ROLAND GARROS INTERNAZIONALI DI FRANCIA – Roger Federer e i paragoni spontanei con il suo coach Stefan Edberg che nel ’96, a 30 anni, decise di appendere a racchetta al chiodo.
E’ da tempo ormai che ci si trascina con questo amletico dubbio: Roger Federer è ancora Federer o non lo è più?
Che non sia, e non possa più essere quello degli anni ruggenti, (2005-2007) è talmente ovvio che non ne si discute più. Per quanto fenomeno, indiscutibilmente fenomeno straordinario, quando ci si avvicina ai 33 anni anche se si è atleti naturali, superbi, fantastici, non si può giocare come quando se ne aveva 26 o 27.
Federer resta un essere umano. Quando si dice che è un tennista soprannaturale un pochino si esagera. Magari non tanto, ma un pochino sì.
Contro Tursunov aveva vinto 4 volte su 4, ma l’ultima volta – quest’anno a Indian Wells – in modo meno convincente delle precedenti: 7-6,7-6.
Sulla terra rossa Tursunov, russo di California, non è malissimo. La scorsa settimana aveva fatto i quarti a Nizza.
Tuttavia il miglior Federer normalmente avrebbe “scherzato” Tursunov.
Oggi non lo ha scherzato affatto: il primo set lo ha vinto con affanno, 7-5, il secondo lo ha addirittura perso. Poi ha allungato, 6-2, e nel quarto ha contenuto 6-4. Si capiva che dipendeva da lui per come avrebbe vinto, come sempre, anzi per la verità un pochino meno di sempre.
Io ho l’impressione che il Federer di oggi sia in grosso, grosso rischio con Gulbis al prossimo turno.
E mentre in passato avrei scritto che il risultato sarebbe stato interamente nelle mani, e nella racchetta, di Roger Federer, oggi mi sento di scrivere che dipende almeno altrettanto, se non di più, dall’imprevedibile Gulbis (che già nel 2008 qui fece intravedere talento da fenomeno ma poi è stato tutt’altro che continuo).
I precedenti risalgono tutti al 2010: Federer conduce 2-1, ma sulla terra rossa il bilancio è in pareggio e in Italia si ricorderà certamente il successo del lettone al Foro Italico.
Ho questa impressione perché quest’anno ho quasi visto più brutte giornate di Roger che belle.
Anche oggi contro Tursunov non mi ha convinto.
Troppe volte l’ho visto a rincorrere, in difficoltà prima sul servizio di Tursunov, poi sui dritti del russo-californiano.
So che Roberto Salerno aveva in mente un pezzo su Federer, e spero di non contraddirlo non avendolo ancora visto in pagina.
Ma il punto, per quanto mi riguarda, è vecchio come lo era nel…1996.
Quell’anno fu l’anno del canto del cigno di Stefan Edberg, per l’appunto diventato pochi mesi fa uno dei mentori, degli allenatori di Roger Federer.
Stefanello aveva annunciato già a gennaio di quel ’96 che quello sarebbe stato il suo ultimo anno. Anche quella fu una scelta originale.
Molti giocatori hanno preferito dirlo poco prima dell’ultima partita (Agassi, Navratilova…anche se poi ha cambiato idea più volte), altri non l’hanno addirittura mai detto (Seles, Pierce), forse sempre sperando di poter recuperare.
Ogni suo torneo fu una passerella.
Nostalgica, emozionante, e non costellata di sole sconfitte.
Che pure furono tante con avversari che normalmente il miglior Edberg avrebbe battuto agevolmente, a cominciare da quel Fleurian che lo sconfisse al primo turno dell’open d’Australia, per proseguire con tennisti di secondo piano e terzo piano come Siemerinck, Goellner, Caratti (!), Volkov. Dosedel, Karbacher, Boetsch, Stolle Junior e altri ancora.
Si poteva dire che a 30 anni Stefan Edberg, un maestro d’eleganza e del serve&volley, avesse disimparato a giocare?
No di certo.
Tant’è che quello stesso anno nelle giornate di vena fu capace di rimandare a casa in vari tornei gente come Stich, Hennman, Muster, Ivanisevic, Johansson, Martin, al Roland Garros nientemeno che Moya e Chang (vendicando la sconfitta patita nella finale dell’89, quando avanti due set a uno ebbe 10 pallebreak che non riuscì a trasformare!), e fece pure una finale al Queen’s.
Che vuole dire tutto questo?
Semplicemente che la classe era intatta, ma la continuità non era la stessa. Un giorno serviva dieci centimetri più corto, perché la schiena gli dava meno spinta, sulla rete arrivava con 40 centimetri di ritardo, la stupenda volee di rovescio diventava meno infallibile.
Non erano le punte di rendimento a mancargli. Era, la continuità, la capacità di giocare bene settimana dopo settimana come per tutte quelle, 72 (60 più del suo grande rivale Boris Becker! Pochi lo ricordano) in cui era stato n. 1 del mondo.
Un giocatore estremamente regolare nei risultati come lo svedese, che i regolaristi bisognosi di ritmo soffrivano enormemente (Muster su tutti), aveva cominciato l’anno a n.30, scivolò a n.54, si riprese con l’orgoglio del grande campione che non si voleva arrendere e risalì fino a n.14.
Stefan ricevette ovazioni, riconoscimenti e standing ovation in ogni torneo.
Aveva solo 30 anni Stefan. Non quasi 33 come Roger, ma anche il suo gioco aveva bisogno di una precisione millimetrica, di una rapidità di gambe, di riflessi e di un controllo esagerato dei colpi che erano sempre al limite della perfezione, inimitabili per gran parte dei suoi avversari, così come sono inimitabili quelli di Roger Federer per il quale anche non ci sono vie di mezzo: i suoi colpi passano un centimetro sopra la rete e per essere efficaci devono finire dove sono sempre finiti, dove lui vuole che finiscano.
Non è tipo, Roger, che si accontenti di mezze misure.
Il colpo, qualunque colpo, devo essere perfetto oppure talmente così poco imperfetto che a tutti deve parere perfetto (e forse lui è l’unico che si accorge che non lo è).
Stefan era talmente consapevole di non essere più a 30 anni quello che era a 25 (quando nel ’91 era n.1 del mondo) che aveva preferito annunciare il ritiro…tre anni prima di Roger. Anche se avrebbe tranquillamente potuto continuare a monetizzare il suo nome per 3/4/5 anni buoni.
Non smise perché non aveva più voglia di giocare, di allenarsi, di viaggiare.
Ma perché sentiva che i suoi anni migliori erano passati e non sarebbero più tornati.
Perchè certe sconfitte, anche se lui pareva accettarle con fairplay e il sorriso del vero gentiluono sulle labbra, non le sopportava.
Gli facevano male. Perchè capiva che erano più imputabili al suo progressivo declino piuttosto che al suo avversario.
Se ascolti Federer, ma anche Serena Williams, Tommy Haas, Radek Stepanek, o qualunque veterano ultratrentenne e ti dice che sta benissimo, non gli devi credere fino in fondo.
Devi anzi dubitarne. Tutto è relativo.
Non avranno il raffreddore, uno stiramento muscolare o il mal di schiena, ma non sono, non possono essere più gli stessi.
Edberg si fermò a 30, Federer non so quando – oggi ho parlato a lungo con il padre e mi pare Roger non ne abbia alcuna intenzione – Connors è andato avanti fino a 39, e così pure Rosewall.
Federer, come prima Edberg, sono calati con il passare degli anni, a volte di concentrazione _ basta meno a distrarli, e quattro gemelli poi non sono poca cosa no? – a volte di motivazione, oltre che di fisico. Mentre i loro avversari invece salivano di condizione fisica ed atletica, di potenza e…anche di convinzione nei loro mezzi quando dovevano fronteggiare ex grandissimi campioni che non erano più imbattibili come un tempo.
Per questo motivo – e Dio sa quanto mi piacerebbe sbagliarmi perché perfino un Roger che giochi a sprazzi degni dei suoi anni verdi vale il prezzo del biglietto più di tanti dai quali magari oggi può perdere-– non credo che Federer sia più in grado di vincere un grande torneo se in circolazione ci sono tutti i migliori, i Nadal , Djokovic, Murray, cui deve rendere 5/6 anni di vantaggio anagrafico, ma anche i Raonic, i Dimitrov che di anni in meno ne hanno 9/10.