TENNIS PERSONAGGI – Tra i nomi circolati negli ultimi tempi per la successione all’ex campione ceco sulla panchina di Andy Murray, quello dell’ex numero 4 del mondo sta diventando sempre più preponderante. Ripercorriamo la sua carriera e cerchiamo di capire in che modo potrebbe aiutare lo scozzese a tornare ai vertici.
Ognuno, soprattutto da piccolo, ha le sue fisse, le sue manie la cui spiegazione sfugge al razionale: la mia era quella di tifare tennisti il cui cognome iniziasse con la lettera B. E’ in questo modo che, come primi idoli tennistci, mi ritrovai ad avere Boris Becker e Sergi Bruguera, due giocatori che più opposti non si poteva, in termini di fisico, gioco e personalità. E, dato che la prima esperienza da tifoso mi diede diverse soddisfazioni (2 Roland Garros e 1 Australian Open tra le altre..) decisi di continuare su quella via: la mia “vittima” successiva fu il biondo svedese Jonas Bjorkman, il quale mi ripagò a fine 1997 riportando la Coppa Davis in casa gialloblu con una finale da assoluto protagonista, nella quale sconfisse Michelino Chang e, approfittando del ritiro di Pistol Pete Sampras nel secondo singolare che lo vedeva opposto a Magnus Larsson (altro idolo d’infanzia..), conquistò il punto decisivo in coppia con Niklas Kulti, ai danni della coppia americana Todd Martin-Jonathan Stark.
Oggi, a 17 anni di distanza ed a sei anni dal suo ritiro, il nome dello scandinavo torna d’attualità: secondo alcune fonti-l’ex pro ha smentito che vi siano stati contatti ma si sarebbe detto onorato da tale proposta – Bjorkman sarebbe l’indiziato numero 1 alla successione di Ivan Lendl sulla panchina di Andy Murray. Uno scenario alquanto suggestivo, pensando non solo alla tipologia di giocatore che lo svedese rappresentava ma anche al contrasto con la figura di Lendl: tanto il ceco incarnava alla perfezione il ruolo del “cattivo” da film western, quanto Bjorkman evocava l’immagine del “british gentleman” – anche nei lineamenti, opinione personale-, dell’uomo di classe alla Stefan Edberg. Uno Stefan Edberg che ha avuto un’influenza sulla carriera del giovane Jonas, presentatosi sul circuito ATP con un gioco improntato alla costante ricerca della rete – grazie alla rapidità di gambe e ad una certa “ mano” – in controtendenza con la “vague” svedese precedente, quella dei Wilander e dei Borg.
Nato nel 1972 a Vakjo, città che ha dato i natali a un certo..Mats Wilander, all’ex pilota di Formula 1 Stefan Johansson e all’ex olimpionica di eptatlon Carolina Kluft, Bjorkman esordisce tra i pro nel 1991, ma inizia veramente a scalare le classifiche nel 1993. Proprio a quell’anno risalgono i miei primi ricordi dell’allievo di Gary Muller: nel mese di marzo, da numero 227 mondiale, vinse un’edizione “ante litteram” del challenger di Bergamo, sconfiggendo Paolino Cané in finale.
(Off-topic: Il mio primo ricordo di Bjorkman coincide con quello di Rino Tommasi, che nel corso di un’edizione di Wimbledon disse di aver avuto la notizia della vittoria mentre si trovava in un aeroporto con Edberg. Sarebbe interessante provare a rinfrescare la memoria di Rino, per capire se tra Edberg e Bjorkman vi fossero legami personali e professionali..)
Dopo il trionfo bergamasco, lo scandinavo vinse altri 2 challenger (tra cui uno a Nagoja, in Giappone, battendo un’allora sconosciutissimo..Pat Rafter) e finì la stagione nella top 100 mondiale; la stagione successiva, il nostro fece ancora meglio, arrivando agli ottavi di finale a Wimbledon (sconfitto da Ferreira) ma soprattutto ai quarti degli Us Open, prendendosi il lusso di infliggere un 6-4 6-4 6-0, al 3° turno, proprio al suo nume tutelare Stefan Edberg.
Passaggio di consegne alla Federer-Sampras a Wimbledon 2001? Per un paio di anni non si ebbe quest’impressione: a parte una semifinale a Key Biscayne nel 1995 e la quasi vittoria sul Kid di Las Vegas agli Australian Open 1996 (perse al 5° set dopo aver condotto 2 set a 1) i risultati di Bjorkman non furono entusiasmanti e lo portarono a finire il 1996 alla 69esima posizione del ranking.
Ma l’annata seguente, il 1997, sarebbe stata quella della svolta, quasi come se il ritiro di Edberg l’avesse “sbloccato”. Dopo un debutto grandioso – primo champagne stappato a Auckland e una nuova semifinale a Indian Wells -, Bjorkman esplose nel corso dell’estate americana, quando nel giro di un mese vinse a Indianapolis e giunse alle semifinali degli Us Open, battendo il ceco Petr Korda -che a sua volta aveva escluso Pistol Pete dal torneo – e sprecando nuovamente un vantaggio di 2 set a 1 contro Greg Rusedski. Fu solo il prologo ad un finale di stagione ancora migliore: oltre a sollevare – come già detto – l’Insalatiera, l’ormai nuovo numero 1 di Svezia giocò un torneo fantastico a Parigi Bercy, battendo tra gli altri Krajicek e i connazionali Johansson ed Enqvist prima di arrendersi in finale – in 4 set combattuti – alla legge di Pistol Pete. Poco male, perché in un colpo solo lo scandinavo balzò dal numero 10 al numero 4 del ranking – me lo ricordo come fosse ieri, perché ritenevo strano che una finale di un torneo non Slam permettesse balzi simili – e pose le basi per un 1998 da protagonista. E infatti, l’anno nuovo sembrò iniziare bene: favorito numero 4 di un tabellone privato anticipatamente di Sampras e Rafter, Jonas avanzò tranquillamente fino ai quarti, dove lo aspettava quel Korda sconfitto qualche mese prima a Flushing Meadows. Lo svedese iniziò alla grande, vincendo i primi 2 parziali per 6-3 7-5, ma poi si smarrì e subì la rimonta del ceco (sulla quale, a posteriori, si potrebbe fare qualche obiezione..) che da quella vittoria prese lo slancio per andare a cercare la sua prima e unica vittoria Slam. Al contrario, per Bjorkman, quella sconfitta rappresentò una sorta si spartiacque, perché lo svedese perse pian piano posizioni nel ranking, terminando la stagione al numero 20 e non riavvicinandosi mai più, nemmeno per sbaglio alla top 10.
In ogni caso, per una decina d’anni ancora, il “mancato erede di Edberg” sarebbe restato un ottimo giocatore, sempre pronto a riemergere nelle occasioni importanti, come testimoniano i quarti di finale ottenuti a Melbourne (2002) e Londra (2003) ma soprattutto la semifinale di Wimbledon 2006, ultimo vero squillo della carriera: dopo aver “approfittato” delle bestemmie di Daniele Bracciali al 3° turno (niente di personale, ma quella fu una pagina abbastanza brutta per il tennis italiano..), l’allora34enne svedese sconfisse lo specialista Mirnyi e ribaltò la “legge del 5° set” che l’aveva condannato nei giorni migliori, rimontando uno svantaggio di due set a uno al più giovane Stepanek, prima di consegnarsi, perfetto agnello sacrificale, al nuovo Re del tennis. Last but not the least, a fianco dell’onorevole carriere da singolarista, lo scandinavo sarebbe diventato uno dei più forti doppisti degli ultimi 20 anni, conquistando il Career Grand Slam (9 Slam totali con 5 partner differenti di cui i più importanti furono Tood Woodbridge e Max Mirnyi). Come stupirsi? Il senso della rete, i riflessi felini – in particolare alla risposta – e il senso tattico caratteristico della scuola svedese facevano di Bjorkman un partner perfetto per chiunque.
E sono queste stesse caratteristiche che potrebbero tornare utili a Andy Murray nel caso in cui lo scozzese decidesse di affidarsi ai suoi servigi. Attualmente assistente del capitano di Davis Fredrik Rosengren, la scelta di Bjorkman potrebbe costituire un ulteriore tassello di una “scuola svedese” che, dopo aver fornito tra gli anni ’70 e gli anni ’90 fior di campioni, ora sembra capace di sfornare ottimi allenatori. L’esempio migliore è quello di Magnus Norman, che oltre ad aver portato al top Robin Soderling e Stanislas Wawrinka ha creato – insieme agli ex colleghi Kulti e Tillstrom – l’accademia GTGT, nella quale si allena, tra gli altri, un certo Grigor Dimitrov: ma si pensi anche ad un Edberg e un Enqvist che allenano rispettivamente Federer e Verdasco. Da sempre distintisi per il grande senso tattico e la serietà del loro lavoro (che fossero “difensori” alla Borg/Wilander o “ attaccanti” alla Edberg) gli svedesi hanno tutte le carte in regola per essere ottimi coach, e Bjorkman non fa certo eccezione. Se dovesse riprodurre da allenatori i dettami che aveva da giocatore, il vichingo potrebbe persino spingere il campione in carica di Wimbledon a tornare ad un tennis più propositivo e d’attacco, a sfruttare l’ottimo back di rovescio per spingersi verso la rete, insomma a far tornare Murray ad essere quel giocatore vario e “bello” da vedere (almeno per quanto mi riguarda) che era nell’estate 2008, l’estate della sua esplosione ad alti livelli.
Credetemi, tornare a vedere quel Murray farebbe solo del bene al tennis attuale. Quindi, se proprio il matrimonio dovesse farsi, dico: in bocca al lupo Jonas, non deludermi nemmeno questa volta.
Christian Turba