A Roma, in occasione del torneo del Foro Italico, l’amministratore delegato Andrea Tomat ha ripercorso la storia del marchio italiano, in una intervista rilasciata al Corriere dello Sport che riportiamo di seguito.
Tutto è cominciato negli anni Ottanta, quando il momento economico assomigliava davvero poco a quello attuale. Il decennio in cui lo sportswear, e i suoi accessori, sono assurti a must del guardaroba maschile, con l’introduzione del “fridaywear” americano e del casual a tutto tondo. In quegli anni, per l’esattezza nel 1987, approda in Lotto Andrea Tomat, nato a Udine nel 1957 e formatosi in aziende multinazionali. Da Licencing Manager a Direttore Marketing, la sua scalata prosegue con iniziative coraggiose e sperimentazioni imprenditoriali – Stonefly ne è un valido esempio – fino alla carica di Presidente e Amministratore Delegato della Lotto Sport Italia Spa, che risale al 1999.
Ci racconta la storia della Lotto? «Si tratta di una storia lunga e articolata, la storia di un successo italiano che ha radici autentiche nella tradizione del nostro paese. Le calzature qui da noi, nel distretto di Montebelluna, sono un’esigenza da sempre, fanno parte del nostro Dna. Si è iniziato a produrne, artigianalmente, in montagna, nelle Dolomiti. E poi per chi dalla montagna doveva passare in pianura e aveva bisogno di scarpe che potessero permettergli di affrontare terreni diversi. Da qui allo sport, il passo non è stato così breve. Le prime produzioni sportive erano destinate allo sci, per ovvi motivi geografici. Dopo la Seconda Guerra mondiale, e soprattutto verso la metà degli anni Cinquanta e con il boom dei Sessanta, il desiderio delle persone di vestire era mutato: dalla mera funzionalità, la necessità di calzature adatte si stava gradualmente spostando verso un uso quotidiano, un consumo più articolato. Con l’avvio del turismo, e poi dello sport, i modelli hanno preso a moltiplicarsi, a diversificarsi, a evolversi». •
Quando si è passati dalla realtà artigianale alla vera e propria industria? «Con la trasformazione del mercato, sia quello dei consumatori che, per esempio, quello tessile. Dai materiali tradizionali, in primis il cuoio, si è passati all’utilizzo di fibre nuove, alla ricerca di risorse che assecondassero le funzionalità inedite richieste. Nel 1973 la famiglia Caberlotto ha fondato l’azienda, che ho rilevato nel 1999 con un gruppo di imprenditori della zona. In quegli anni la disponibilità di reddito, e le tendenze dal punto di vista della moda, avevano creato spazi prima impensabili per l’abbigliamento e gli accessori. Sport e tempo libero si fondevano in un tutt’uno diversificato, ma fortemente connesso. Lo sport diventava accessibile alle masse. In quel periodo spopolava il tennis. Ed è proprio con questa disciplina che Lotto ha mosso, è il caso di dirlo, i primi passi verso la notorietà. Le nostre calzature da tennis furono protagoniste della Coppa Davis del 1976».
Che rapporto ha Lei con lo sport? «Fa parte di me. Non sono mai stato un campione, ma ho praticato diversi sport, dallo sci al calcio, ma soprattutto sono diventato sempre più un appassionato di sport in generale. Mi piace dire che noi di Lotto siamo “sportivi per passione e globali per curiosità”. Nel senso che non ci accontentiamo mai dei risultati raggiunti, guardiamo sempre a nuovi traguardi».
E qual è il prossimo? «Non ce n’è uno solo, sono molti i sogni che continuiamo a coltivare. Sicuramente il consolidamento del nostro posizionamento sul mercato, il coltivare la nostra forte competitività e il nostro orgoglio italiano, la voglia di portare nel mondo il nostro know-how. Una aspirazione forse meno scontata è quella di conquistare una fetta più ampia di pubblico femminile: le donne sono notoriamente più sensibili, e anche più volubili, degli uomini. Il loro gusto in fatto di moda è più variegato e spesso molto più diffide da accontentare. Da anni lavoriamo sull’aspetto femminile delle nostre collezioni, anche occupandoci di sport che riscuotono successo tra le donne, come il running per fare solo un esempio. La parte performante ha già un suo seguito, ma ci piacerebbe allargare l’orizzonte al tempo libero, farci indossare quotidianamente dalle donne, come dagli uomini».