TENNIS AL FEMMINILE – Alcune considerazioni al termine dello Slam su terra battuta. A Parigi confermata la tesi che nei Major in finale vince sempre chi ha il coraggio di attaccare. Il ruolo delle giovani e quello di una grande assente.
Prima di passare alla stagione su erba, questa settimana vorrei brevemente ritornare su alcune questioni emerse nell’ultimo Slam. Per prima cosa aggiorno definitivamente la tabella riguardante i principali tornei giocati sulla terra europea. Come si vede, da tre anni a questa parte vincono solo due giocatrici, Serena e Sharapova, e anche a Parigi si è confermata la situazione:
1) Ancora una volta vince chi attacca
Al termine della finale tra Sharapova e Halep, vorrei sottolineare un concetto che ho già enunciato molte volte; e lo faccio non perché sia una mia fissazione, ma perché, Slam dopo Slam, sembra diventare sempre più una regola, che non ammette nemmeno la classica eccezione.
Il concetto è questo: negli Slam femminili finisce sempre per vincere chi pratica il gioco più offensivo e cerca di prendersi la partita a suon di vincenti; mentre perde chi punta sul basso numero di errori non forzati.
Prima di approfondire la questione, apro una breve parentesi: personalmente trovo questo fatto uno degli aspetti migliori del tennis femminile, soprattutto se confrontato con l’evoluzione che sta prendendo invece il tennis maschile negli ultimi anni.
Ma non voglio andare oltre con il confronto tra i sessi che ci porterebbe troppo lontano, chiudo la parentesi e ritorno al nocciolo della questione.
Se ripercorriamo le ultime quattro finali disputate da Sharapova, si vede che Maria ha vinto quelle in cui ha fatto più gioco (contro Halep ed Errani), mentre al contrario ha perso quelle in cui sono state le sue avversarie a ottenere più vincenti, anche se con più errori non forzati (contro Serena e Kvitova).
Non dispongo di tutte le statistiche delle ultime finali dei Major, ma una cosa è certa: negli ultimi dieci anni ogni volta che si è presentato un netto contrasto di stili (a volte sono arrivate in finale giocatrici con l’impostazione molto simile), ha sempre finito per vincere la giocatrice con il tennis più intraprendente e di attacco.
Credo che Simona Halep avrebbe dovuto tener presente questo aspetto. E mi riferisco in particolare al terzo set, quando troppo spesso si è accontentata di allungare gli scambi in attesa dell’errore di Sharapova. Tre soli vincenti in dieci game sono davvero molto pochi, a maggior ragione di fronte ai 14 della sua avversaria.
Forse è stata tratta in inganno dal finale di secondo set, in cui sono stati determinanti i gratuiti di Maria sia nei game che hanno preceduto il tie break che nel tiebreak stesso (se non ricordo male gli ultimi quattro punti per Halep sono arrivati tutti da gratuiti di Sharapova).
Eppure che Halep potesse osare di più ed essere più coraggiosa si è capito dal modo con cui ha annullato molte palle break, prendendo l’iniziativa e sfoderando colpi risolutivi. Solo che questo atteggiamento ha saputo tenerlo quando doveva rincorrere, ma non quando doveva provare a passare avanti per vincere la partita.
2) La crescita delle giovani
Questo aspetto mi sta piuttosto a cuore perché sono convinto che un sito specializzato debba andare oltre i soliti tre-quattro nomi da copertina, e allargare l’orizzonte degli argomenti affrontati. Come più volte ho avuto occasione di scrivere, non conosco le tenniste junior, e quindi i ragionamenti che posso fare riguardano sì le più giovani, ma intese come giocatrici già in età tale da partecipare stabilmente al circuito WTA.
A Slam concluso, vorrei ritornare a due miei articoli scritti alcune settimane fa. Non lo faccio per rivendicare particolari meriti, perché basta andare a rileggerli per capire che in realtà non proponevo nessun ragionamento particolarmente brillante, nessuna ispirazione geniale. Era piuttosto il tentativo di fotografare criticamente la realtà e un suo probabile sviluppo.
A proposito delle tre migliori giovani del ranking, avevo scritto: “Alla portata di quasi tutte (le tre migliori giovani ndr.) risulta invece la top ten e la semifinale Slam. Una buona probabilità si può assegnare anche al raggiungimento della finale. Ma l’ultimo passo, quello della vittoria, sembra di gran lunga più difficile da compiere.
Da questi dati sembrerebbe quindi che Halep dovrebbe avere ottime speranze di migliorare il suo quarto di finale Slam; mentre Bouchard e Stephens potrebbero davvero farcela ad entrare nelle prime dieci. Quasi di sicuro almeno una delle due“.
Era il 26 marzo e non pretendevo certo che tutto si svolgesse nel giro di poche settimane.
In realtà Halep ha già confermato questa ipotesi, arrivando alla finale Slam e Bouchard si è di molto avvicinata al numero 10: attualmente è dodicesima, ma già settima nella race.
La cosa che trovo più significativa è che per formulare queste ipotesi non mi ero basato su intuizioni, e nemmeno su particolari azzardi. Il ragionamento era il frutto della semplice verifica dei dati attuali confrontati con quello che, a parità di condizioni, era accaduto nel recente passato.
Personalmente non amo molto il pronostico secco, basato su sensazioni o ispirazioni, forse perché troppe volte mi ricordo di averlo sbagliato. Ma trovo invece più interessante provare ad approfondire le vicende attuali, confrontandole con il passato per capire se ci sono linee di tendenza comuni, che possano dare l’idea di un analogo tracciato percorribile: se non con certezza, quantomeno con buone probabilità.
Seconda questione.
In un articolo successivo, più legato al presente, affrontavo il tema del ricambio generazionale, evidenziando le attuali difficoltà delle 24-25enni (Radwanska, Azarenka, Kvitova, Wozniacki, ma anche Kerber) che non sembravano più così pronte a raccogliere l’eredità delle attuali prime due del mondo (le ultratrentenni Serena e Li) nel caso loro non avessero più vinto:
“Senza dimenticare Maria Sharapova (nata nel 1987), se queste giocatrici non riusciranno a tornare ai livelli migliori, potrebbe darsi che quando le più anziane cederanno il passo (e prima o poi dovrà accadere) ad insediarsi al comando possano essere direttamente le tenniste che oggi hanno tra i 19 e i 22 anni (qualcuna tra Keys, Bouchard, Garcia, Muguruza, Stephens, etc.) o magari ragazze ancora più giovani.”
Beh, direi che a Parigi è accaduto proprio qualcosa del genere. Senza dimenticare Sharapova (appunto), sono state soprattutto le giovani a farsi avanti per riempire il vuoto lasciato dalle due “anziane” in difficoltà.
Non sto sostenendo che dopo Roland Garros questa situazione diventerà permanente e definitiva, ma di sicuro costituisce un ulteriore campanello di allarme per le giocatrici della generazione di mezzo, che in questo periodo dovrebbero essere, per età, nel massimo del loro rendimento.
In vista di Wimbledon sembra davvero difficile che Williams manchi il terzo Slam consecutivo, anche perché è quello giocato sulla superficie più veloce dei quattro; ma certo le nuove leve non si stanno facendo pregare per conquistare il loro posto al sole.
3) Vika, ci manchi
2012 Makarova Wozniacki Razzano Kerber
2013 Stephens Azarenka Lisicki Azarenka
2014 Ivanovic Cornet Cepelova Muguruza
In uno Slam normalmente fanno notizia i tennisti che vincono; ma quando a perdere è Serena Williams, le cose cambiano. I nomi che ho citato qui sopra, accanto ai diversi anni, corrispondono alle giocatrici che sono state capaci di sconfiggerla.
Da quando Serena è tornata a tempo pieno nel circuito (dopo le due stagioni dimezzate del 2010 e 2011), per contare le sue sconfitte annuali bastano le dita di una mano: quattro nel 2012, quattro nel 2013 e quattro (ma siamo solo a giugno) nel 2014.
Sarebbe però un po’ superficiale considerarle tutte allo stesso modo.
Makarova, Razzano, Stephens, Lisicki, Ivanovic e Muguruza hanno vinto durante uno Slam, ma nessuna è stata poi in grado di vincere il torneo. Di alcune partite (Makarova, Stephens, Ivanovic) si è anche detto che Serena non fosse al meglio fisicamente.
Ad andare a vedere in che turno si sono svolti i match, risulta che le maggiori possibilità di sconfiggere Serena si hanno spesso nei turni preliminari, o quanto meno prima delle ultimissime partite. Solo quest’anno Cornet ha vinto in semifinale (ma poi ha perso in finale da Venus), tutte le altre hanno fatto l’impresa nei quarti di finale o prima ancora:
C’è però un’eccezione, o meglio una doppia eccezione: Vika Azarenka, infatti, non è solo l’unica giocatrice che compare due volte nell’elenco, ma è anche stata l’unica capace di sconfiggere Serena in finale.
E siccome spesso di fronte a certe partite di Serena è accaduto che spuntasse il retropensiero che Williams potesse aver perso per scarsa voglia, magari per il desiderio di tornare ai suoi impegni extratennistici, è chiaro che se questo accade in finale si può essere certi che queste ipotesi non trovano fondamento.
Alle due partite vinte da Vika mi sento anche di aggiungere la finale degli US Open 2012, quando Azarenka arrivò a servire per il match e finì per perdere davvero di una incollatura.
Anche per questi dati penso che negli ultimi anni Azarenka sia stata quella che, almeno in alcune occasioni, più si è avvicinata ai livelli di Serena. Come dimenticare, ad esempio, la vittoria di Doha, quando fu capace di sconfiggere una Williams fresca della conquista del primato del ranking?
La questione del ruolo di Serena nel circuito per certi aspetti ha continuato ad aleggiare anche a Parigi durante la cavalcata vittoriosa di Sharapova.
Perché, inutile nasconderselo, tutti i ragionamenti e gli elogi che giustamente Sharapova ha meritato (la sua tenacia, la sua forza mentale) avrebbero potuto essere sempre accompagnati da una piccola nota a piè di pagina che avrebbe potuto recitare così: “**Serena esclusa”.
Intendiamoci anche Azarenka ha un head-to-head ampiamente negativo con Serena; e il suo tennis rende al meglio solo sul cemento. Ma nelle ultime stagioni secondo me è stata l’unica capace in alcune occasioni di porsi come credibile e realistica oppositrice della dominatrice del circuito. Per tutte le altre giocatrici, le imprese hanno più avuto il sapore dell’exploit inatteso, e forse irripetibile.
Ecco perché mi permetto di ripetere: Vika, ci manchi.