TENNIS AL FEMMINILE – Nella storia di Dinara Safina e di Simona Halep alcune vittorie in sequenza hanno dato il via ad una ascesa rapida ed inattesa, che ha cambiato completamente la loro carriera. Sta per succedere anche a Caroline Garcia?
Vorrei iniziare l’articolo ricordando Dinara Safina. A Madrid ha reso ufficiale il suo ritiro, anche se la notizia ormai era chiara a tutti da parecchio tempo: le parole di suo fratello Marat già nel 2011 non avevano lasciato spazio a dubbi o interpretazioni, ma se non altro con questo annuncio pubblico Dinara ha ricevuto i classici e doverosi saluti che una ex numero uno del mondo merita al momento di lasciare.
Devo dire la verità: sul piano del gioco non mi ha mai entusiasmato, mentre la apprezzavo di più umanamente, anche perché in qualche occasione a mio avviso era stata ingiustamente bistrattata dalle colleghe.
Safina è stata una regina senza corona, vale a dire che aveva ottenuto il numero uno del ranking senza riuscire a vincere un Major; nelle grandissime occasioni il braccino più volte l’aveva bloccata: aveva raggiunto tre finali Slam, tutte perse senza mai vincere un set; e aveva anche perso la finale olimpica del 2008 da un’altra giocatrice con poco “killer instinct” come Elena Dementieva. In quella occasione Safina commise 17 doppi falli, facendo in modo che il servizio penalizzasse più lei che Dementieva: considerando i cronici problemi in battuta di Elena, anche questo in fondo è un piccolo record.
Nelle interviste che ha rilasciato in questi giorni, Dinara ha ricordato come la sua carriera ebbe un’impennata improvvisa e sorprendente nell’arco di pochissimi match, passando da giocatrice che viaggiava attorno al 15mo – 20 mo posto a leader del circuito.
Iniziò tutto a Berlino nel maggio 2008 quando sconfisse in sequenza Henin, Serena, Azarenka e Dementieva, conquistando il torneo.
Da allora, in poco più di un anno (maggio 2008 – agosto 2009), Safina raggiunse la finale di 15 tornei (di cui 3 slam) vincendone 7 (compresa la prima edizione del torneo di Madrid).
A Berlino si era presentata da numero 17 del mondo; finì per arrivare al numero 1 nell’aprile 2009. A fine 2009 purtroppo la schiena cominciò a farsi sentire, forse anche perché chi arriva sempre in fondo ai tornei gioca moltissime partite, e se questo succede all’improvviso gli sforzi sono più difficili da sopportare.
Pensavo alla affermazione di Dinara durante la finale di domenica tra Sharapova e Halep: in fondo anche Simona ha avuto una evoluzione di carriera con aspetti simili: è esplosa nell’arco di pochi mesi e da comprimaria del circuito è diventata protagonista.
La sua città della svolta non è stata Berlino, ma Roma. Era entrata nel tabellone principale passando dalle qualificazioni, visto che era numero 64 del ranking; aveva cominciato la trafila giocando contro Alice Balducci (n° 631), e vincendo sei partite di fila solo Serena l’aveva fermata in semifinale. Ma nel frattempo aveva sconfitto Radwanska e Jankovic. Dopo quel maggio 2013 Halep ha vinto 7 tornei, e oggi si ritrova numero 5 nel mondo.
Sul piano tecnico secondo me recentemente ha fatto ulteriori progressi, soprattutto grazie a due colpi: il servizio, che è diventato più potente e incisivo consentendole di ottenere punti facili; e il dritto incrociato.
A me sembra che abbia cominciato a giocare un dritto più carico di prima, che rimbalza profondo e alto, e che penso in futuro darà fastidio a tante avversarie. Però queste nuova caratteristica a Madrid potrebbe paradossalmente averla quasi svantaggiata, ma solo perché si è trovata di fronte due giocatrici molto particolari: prima Kvitova, che sulla diagonale di rovescio (Petra è mancina) è fortissima e non chiede di meglio che colpire senza doversi piegare troppo; poi un’altra giocatrice molto alta, che si trova bene a “schiacciare” la palla come Sharapova: e infatti con il cross di dritto Maria ha ottenuto molti più punti del solito.
Ma del torneo di Madrid chi mi ha colpito di più è stata Caroline Garcia. Devo dire che l’avevo seguita (poche volte) già in passato, ma sempre contro giocatrici che non mi avevano aiutato a capire nel profondo il suo tennis. Dopo la partita contro Radwanska, che è un’avversaria che costruisce situazioni di gioco particolari e differenti da quasi tutte le altre, credo di avere imparato qualcosa di più.
Vorrei iniziare da una questione piuttosto sfuggente: ci sono casi rarissimi di giocatori che danno la sensazione di avere un controllo superiore del colpo.
Non mi riferisco alla precisione o alla forza sulla palla, quanto alla pura gestualità: invece che eseguire la sequenza di movimenti in modo automatico (frutto della ripetizione di qualcosa eseguita infinite volte), a me danno l’impressione di essere in grado di riuscire a “ragionare” istante per istante sul gesto che stanno compiendo, ed eseguirlo di conseguenza con una consapevolezza superiore.
Sono sensazioni molto difficili da spiegare, per cui vi chiedo di perdonarmi se userò una affermazione indimostrabile: è tale il controllo che è come se il gesto esprimesse un pensiero.
Lo vedo spesso in Federer quando colpisce di dritto, ma non è detto che sia appannaggio solo di grandissimi campioni. Tra le donne che giocano oggi, ad esempio, una percezione simile la ritrovo a volte in Jamie Hampton (sempre dalla parte del dritto). E a Madrid l’ho rivista anche in alcuni dritti eseguiti da Caroline Garcia contro Radwanska.
Come dicevo, non credo sia una garanzia di maggiore forza o efficacia del giocatore: ma di sicuro per chi assiste alle partite diventa un elemento che le rende più attraenti e spettacolari.
Aggiungo una cosa: se si è in grado di controllare a tal punto il gesto, non sorprende poi che si riescano ad eseguire variazioni che sono fuori dalla portata di molti giocatori: come il dritto in back in avanzamento che Garcia ha mostrato di saper utilizzare come replica ad una delle tante palle insidiose che Radwanska le aveva proposto.
Insomma, alcune cose di Caroline si capiscono immediatamente: le grande efficacia del servizio, l’incisività del dritto, la propensione a muoversi in verticale; altre però credo che le potrò individuare solo vedendola giocare ancora. La mia sensazione è che abbia un repertorio tecnico più vasto di quello che potrebbe sembrare superficialmente, e quindi solo dopo averla seguita molte volte si possa capire a pieno il suo tennis.
Malgrado questo, però, direi che Caroline rimane una giocatrice che parte da uno schema di gioco abbastanza comune, forse più maschile che femminile: attaccante dal gran servizio e gran dritto; rovescio meno sicuro (e anche meno bello da vedere) e con qualche difficoltà a spingerlo lungolinea.
Avere uno schema tattico di base piuttosto semplice potrebbe facilitarla nella crescita; lo dico perché chi possiede tanti colpi ma poi non ha ben chiaro come utilizzarli spesso finisce per incartarsi da solo, alla ricerca di combinazioni sorprendenti ma non sempre efficaci. Come succede a Kuznetsova, che a volte perde scambi in cui è in controllo perché opta per soluzioni che, se riescono, deliziano lo spettatore, ma che rispetto ad altre scelte più banali e dirette hanno una percentuale di errore più alta. Per capirci: un po’ come in questa famosa scena di Indiana Jones.
Garcia mi sembra una giocatrice concreta, senza eccesso di fronzoli, che però nelle situazioni difficili può utilizzare soluzioni sofisticate che molte tenniste più schematiche non possiedono.
Non sono certo di avere individuato del tutto i suoi punti deboli, i colpi che la mandano più spesso in crisi; ma soprattutto non sono sicuro in quale categoria di potenza possa essere annoverata rispetto alle sue avversarie. Sa tirare forte, ma fino a che punto e con quanto margine, non mi è del tutto chiaro.
È ancora molto giovane (è nata il 16 ottobre 1993) e ha iniziato il 2014 con una serie di sconfitte al primo turno; poi a marzo ha cominciato ad ingranare, e in aprile a Bogotà ha vinto il suo primo torneo, battendo in finale la sua prima top ten (Jankovic). Subito dopo ha condotto per mano la Francia in Fed Cup superando gli Stati Uniti a casa loro.
A Madrid ha sconfitto prima Kerber, poi un osso duro sulla terra battuta come Sara Errani, e ha fatto partita pari contro la numero tre del mondo Radwanska.
Chissà che anche per lei, come per Safina ed Halep, non sia arrivato il momento di un salto di qualità rapido e sostanziale.
Con i punti conquistati a Madrid per la prima volta è entrata tra le prime cinquanta nel mondo, 46. Purtroppo il taglio per l’ammissione al torneo di Roma è (logicamente) avvenuto prima del suo ultimo progresso, ed è un vero peccato che per pochi posti non sia riuscita ad entrare in tabellone, perché sarebbe stato particolarmente interessante rivederla subito alla prova.