TENNIS – Sarita on-fire, la riscossa delle serbe, un Murray ritrovato e la nobiltà rampante di Dimitrov e Raonic contro il blasone di Nadal e Djokovic: la stampa nostrana vive anche di questa morale che arriva chiara e tonda dalla giornata di battaglie alle spalle, e in tanti pezzi cogliamo le sfumature di un day straordinariamente, autenticamente diverso.
Fognini non c’è da tempo, il tennis azzurro al maschile piange, pare decisamente alle corde dopo il trionfo Davis, e Roger era davvero troppo papà per essere Federer… ma guai a fare di tutt’erba un fascio. Anzi, con un minimo di onestà, fatichiamo per davvero a vedere del negativo in questa edizione n.71 degli Internazionali, a parte il pumbeo del cielo di ieri e la pioggia che ha spezzato il programma, in qualche frangente. La terra rossa capitolina si avvia ormai al weekend di chiusura, ma lo fa con gioia, orgoglio, e offrendo grandi motivi per essere ricordata nella sua versione 2014: Roma quest’anno può aver dettato per davvero uno snodo importante del calendario, perché non soltanto restituisce speranze al movimento con nuove leve (non più nuovissime) pronte forse al grande salto, ma ci riconsegna anche tanti protagonisti e protagoniste del circuito come non li vedevamo da qualche settimana, se non da qualche anno. Dunque in grandissima forma, pronti e già messi a punto, giusto in tempo per le prossime, imminenti battaglie parigine.
La stampa nostrana vive anche di questa morale che arriva chiara e tonda dalla giornata di battaglie alle spalle, e in tanti pezzi cogliamo le sfumature di un day straordinariamente, autenticamente diverso: proprio nel giorno in cui partono gli Internazionali del futuro in quel tempio che è il TC Bonacossa di Milano, per tutti il “Bonfiglio” delle grandi speranze mondiali della racchetta.
Per gli amanti del tricolore, in una giornata che ha soddisfatto davvero tutti i gusti, c’è la grande, grandissima vittoria per Sara Errani, che i nostri taccuini già vedono, anzi voglio, come una regina, a praticamente trent’anni dal successo tarantino di Raffa Reggi. L’azzurra ha sconfitto 6-3; 4-6; 6-2 Na Li e accede per il secondo anno consecutivo alla semifinale, ma forse sarebbe meglio dire “Errani scavalca la Muraglia”, come titola il Secolo XIX di Genova. “Una piccola spinta in più le è venuta anche dal nuovo servizio destrutturato”, osserva con acume Stefano Semeraro su La Stampa, ma per la partita, la sorpresa c’è, come anche quella “grande lezione di maturità” di cui parla Gianni Valenti sulla Gazza. Sempre sul quotidiano rosa, Vincenzo Martucci ci ricorda che dall’altra parte c’era “la numero 2 del mondo, la regina della terra rossa di Parigi 2011 e quest’anno del cemento degli Australian Open, Li Na. Cancellando una montagna di 6 sconfitte su 6 con la cinese, con 12 set consecutivi, spesso nettissimi. Oltre al tabù contro le prime 3 del mondo. E ai 79 anni senza un’italiana semifinalista per due anni di fila”.
“Dopo una simile ricerca”, prosegue quasi in continuità la somma penna del maestro Clerici su La Repubblica, “come avviarsi al Centrale con molte speranze? Per incoraggiarmi, mi ero ripetuto l’antico proverbio americano. Esistono tre tipi di menzogne: lies, white lies, statistica. Quelle autentiche, quelle a fin di bene, e le statistiche. Mai come oggi il proverbio sarebbe stato vero. Sicuramente più consapevole del passato che il vecchio scriba, Lina avrebbe impostato il match da dominatrice, senza tener conto dei progressi, non solo tecnici, di Sara. Ha preteso di terminare ogni scambio con un vincente, soprattutto di rovescio, i più lungo linea, visto che oggi il tennis femminile si articola su ripetuti cross bimani. Ha giocato insomma secondo gli schemi del suo allenatore Carlos Rodriguez, quelli che ammiravamo nella Henin. O, forse, quelli che il geni odella Henin aveva suggerito all’allenatore Rodriguez. Di fronte alla presuntuosa marea di errori di Lina, alla fine 55 gratuiti, Sara avrebbe mostrato tutto il senso pratico, tipico, mi dicono, della famiglia e, suggerisco io, dei luoghi natali e dei loro abitanti. Avrebbe addirittura equilibrato le difficoltà di un lancio di palla sfuggente con la recente eliminazione del gesto iniziale, detto mulinello, raggiungendo l’ottanta per cento di prime. Sarebbe stata capace non solo di colpi regolari, ma lunghi, e di traiettorie ben scelte”.
Eppure c’è la semifinale, meritatissima. Anche perchè, tornando a Valenti, “in pochi avrebbero scommesso un euro sulla nostra piccola grande Sara da mesi alla ricerca di stabiliti’ dopo due stagioni mozzafiato. Invece lei ha stupito tutti regalandosi e regalandoci un’incredibile semi- finale. Come sognavamo, per dare lustro al nostro tennis e renderlo primattore nel weekend decisivo di questi Internazionali. Contro ogni pronostico, perché’ in pochi avrebbero scommesso un euro sulla nostra piccola grande Sara da mesi alla ricerca di stabilità’ dopo due stagioni mozzafiato. Invece lei ha stupito tutti regalandosi e regalandoci un’incredibile semifinale. E poco importa che Li Na, numero due al mondo, non abbia giocato la sua partita migliore. Certi match a questi livelli vanno vinti, punto e basta. L’azzurra ci è piaciuta perché ha lottato dall’inizio alla fine anche contro la pochezza del suo servizio che nonostante le modifiche nel movimento la lascia troppo vulnerabile alla risposta avversaria. Ha retto benissimo sul piano psicologico soprattutto dopo aver perso íl secondo set, affondando senza pieta’ nel finale quando la cinese ha patito un calo, forse dovuto a problemi fisici. Ma ciò che vogliamo sottolineare e’ come la Errani ha dimostrato ancora una volta di essere una giocatrice matura, capace di gestire e sfruttare fino in fondo l’onda lunga del tifo casalingo senza farsi sopraffare dalla tensione che nel corso della settimana ha distrutto le ambizioni di Fabio Fognini e cancellato la verve di Camila Giorgi. Sara ha carburato lentamente durante il torneo trovando nel momento giusto condizione e colpi dei tempi migliori. La profondità del dritto, la sicurezza nel rovescio l’hanno fatta esaltare oltre i suoi schemi compassati trascinando il pubblico del Centrale del Foro Italico. All’ inizio quasi incredulo di fronte all’eroina di casa che si stava prendendo a forza il suo palcoscenico; poi splendido compagno di viaggio verso il trionfo. Due semifinali consecutive in due anni sono tanta roba e la iscrivono negli almanacchi come unica italiana ad aver centrato questo obiettivo nell’epoca del tennis Open… Sara Errani dovrà superarsi. Lo spirito del Foro Italico potrebbe aiutarla ancora”.
Del resto, questo aiuto è già arrivato, ed è un favore che nasce dal personaggio Sarita: “Na Li è una donna da copertina – una celebrity assoluta in Asia, due Slam vinti, 20 milioni all’anno di capitale umano – non a caso immortalata per la seconda volta su Time magazine proprio in questi giorni, ma il titolo più grosso oggi se lo merita Sarita Errani”, ci ricoda Semeraro su La Stampa. Lombardo invece dalle colonne de Il Giornale la etichetta di rincalzo come “incubo delle pin-up”, e “per capire la reale portata generazionale di vedere anche quest’ anno Sara Errani in semifinale agli Internazionali Bnl, bisogna invece dare i numeri: la nostra, infatti, lotta e meraviglia dall’alto (si fa per dire) dei suoi 164 centimetri ed è praticamente una vera e propria irriducibile contro l’inevitabile evoluzione della specie. Per capirlo basta fare un salto indietro agli Anni Novanta, quando il circuito offriva in campo femminile ogni sorta di campionessa:eranogliannidellegambe della Graf, degli urletti di Monica Seles, della bellezza di Gabriela Sabatini fino ad arrivare all’eleganza di Martina Hingis. Ma anche gli anni di Arantxa Sanchez o di Jana Novotna, insomma fisici non proprio scultorei ma tenniste al massimo. Oggi, invece, girando per il Foro Italico, si scop re chela Errani è una specie di Panda in via di estinzione, perché le ragazze che negli Anni Novanta sono nate – figlie della rivoluzione Sharapova-, hanno una caratteristica principale: sono alte, magre, carine tendenti al bello e giocano lo stesso tennis. Diciamolo: sono un po’ tutte uguali, pin up in fotocopia.I numeri, appunto, parlano chiaro scorrendo il ranking (di altezza): si parte dal metro e 86 della Pliskova (22 anni), passando per gli 1 e 82 della Muguruza (21), gli 1 e80 della Tomljanovic (21), per scendere all’ 1 e 78 della stessina Bouchard (20). Poi ci sarebbero anche veterane- si fa per dire – come la Kvitova (1 metroe82)e la Azarenka (1 e83), e in mezzo una serie di stangone tutte all’inseguimento del fascino e dei successi di MissMaria. Ormai quasi vecchia con i suoi 27 anni e sempre troppo alta per tutte (1 e88). Figuratevi insomma la nostra Saretta, con quelle sue gambe da atletona e quel colpo che qualcuno – in tribuna – ha simpaticamente definito un«servizio smorzato». Eppure nel tennis succede”.
Così come succede che ci sia finalmente una tennista anomala, una che per intenderci, come rimarca Piero Valesio su Tuttosport, “Non si è fidanzata con Seppi. Visto il mood dei tempi avrebbe potuto, tanto per nutrire il suo personaggio. Ma nonostante ciò ha confermato di essere lo stesso un personaggio assoluto. E di che levatura: seconda semifinale consecutiva a Roma ottenuta dopo aver mandato a casa IA Na, la numero 2 al mondo. Sara Emani si è inserita così in una stagione tennistica segnata senza ombra di dubbio da Flavia Pènnet. ta sia in forza della splendida vittoria di Indian Wells, sia per l’enome battage che ha accompagnato il suo fidanzamento con Fognini. Laddove Flavia ha avuto qualche parola di non gradimento nei confronti di qualcuno del pubblico che l’ha fischiata contro la Bencie, Sara non smette di ringraziare chi l’ha sostenuta contro la cinese anche andando oltre le legittime perplessità sul buon esito della sfida”. ….. E poi “Diciamolo: il gioco di Sara, reso ancora più sentimentale dalla nuova esecuzione presentata qui a Roma, è una perfetta metafora dell’Italia di oggi. Che combatte, si sbatte, qualche volta riesce anche a vincere. Ma partendo sempre da un handicap strutturale: il servizio, il punto di partenza, per l’appunto. Sara ha conquistato la semifinale di oggi contro l’assatanata Jankovic servendo con un mezzo movimento che è assai più frequente incontrare nei circoli che non nei tornei Wta. Eppure c’è riuscita”.
Forse però riuscirà anche la riscossa di quel tennis serbo in rosa che sei anni fa pareva dominio annunciato, un lungo corso generazionale che avrebbe fatto di quelle due amiche – nemiche le vere antagoniste delle zarine russe, o di quelle regine belghe come Henin o Clijsters, già incredibilmente avviate verso il tramonto.
La costante di Serena è come il sole attorno al quale girano i pianeti, guai a vederlo sparire dall’orbita di un sistema che è il suo, intanto nel lotto delle semi c’è Ana Ivanovic, ma per il pubblico di Roma ci sarà anche Jelena Jankovic. Sarà lei l’anti-Errani, e riprendendo le parole di Stoppini sulla Gazzetta, “ha un vantaggio: sa già come si fa ad andare in finale a Roma. Jelena Jankovic non è esattamente la fotocopia di Miss Simpatia: urla in serbo verso il suo angolo ogni due per tre, lancia una maledizione alle righe colpite dalle avversarie, è una minaccia continua alla serenità del fratello coach Marko. Però gioca che è una bellezza, ha già eliminato Flavia Pennetta e ora si è messa in testa di conquistare la quarta finale romana, due delle quali vinte (2007 e 2008)”.
Passando invece al campo maschile, la definizione di Riccardo Crivelli sulla Gazzetta è impeccabile: “Da una parte la regalità, il blasone, la storia di conquiste consolidate. Dall’altra la nobiltà rampante: Roma mette in scena,nel torneo maschile, la sfida tra generazioni. Nadal e Djokovic, la forza del presente, contro Dimitrov e Raonic, il nuovo che avanza… Rafa, il sovrano di sei trionfi, respinge un altro dell’antica cerchia, quel Murray cui non basta dominare il primo set per compiere un’altra rivoluzione. Il numero uno è ancora double face, cioè senza mordente all’inizio e due metri dietro la riga di fondo (due vincenti nel primo parziale), prima di ritrovare soprattutto il servizio e le consuete, terribili traiettorie mancine, accompagnate da una grande produzione a rete, sintomo di intelligenza del campione che avverte le difficoltà del momento”.
“Non sappiamo se la grinta e il coraggio di cui dispone largamente gli basteranno per vincere su questi campi per l’ottava volta”, scrive Massimo Grilli sul Corriere dello Sport, “non sappiamo se da qui al Roland Garros (dove però la distanza più lunga delle partite non potrà che favorirlo) Nadal ritroverà la forma smarrita da tempo. Resta però viva l’immagine di un campione magari ferito ma che non si rassegna a perdere. Energie infinite e qualità morali indiscutibili”.
Di sicuro nessuna ricorda un Andy Murray così sul rosso: solo nel lontano 2011, e proprio sul Centrale del Foro Italico, quando nell’annus magicus del serbo fu il primo a far vedere le crepe del suo dominio, quegli scricchiolii che poi al 44 match saranno realtà con il successo di Federer sul palco del Philippe Chatrier a Port d’Auteil. Sempre Grilli scrive: “Rafa Nadal, il re della terra battuta, l’imperatore del Foro Italico, ha barcollato per il terzo giorno di fila ma è riuscito ancora una volta a non cadere dal piedistallo dove lo hanno issato i sette trionfi conquistati a Roma (su nove partecipazioni). Dopo i colpi al fianchi ricevuti negli ultimi due giorni da Simon prima e da Youzhny poi, a dargli la spallata decisiva sembrava potesse pensarci Andy Murray, il campione scozzese appena al settimo match di singolare su terra battuta del 2014, e che finora su quattro precedenti sulla terra aveva racimolato solo un set (il consuntivo totale vede Nadal nettamente in vantaggio, per 14 vittorie a 5)”.
Altro guerriero sceso nell’arena romana, stavolta con successo, è Nole Djokovic, uscito vincente dalla maratona contro il stakanovista per eccellenza, David Ferrer. A questo proposito rileva Crivelli: “Nole gioca un’ora e mezza di gran tennis, poi cala al servizio e robottino Ferrù risale con la consueta tigna, prima di arrendersi agli incroci maligni del serbo, che conquista il match point nel nono gioco dopo uno scambio di 38 colpi talmente in apnea da spingerlo a chiedere, una volta fatto il punto, la standing ovation al pubblico: «Perché qui mi sento a casa». Ma adesso sono invitati anche i giovani leoni”.
Conosciamoli allora, questi giovani leoni. Crivelli e Grilli si prendono la briga di darci qualche coordinata in più, per i profani in materia. Su Mr. Sharapova, “l’età, come la freschezza, conta eccome: il tedesco Haas porta addosso le cicatrici di una carriera luminosissima ma logorante, scivolata più volte al limite del ritiro per una miriade di infortuni e dopo essere stato dominato nel primo set, si ritira per il solito dolore alla spalla destra. Il bulgaro così può festeggiare due volte, per la prima semifinale in un Masters 1000 e per il compleanno, ricordato a suo modo subito dopo la fine del match da coach Rasheed, che gli rifila una torta in faccia”. Aggiunge Grilli, con un occhio al passato: “Non è stata tutta rose e fiori, la carriera di Dimitrov, nato ad Haskovo, città della Bulgaria meridionale non molto lontana dal confine greco e da quello turco. Figlio unico di padre istruttore di tennis e madre insegnante di educazione fisica ed ex giocatrice di pallavolo, è sembrato subito un predestinato. A 17 anni vince i tornei juniores di Wunbledon e Flushing Meadows, a 18 debutta nel circuito maggiore a Rotterdam battendo Berdych (superato anche qui a Roma, ndr). Sembrava tutto molto facile. I complimenti, i medi, i paragoni con Federer. Pensava di avercela già fatta, e invece era lontanissimo. La verità è che il passaggio dai tornei juniores a quelli maggiori è molto duro da affrontare. Insomma, il ragazzo dal braccio d’oro che sogna di vincere a Wimbledon – tifoso del Manchester United e con il poster di Pete Sampras nella stanzetta – ha scalato sì la classifica mondiale, ma molto più lentamente del previsto: numero 106 nei 2010, 76 nel 2011, 48 nel 2012, 23 nel 2013, 14 al momento attuale (quest’anno ha vinto due tornei, a Bucarest e Acapulco)”.
Un cammino graduale, forse oggi, vincente, un pò come quello di Raonic, di Milos, ora atteso al guado, contro il migliore tester possibile: “si allenava alle sei del mattino perché il campo costava di meno, è il primo giocatore della «Ninety Generation’ ad essere entrato nel gotha dei primi 10. Che fosse il miglior battitore del circuito era notorio fin dalle prime partite da professionista, ma sotto la cura Ljubicic-Piatti sta progredendo a grandi passi nella pazienza dei colpi a rimbalzo, nella lettura tattica dei match e nella concentrazione. Contro Chardy, il numero 10 del mondo perde per la prima volta il servizio nel torneo, gioca un secondo set pessimo ma nel terzo risale soprattutto mentalmente, lui che certo non è un terraiolo, continuando a martellare sull’asse servizio esterno-dritto ad uscire”.