ROLAND GARROS – Grande tennis d’un grande personaggio. Gulbis racconta Djokovic e Djokovic (con Bresnik) racconta Gulbis. Errani sfida Petkovic e…i giornalisti.
Il commento di Ubaldo al day 10 del Roland Garros
L’importanza di chiamarsi Ernesto, avrebbe detto Oscar Wilde. Prima o poi doveva succedere che il grande talento di quel matterello di Ernests Gulbis esplodesse in tutto il suo potenziale.
Inciso brevissimo: vicende di questo tipo mi fanno sperare che anche Fabio Fognini (cui non mi permetto certo di dare di matterello altrimenti mi arrivano valanghe di insulti da tutta la riviera di Ponente) un giorno ci riesca.
Nei quarti di finale a 18 anni qui a Port D’Auteuil 2008 tutti pensavamo che avremmo rivisto questo simpaticissimo ed estroverso lettone chissà quante volte.
Invece, mentre i famigerati Fab Four monopolizzavano il mercato degli Slam, impadronendosi regolarmente di tutti i titoli salvo pochissimi dal 2004 in poi (prima Federer e Nadal, poi anche Djokovic e Murray), facendo incetta anche di medaglie olimpiche da Pechino a Londra, il buon Ernests – guai a dimenticare la s finale, tutti i nomi di quel Paese finiscono con la “esse” ha tenuto a precisare lui – preferiva donnine di facili costumi (ricordate l’episodio di Stoccolma?), sbevazzate e gozzovigli.
“Ero con Novak Djokovic alla Tennis Academy di Nikki Pilic (a 14-15 anni), non ci incrociammo in totale più di un mese, ma lui era già superprofessionale… – risponde ad una mia piccola investigazione – Con noi c’era un croato che già a quell’età pensava soprattutto alle ragazze. Si vestiva smart, figo, profumato, occhiali da sole, per corteggiarle. Vedo Novak e lui che fa? Stretching! Ricordo che Novak mi disse ‘Sì puoi avere tutte le ragazze del mondo, ma per avere successo nel tennis devi fare così. Me lo ricordo bene ancora. Ed era un ragazzo di 15 anni!”
Stessa domanda farò poi a Djokovic: cosa ti ricordi di Gulbis? “Dovrei dire che cosa mi ricordo di lui? (e giù una risata). So che cosa vorresti sentire…So che è uno che ama scherzare sempre. Abbiamo sempre avuto un buonissimo rapporto. Non dividevamo la stanza, ma le stanze erano vicine. Ci allenavamo e giocavamo anche a carte, guardavamo la tv, ci conosciamo davvero bene. Era uno sempre superentusiasta della vita e potevi vedere che voleva godersela a…braccia aperte (e ride), se posso esprimermi in un modo politically correct“.
“Aveva grande talento – ha proseguito Novak – veniva ad allenarsi e giocava quei colpi ampi senza sforzo e sembrava senza preoccuparsi troppo. Rispettava il coach e i giocatori che…gli piacevano”-
Gli altri li distruggeva in allenamento e anche nei tornei. Aveva sempre grande fiducia in se stesso e anche se aveva solo 14 o 15 anni era facile pensare che sarebbe diventato forte. Aveva il suo gioco e non aveva paura. Era un perfezionista: quando usciva dal campo non era mai contento, voleva sempre migliorare. C’erano volte in cui aveva volgia di lavorare, altre in cui non l’aveva e quindi Niki (Pilic) doveva farlo lavorare“.
Poi Novak avrebbe chiarito quel che tutti dovrebbero sapere, e cioè che il talento non basta se non hai disciplina, professionalità, determinazione, ed equilibrio nel dosare la vita professionale e quella privata. “Forse tutte queste cose in lui non si sono combinate bene in questi anni, dal 2008 in poi, ma ora invece ha trovato la continuità e forse anche la voglia di dedicarsi sul serio a questo sport“.
Dopo di che Djokovic ha reso omaggio a Günther Bresnik, l’allenatore austriaco che in passato si è occupato di giocatori difficilissimi da gestire, Leconte e Skoff, per non parlare di Becker.
Bresnik, 53 anni, aveva detto l’altro giorno di aver imparato moltissimo dalla sua esperienza con Becker “perchè Ernests un po’ rassomiglia a Boris. Hanno la stessa esagerata sensibilità e Ernests ha un grosso problema con l’autorità… È duro da allenare perchè non accetta nulla passivamente, come un idiota, se non è convinto fino in fondo di quello che gli si dice di fare. Ma nella mia famiglia siamo tutti medici, avevo cominciato i miei studi proprio su qusti aspetti, sulla gente che ha dei problemi. E poi potrei essere suo padre. I giocatori che vengono dall’ex Unione Sovietica hanno un approccio diverso con gli anziani. Se vede un vecchio signore in piedi sull’autobus Ernests si alza e gli lascia il posto a sedere“.
“In un anno e mezzo di lavoro con Bresnik, ho saltato una sola seduta di allenamento, perchè avevo fatto le 4 e mezzo di notte…” ha confessato Ernests dopo aver battuto in 3 set Berdych che sembrava favorito per raggiungere la sua quinta semifinale in uno Slam, la seconda al Roland Garros dopo quella del 2010.
Ma come avrà fatto Bresnik a cambiare così radicalmente Gulbis e a dargli i giusti stimoli?
“Gli ho detto subito che per me il talento era bullshit (popò di toro – in italiano viene tradotta diversamente – è la traduzione letterale per chi non conoscesse l’espressione) e le mie regole non sono bullshit. Quando Ernests mi si è presentato alla mia accademia di Vienna nel 2012 gli ho detto: “Io me ne frego di quel che te fai alla sera. Tu puoi bere e uscire tutta la notte…quello che io voglio è che tu sia pronto alle 10 del mattino in punto fino a mezzogiorno e poi di nuovo alle 14 fino alle 17“.
Dopo qualche mese di serate ancora un po’ dissolute, Ernest si è deciso lui per prima rinunciare a troppi gozzovigli.
Gli è rimasto ovviamente il sense of humour, quello che gli ha fatto dire ancora sul campo appena battuto Berdych “Ah non gioco fino a venerdì, beh allora stasera posso andare a festeggiare“.
Beh, il suo tennis lo avete visto, il suo servizio è un gradino sotto quello dei tre giant-killers Isner, Karlovic e Raonic, ma se la media è sempre stata (conto Berdych) di 206 km orari, con punte su 224, beh capite che rispondergli non sarà facile neppure per Djokovic che pure stasera si è fatto un gran bell’allenamento di risposte ai cannonballs di Raonic. Quando ha messo la “prima” ha fatto l’80 per cento dei punti, 38 punti su 47, contro un giocatore come Berdych cui certo non manca il counter-punch nè la forza per ribattere.
Ha perso solo un game di servizio quando si è distratto un attimo, ma per il resto è stato quello che non è stato per 7 anni: molto continuo.
E come dice Ernests di se stesso. “Credo di avere uno dei migliori rovesci del circuito“.
Bresnik dice: “Ernests fisicamente è un mostro. Il più forte che io abbia mai avuto. È soprattutto molto rapido e coordinato. Se parlate con i genitori capite perchè: da piccolo era sempre fuori a fare qualche sport, mai con uno stupido computer. Calcio, basket, tennis…faceva tutto bene“.
“Ero portato a tutti gli sport con la palla – dice Ernests – credo che sarei potuto riuscire bene un po’ in tutti“.
Beh, la mamma di Ernests, attrice di teatro, a febbraio gli aveva detto che forse avrebbe fatto meglio a lasciare il tennis….”ma ora mi dice che se vinco il torneo non dovrei smettere!” ( e ride di gusto).
Non so se lo vincerà, ma a meno che Monfils non vinca il torneo – cosa abbastanza improbabile che se succede…prenderebbe uno stranguglione a tutta la famiglia Fognini! – Gulbis lunedì prossimo sarà un top-ten. Con 7 anni di ritardo, ma meglio tardi che mai, no?
Il titolo ovviamente è provocatorio. I critici più talebani dei miei titoli mi perdonino per una volta. Non mi sono mai annoiato con i Fab Four. Sono sempre stato, anzi, grato a loro quattro per i grandi momenti che ci hanno fatto vivere, chi più chi meno. Potrebbero anche essere irripetibili. Semmai, però, mi sono annoiato nel dire e ridire megli ultimi tempi che (salvo la brevissima e sfortunata parentesi Del Potro) non si affacciava mai un personaggio nuovo, un bel tennista (e Gulbis lo è) che giocasse un tennis divertente e vincente e che fosse un tipo interessante anche fuori dal campo.
Ernests Gulbis è tutto questo, evviva. Dei Fab Four manca solo il più titolato ma anche il più anziano. Non è per nulla detto che la situazione si ripeta. Ma che manchi stavolta Federer, magari la prossima volta Nadal, Djokovic o Murray, in mezzo a tanta pioggia ed umidità qui a Parigi si è goduto finalmente anche di una ventata d’aria fresca. Il vento della …Lettonia.
Saltando di palo in frasca, archiviata la vittoria in 3 set di DjokerNole su un Raonic che sono sicuro continuerà a progredire ancora, le rimonta di Maria Sharapova sulla Muguruza (dopo aver perso il primo set come le era successo con la Stosur) e della sorprendente Bouchard sulla Suarez Navarro che conduceva 4-1 nel terzo dopo aver perso il primo set da 5-2 e setpoint) registro la secca vittoria in doppio, 6-0,6-1, di Errani e Vinci sulle “aussies” Barty-Dellacqua.
Non avendo il dono dell’ubiquità non ho visto un punto del loro match, mi permetto di immaginare che non sia stato un grande spettacolo – Gulbis-Berdych lo è stato – e non sono andato neppure alla loro conferenza stampa.
Pensavo che non essendosi stancate troppo stavolta Sara avrebbe accettato di parlare anche del suo quarto di finale in singolare con la Petkovic perchè, si sa, i quotidiani hanno bisogno di notizie e parole di giornata, di roba fresca insomma. Oggi una notizia, o peggio un “parlato” diventa roba vecchia, decrepita, in un’ora.
I colleghi più coscienziosi di me che sono andati a sentire Errani e Vinci – cinque o sei – mi hanno raccontato una scena degna di una piece di Ionesco.
Adam dell’Itf ha infatto aperto la porta della saletta n.2 e la loro conferenza stampa richiesta espressamente da Vincenzo Martucci della Gazzetta dello Sport (di solito le conferenze stampa degli italiani/e le chiede il capufficio stampa Mancuso, ma non stavolta) avvertendo subito i presenti: “Only questions about doubles please“. Traduco: “Domande soltanto sul doppio, per favore”. Dopo di che:
“Questions in English?” chiede speranzoso, o di prammatica, il buon Adam pur avendo visto che i presenti sono tutti italiani. Silenzio, ovviamente.
“Questions in Italian?” dice allora Adam. Silenzio. Nessuno fa una domanda. Imbarazzo. Fedeli ed affidabili cronisti riferiscono che Sara e Roberta siano rimaste un attimo interdette. I giornalisti italiani si alzano e se ne vanno, abbandonando la sala stampa n.2. Fine della conferenza annunciata e mai “celebrata”.
Di commenti su questa vicenda io, nei giorni scorsi, ne ho fatti fin troppi. Fossi latino direi “Errare humanum est, perseverare diabolicum”, ma sono italiano, non gioco con le parole “erranare”, e la pianto lì, pronto come sempre a fare il massimo tifo per Sara che secondo me è favorita contro la Petkovic e la vedo tale anche in semifinale. Ma se qualcuno mi dicesse che non avrei dovuto nemmeno scriverne lo stoppo e gli dico subito: “Eh no, amico mio, io sono qui per raccontare quel che succede e non – come direbbe Bersani – a pettinare le bambole.” O, se preferite, ” a smacchiare i leopardi”.