieri nessun giornalista fra i presenti ha chiesto nulla al riguardo. Chi scrive qui aveva già sfrugugliato i presenti con una lunga domanda (che potete ascoltare, visto che Canale 25 l’ha inserita su You Tube e noi l’abbiamo ripresa) – quando peraltro pareva che nessuno volesse porne alcuna: mi sono sentito quasi obbligato a rompere il ghiaccio – e quindi non poteva porre anche quella, né altre alle quali avrei avuto piacere di sentire una risposta. Una era questa sulla “guerra Madrid-Roma”. Una tempesta in un bicchier d’acqua? Un’altra che sarebbe sicuramente apparsa provocatoria: “Il fatto che MediaSet con ItaliaUno abbia rinunciato a proporre la diretta di un quarto di finale, una semifinale e la finale del torneo maschile, va interpretato come un fatto positivo oppure negativo? Quei turni finali del maschile si potranno vedere – così come tutto il torneo femminile – su Supertennis, che sicuramente aumenterà la sua audience. Ma, avrei voluto chiedere, i numeri non saranno infinitamente inferiori rispetto ad un canale Mediaset? Personalmente ritengo che se il tennis avesse grandi audiences, sarebbero canali tipo Rai e Mediaset (oltre a Sky) a lottare per i diritti tv, tanto per la Coppa Davis che per la Fed Cup o gli Internazionali. Non è un segno buono che non lo facciano. Purtroppo le tv generaliste, anche per via della durata imprevedibile delle partite nonché del meteo (che spesso ha fatto i dispetti proprio nelle fasi finali di un torneo che ancora il tetto non ce l’ha) al tennis italiano danno poco credito e spazio. Ciò nonostante gli indubbi e quasi inattesi progressi di Fabio Fognini e delle ragazze. Ma il nostro tennis non ha purtroppo ancora un personaggio alla Alberto Tomba, alla Valentino Rossi, alla Adriano Panatta, in grado di “sedurre” una decina di milioni di telespettatori.
Ha ragione quindi Giovanni Malagò a dire, rispondendo alla mia domanda, che ciascuna delle 45 federazioni “vorrebbe avere uno sbocco al mare… una sua tv per far conoscere di più il proprio sport”. Ma è ipotizzabile, in clima di spending review, che l’esempio FIT – che Malagò ha definito coraggioso e innovativo (e io avrei usato altre aggettivi…ricordando che si era annunciato l’esperimento con un break-even previsto nell’arco di 3 anni: oggi si maschera il mancato break-even finanziario con lo studio della Bocconi e tutta una serie di “ritorni” che paiono più atti di fede (?) che fatti concreti – possa essere seguito da tante altre discipline sportive? Vabbè che in Italia siamo più creativi che in altri Paesi – siamo famosi no, per la nostra finanza creativa? – ma secondo voi negli altri Paesi europei (e non) il problema dello sbocco al mare i vari sport diversi dal calcio non ce l’hanno?
La recente nomina di Francesco Soro come presidente di Sportcast al posto dello zio di Binaghi – oltre che un bel segnale di “ripulizia” gestionale all’insegna del “di certi nepotismi – all’incontrario – se ne può fare anche a meno” – sembra poter preludere ad un futuro canale “SuperSport” che non sacrifichi troppo il tennis, ma possa dare “sbocchi al mare” anche ad altri sport.
Del resto questo avrebbe un senso e io su queste righe l’ho spesso scritto: in un bilancio CONI di 450 milioni di euro l’anno ipotizzare una spesa di 10/15 milioni l’anno per tanti sport più o meno trascurati ha molto più senso che non una spesa di 5 milioni l’anno nel bilancio del tennis che ne ha in tutto poco più di una quindicina (se non si conta quell’altra quindicina di milioni che ruotano attorno agli internazionali d’Italia e che non rappresentano un utile altro che per una fetta esigua).
Un’altra domanda, cui ho accennato fra le righe, quando in premessa e nel complimentarmi con Diego Nepi Molineris per la nuova scenografia del Foro Italico, oggettivamente altamente suggestivo, ho detto che “pare di respirare un’aria nuova… tanti cambiamenti in ruoli importanti”, e alludevo al direttore di Supertennis improvvisamente scomparso senza che sia mai stato spiegato il perchè e ieri quindi assente dopo che per anni era stato, con la sua società “familiare”, l’eminenza grigia di questa tv federale.
Nessuno è mai stato informato su cosa sia successo. Cosa sia success a lui, Giancarlo Baccini, come che cosa sia successo al signor Ignazio Fantola. Spariti nel nulla. E’ vero che erano anche arrivati dal nulla, a suo tempo. Però ieri mi aspettavo almeno un cenno di ringraziamento per l’opera svolta da parte del presidente Binaghi. In genere lo si fa (anche quando magari non si ha nessuna intenzione di ringraziarli).
Vabbè, ormai non ci si deve più sorprendere di nulla.
Mi è difficile non ripensare e ricordare quanto disse Binaghi il giorno avanti all’elezione di Malagò a presidente del Coni:
“Noi del tennis conosciamo bene Malagò come dirigente e vorremmo evitare le stesse esperienze al mondo dello sport. È assai significativo – dichiarò Binaghi testualmente alla Gazzetta dello Sport che oggi è media partner di tante manifestazioni Fit, torneo di Roma incluso – che le sue federazioni di riferimento, il nuoto e il tennis che l’hanno visto come dirigente, siano oggi schierate con Pagnozzi”.
Non contento si sbilanciò maldestramente in una delle profezie più clamorosamente smentite della storia dello sport: “Malagò non raggiungerà i voti di Chimenti alle scorse elezioni, non c’è dubbio e non c’è match”
Chimenti, per la cronaca, ne aveva raggiunti 26 candidandosi contro Petrucci. Malagò trionfò: ebbe 40 voti contro i 35 di Pagnozzi, delfino di Petrucci.
Tutta questa storia l’ho voluta ricordare perchè oggi effettivamente il rapporto di reciproca e profonda disistima pare essersi tramutato in tutt’altro.
Nella sua rubrica “Palazzo di Vetro” sulla Gazzetta dello Sport un profondo conoscitore delle cose di “Palazzo Coni” quale Ruggiero Palombo, sotto un titolo “Accorpamente addio, ma è amore vero tra Binaghi e Malagò” – di cui abbiamo dato conto su Ubitennis qualche giorno fa – si ipotizzava addirittura che “dal Binaghi grande sostenitore di Pagnozzi nelle elezioni Coni di 14 mesi fa si è passati oggi ad sintonia con Malagò…e che fosse “sbocciato un amore stile Fognini-Pennetta”. L’articolo si concludeva con un ironico “auguri e figli maschi”.
Beh, quando gli uomini di potere (e di poltrona) si incrociano sono capaci di dimenticare tutto e di più. Abbiamo visto Renzi “rottamare” Veltroni, D’Alema e tutta la vecchia nomenclatura del Pd, e ora lo stesso Renzi e d’Alema sembrano andar d’amore e d’accordo.
Insomma non bisogna mai stupirsi di niente che nel mondo della politica e degli incroci (inciuci?) di potere. Forse è proprio perchè io non sono mai stato né un politico né un uomo di potere, né ho mai aspirato ad una qualunque poltrona che non fosse quella di felice spettatore di una qualche bella partita di tennis…che faccio sempre fatica a dimenticare, ad abbracciare chi si è comportato male con me e a far finta di niente. Vivrei molto meglio, più spensierato e felice, se riuscissi a passare sopra agli sgarbi o alle mie convinzioni.
Ciò detto e chiarito, spero sinceramente che per il tennis – che è poi la più grande passione della mia vita e cui ho dedicato senza secondi fini 60 dei miei 65 anni – possa essere un fatto positivo che oggi due “politici” dallo stile e dal background così diversi, Malagò e Binaghi, vadano così d’accordo. Uno potrebbe aiutare l’altro a capire quel che magari gli sfugge.
I risultati sportivi sono la cartina di tornasole di una federazione. Ma per ottenere quei risultati bisogna saper mettere in piedi un sistema che li sappia cogliere. E il sistema non può essere quello legato ai soldi di pochi, di papà Fognini, papà Quinzi, papà Errani, papà Pennetta, che hanno messo i loro figli nelle mani di coach e academy straniere per anni e anni, investendo un sacco di denaro. Ma quelli che non ce l’hanno come fanno?
Se a Tirrenia dal 2004 a oggi non è uscito fuori nessun giocatore salvo Giannessi (n.136 per poco tempo; gli altri non sono arrivat nemmeno fra i primi 250!) significa che è lì che bisogna intervenire e cambiare. O si crede che sia stata solo sfortuna?
Il vero punto sta nel fatto che la base dei giovani praticanti (non dei tesserati che giocando a burraco) va allargata investendo lì – più che sulla tv e gli studi “commissionati” alla Bocconi – tante, tante, tante energie finanziarie.
Un ragazzo di talento che disputi 15 tornei l’anno dai 10 ai 20 anni costa sui 30.000 euro l’anno come minimo. Più probabilmente 40.000. In 10 anni, e senza nessuna garanzia di arrivare, sono 400.000. Ma chi ce li ha?
Si deve trovare il modo di investire prioritariamente 4,5 milioni di euro l’anno per “aiutare” l’attività di 150 ragazzi dotati di un minimo di talento, di testa, di determinazione. Ogni anno. Solo così i risultati arriveranno. Il resto sono chiacchiere da bar.
E con i risultati ottenuti da giocatori di famiglie anche poco benestanti allora sì che il tennis farebbe quel salto di qualità che tutti a parole dicono di voler raggiungere. E allora sì che il tennis troverebbe, come dice Malagò, il suo sbocco al mare.
Ho scritto tanto, forse troppo. Ieri i colleghi presenti non avevano neppure domande da rivolgere. Forse perchè, come tutte le mie che sempre ancora ingenuamente mi illudo che non siano così, sarebbero state parole al vento… proprio come quest’articolo.