TENNIS FOCUS – Del Potro, Djokovic, Robson, Wozniacki e Stephens: tutte vittime recenti d’infortuni al polso. Servizi più veloci e stagioni più lunghe le cause. “I giocatori più forti sono arrivati al limite della capacità umane”, assicura Richard Berger, il maggiore esponente di chirurgia della mano della Mayo Clinic.
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Servizi più veloci e stagioni più lunghe hanno messo in crisi i polsi dei tennisti, come si è visto con Djokovic, Del Potro e Robson
Richard Berger, il maggiore esponente di chirurgia della mano della Mayo Clinic, non si è sorpreso quando due campioni, Juan Martin Del Potro e Novak Djokovic, si sono ritirati da alcuni tornei per degli infortuni al polso, negli ultimi mesi. Nel 2001, la Mayo Clinic aveva fatto presente che i migliori tennisti mondiali si stavano avvicinando ai limiti della fisiologia umana, servendo con velocità di rotazione di 1500 gradi al secondo. E ora che i migliori al servizio raggiungono velocità di quasi 250 Km/h e e passano i 1800 gradi/sec, i polsi sono al punto di rottura.
Quando la racchetta impatta la palla, il polso (un insieme di otto piccole ossa e svariati “cavi” che permettono tutti i movimenti della mano e del polso stesso) assorbe tutta la forza generata dal resto del corpo. La parte esterna, cioè il lato ulnare, è la più vulnerabile, perché c’è più spazio tra le ossa che dal lato del pollice, così tendini e legamenti sono meno protetti e più suscettibili di rotture e infiammazioni.
Berger, che quest’anno ha operato Del Potro e la ventenne inglese Laura Robson, mette sotto accusa atleti più allenati e racchette più veloci per aver creato “una forza eccessiva che oltrepassa la capacità del corpo di tollerare i suoi carichi”. Anche Caroline Wozniacki e Sloane Stephens hanno saltato dei tornei per infortuni al polso, in questa stagione.
Fino a poco tempo fa, molti professionisti che affrontavano dolori al polso si affidavano semplicemente al riposo per guarire i legamenti danneggiati. Ma nel 2007 Berger ha fatto una scoperta: ha cominciato a trovare microscopici strappi, nascosti da tessuti con presenza di sangue, troppo piccoli per essere rilevati da una risonanza magnetica. Dopo che lui li aveva ricuciti, i legamenti avevano cominciato a ripararsi. I suoi pazienti passano sei settimane con un tutore e dieci in riabilitazione. E siccome l’articolazione è rinforzata, dice che raramente, se non mai, li rivede per lo stesso motivo.
Secondo l’ATP, il 3,7% dei trattamenti medici nei tornei dello scorso anno erano dovuti ai polsi, non certo un’epidemia. Eppure, Berger stima che il 70% dei suoi pazienti abbiano delle rotture senza saperlo, e si aspetta che la necessità di interventi continui a salire. “I giocatori più forti sono arrivati al limite delle capacità umane”, dice. Prima o poi, pare, dovranno fare qualche passo indietro.
Un problema di distacco: in primavera, Berger ha scoperto che il legamento dorsale del polso sinistro di Del Potro si era staccato dall’osso, e l’ha riattaccato.
Quando Berger esclude altre diagnosi, spesso cerca la fonte del dolore in un insieme di legamenti chiamati fibrocartilagine triangolare, su cui si può intervenire in artroscopia.
Dopo che tre mesi di cure non avevano aiutato il polso della Robson, Berger ha diagnosticato uno strappo del legamento ulnopiramidale. L’ha operata in aprile, e lei spera di tornare in campo per la fine della stagione. Nel 2010, Del Potro era arrivato da Berger con una rottura del tendine dell’estensore ulnare del carpo. La sua classifica era scesa fino a 485 nei mesi successivi, ma a fine stagione era tornato al n.11.