TENNIS – Una volta ci si infortunava all’anca, oggi al polso. Djokovic e Del Potro sono gli ultimi iscritti al club degli aventi problemi al polso. Prima di loro tanti infortunati all’anca. C’è un nesso in tutto ciò? Tecnica e tecnologia sono le cause?
Una volta fra gli infortuni andava di moda l’anca, oggi il trend è il polso. Provocatoriamente potremmo sintetizzare così un denominatore comune per gli infortuni in voga per la maggiore fra i tennisti, che oggi sembrano soffrire per la maggior parte di problemi al polso quando invece qualche anno addietro era l’anca a creare problemi e quindi infortuni.
Giornalisti ed esperti medici hanno cercato di ricostruire le cause di queste due tipologie di infortunio, trovando probabile risposta (per quanto sia possibile individuare un denominatore comune a livello di infortunio in atleti tutti geneticamente diversi) nella tecnica di gioco e nei materiali a disposizione, in questo frangente più specificatamente nelle corde.
Nella sua rubrica in cui risponde alle domande dei lettori, l’americano Steve Tignor di Tennis.com ipotizza che sia la tecnologia a dare problemi a giocatori che soffrono di problemi al polso, in particolar modo le corte moderne in poliestere (Luxilon su tutte) che danno molto spin ma allo stesso tempo stressano molto di più il fisico. Ricorda Tignor che Guga Kuerten è stato il primo in passato a vincere, nel 1997, un torneo del Grande Slam usando corde in poliestere. Di lì in poi furono tantissimi i professionisti che scelsero di avvalersi di questa nuova tecnologia a livello di corde.
La lista dei sofferenti di problemi al polso annovera fra gli altri oltre al recente Djokovic (anche se sta risolvendo con una programmazione oculata) e al patologico Del Potro, anche Caroline Wozniacki e Sloane Stephens. A tal proposito sono interessanti le dichiarazioni del chirurgo che si è occupato di Del Potro, “Oggi i top player soffrono di questi infortuni in maniera costante, tanto da allontanarli del circuito per problemi seri e per periodi di tempo prolungati“. E ancora: “Il tennis è uno di quegli sport che pone il polso molto a rischio perché il peso del corpo è trasferito direttamente alla palla attraverso il polso, e molto spesso, con una grande di torsione vista la grande capacità di imprimere spin sulla palla da parte dei giocatori professionisti“. La quantità di energia parte dalle gambe, sale sulla schiena, passa nel braccio e finisce sul polso prima della racchetta. “Ad un certo punto sia per cause genetiche o per stile di gioco, l’integrità strutturale di questa struttura viene superata. Di qui gli infortuni“.
Questo tipo di corde aiutano sicuramente il giocatore a creare molto spin, essenziale nel tennis moderno di oggi dove il fisico è il fattore predominante. Ci sono giocatori come Djokovic che utilizzano il poliestere solo per metà delle loro corde mentre altri, come Del Potro o Nadal, lo usano nella loro interezza del piatto corde. Più potenza e più topspin significano più polso in ogni colpo e quindi ecco una potenziale causa di stress e quindi di infortunio. Ma la vulga corrente vorrebbe che sia la combinazione polso-anca a creare problemi ai giocatori per via della posizione di impatto con la pallina, la cosiddetta “open-stance”, posizione aperta e nettamente la più usata fra i professionisti del top-spin.
Veniamo quindi all’anca, un problema che vanta una lista di infortunati eccellenti: Guga Kuerten, Lleyton Hewitt, David Nalbandian, Tommy Haas, e Brian Baker fra gli altri. Qualcuno ha messo, qualche altro ha risolto con la chirurgia come Tommy Haas che vi si operò nel 2010 per poi tornare a giocare, con successo e in maniera splendida anche da ultra trentenne. Ad ogni modo l’operazione è considerata l’extrema ratio considerati i tempi obbligati di stop (e di perdita di classifica e altro, almeno un tempo) e il dubbio sulla reale capacità di tornare al 100% dopo una operazione. Se Haas rappresenta un caso di successo, Norman e Kuerten sono l’emblema di due carriere terminate o diminuite proprio dopo il decorso post operatorio. Baker invece, americano operato per ben 3 volte all’anca, si è dichiarato soddisfatto delle sue “nuove condizioni fisiche” anche se è conscio che il 100% dell’integrità fisica non sarà più raggiungibile
Anche Mike Bryan, dei mitici doppisti Bryan, ha rischiato di terminare la sua carriera in largo anticipo per un problema all’anca. L’introduzione della posizione aperta in fase di impatto ha rivoluzionato il gioco, sfruttando l’anca al massimo, il tutto ancora più aggravato dalla velocità di queste torsioni. Bryan ha ripercorso in una intervista il suo problema, derivante, oltre che da un problema genetico (noto come FAI: una malformazione genetica dell’osso che comprende l’anca) anche dalla tecnica di esecuzione del diritto: “Quando colpivo di diritto stavo con il peso tutto sulla gamba sinistra. Ora sto cercando di usare la mia destra molto di più“. Bryan è quindi passato da una posizione chiusa, closed stance, a una più aperta. Ha lavorato molto, anche tramite la medicina ollistica, per ovviare a questo problema congenito che ha concorso ai suoi problemi all’anca. Ha rifiutato quindi di operarsi (cosa che gli avevano consigliato) scegliendo invece una via che poi ha dato frutti evidenti, anche in termini di longevità. Quel che comunque possiamo osservare è che oggi i problemi all’anca, anche per ammissione dello stesso Bryan, sono risolvibili in tempi previ anche riuscendo ad evitare una operazione chirurgica.
Ad ogni modo forse è ancora troppo presto per sviluppare una teoria che vorrebbe l’infortunio più attuale quello del polso rispetto a quello dell’anca di qualche anno fa, vedremo se ci saranno nuove aggiunte alla lista (sperando ovviamente di no).