TENNIS AL FEMMINILE – Campionessa di Wimbledon 2011, dopo quel torneo Petra Kvitova si era persa ad alti livelli negli Slam. Il ritorno al successo dopo tre anni ha sorpreso molti osservatori: cosa è accaduto nell’ultimo periodo e come ha fatto a tornare al vertice?
Quando sabato Petra Kvitova ha alzato per la seconda volta in carriera il Rosewater Dish dopo una partita giocata al limite della perfezione, la domanda più frequente è stata questa: “Perché una tennista capace di simili prestazioni ha dovuto aspettare tre anni per rivincere uno Slam?”
Prima di provare a rispondere vorrei fare una premessa. Questa rubrica esce alcuni giorni dopo gli articoli che si occupano dei tornei a caldo, con immediatezza. Da una parte è uno svantaggio perché non si può competere in termini di tempestività; dall’altra però si ha l’opportunità di conoscere le interpretazioni che vengono proposte dai media. Per quanto riguarda la vicenda di Petra Kvitova, ho notato la tendenza a spiegare il suo ritorno ai vertici in modo un po’ schematico: spesso evidenziando un unico, determinante intervento che sarebbe stato decisivo per farle recuperare il miglior tennis.
Avete presente il meccanismo delle fiabe in cui la bella addormentata viene risvegliata magicamente da un solo bacio? Ecco, direi che c’è chi ha provato a raccontare la vicenda di Petra in questi termini. Cito un paio di esempi.
C’è chi ha parlato dell’aiuto di uno psicologo dello sport che avrebbe finalmente rimesso a posto il delicato equilibrio della ritrovata campionessa. Peccato che Kvitova abbia dichiarato che si consulta con lui fin dal 2010.
C’è chi ha parlato di una dieta pre-Wimbledon che avrebbe consentito di recuperare la condizione fisica perduta: ma i progressi vanno datati all’inverno scorso, come si deduce da un qualsiasi filmato di inizio 2014.
Individuare un solo tema e farne il perno della questione è un modo di affrontarla molto accattivante. Il meccanismo della fiaba è antico ma sempre seducente: un bacio salvifico (un unico, decisivo intervento), e il risveglio è compiuto. Ma corrisponde alla vita reale? In realtà nella maggior parte dei casi i miglioramenti sono frutto di processi a lungo termine; e la maturazione, o il recupero, sono determinati da tanti elementi che si sommano in tempi diversi.
Nel 2011 Wimbledon era stato per Kvitova l’apice di una prima parte di stagione condotta ad altissimi livelli e le sette partite di Londra avevano rappresentato lo zenit di uno stile di gioco estremo, in cui l’eccezionale numero di vincenti era determinato da un tennis difficilissimo. Potenza, precisione, reattività, convinzione, tenute mentale: per giocare così, tutto doveva essere al massimo.
Di quel meccanismo straordinario, la parte che per prima si era inceppata era stata quella mentale. Dopo quel successo Petra non era più l’outsider spensierata, a cui nessuno chiedeva nulla, e per la quale tutto quello che veniva era in più. Dopo Wimbledon si era cominciato a parlare di lei come della futura numero uno, era improvvisamente diventata un soggetto da prima pagina, ambita dai media. Con il senno di poi possiamo dire che Kvitova non era pronta per quella nuova condizione.
Già la vittoria del Masters a fine anno venne ottenuta con modalità diverse: frammenti di partita straordinari alternati ad altri deficitari. Alti e bassi costituiti da game vinti e persi in serie, in modo sconcertante.
Poi c’è stato anche il calo fisico: piccoli infortuni, malattie frequenti, l’asma, la difficoltà a giocare nelle giornate calde. In parte questi limiti si conoscevano già, altri sono diventati evidenti allora.
Nel 2012 è arrivato anche il sovrappeso, che per due stagioni è risultato un handicap ulteriore. O meglio: è tornato il sovrappeso, perché la Kvitova teen-ager del 2009 (capace di sconfiggere a Flushing Meadows la numero uno del mondo Safina) non era certo filiforme.
Infine ci sono stati anche i problemi tecnici, legati probabilmente alle cattive condizioni generali e forse determinati anche dal tentativo di “strafare”, cercando di ovviare con il solo braccio alle altre mancanze. Si è innescato un circolo vizioso, e così i risultati successivi non sono più stati all’altezza del 2011.
Ma Kvitova negli ultimi mesi è stata capace di invertire il trend negativo e di ritrovare il suo tennis migliore.
Provo ad elencare alcuni punti significativi del suo rilancio.
1) Il recupero della forma fisica
Nell’ambito di un team che non ha mai cambiato la guida tecnica (David Kotyza la segue come coach da quando è entrata nel circuito WTA) Kvitova ha fatto ricorso a diversi preparatori atletici.
Il conto preciso l’ho perso: credo abbia cambiato tre, o forse quattro, trainer. Anche comprensibilmente, visto che in alcuni momenti la sua forma era gravemente deficitaria.
Finalmente all’inizio del 2014 Petra si è presentata in buone condizioni: dimagrita, di nuovo rapida e veloce (per i suoi standard). A gennaio alla prima partita ufficiale a Sydney ha lasciato un solo game ad una giocatrice ostica e tenace come Christina McHale, e poi ha vinto un match davvero convincente contro Lucie Safarova.
Tutto risolto? No, perché a Kvitova mancava una autentica sicurezza sul piano mentale e tecnico. Le incertezze sono emerse agli Australian Open, con la sconfitta subita da Kumkhum in un match in cui, di tutti i progressi mostrati la settimana prima, l’unico confermato era la buona condizione fisica di base. Per avere una reale solidità anche negli altri aspetti ci sarebbe voluto ancora tempo.
2) La risalita tecnica
– I progressi al servizio
Il servizio è il colpo fondamentale del gioco di Kvitova. Per poter condurre una partita con i ritmi adeguati al suo fisico, ha assolutamente bisogno di servire bene, in modo da ottenere un sufficiente numero di cheap point che le consentano di tirare il fiato durante il match ed essere così pronta e reattiva quando gli scambi si prolungano. Se invece dal servizio ottiene poco, ed è obbligata a lottare su ogni quindici, a lungo andare la sua lucidità ne risente.
La Kvitova di Wimbledon 2010 – 2011 serviva in modo più veloce e più efficace rispetto alle due edizioni successive (2012 – 2013). Nel 2014 in battuta è tornata quella di tre anni fa, se non perfino meglio. Questa tabella relativa alle partite londinesi lo dimostra:
Per recuperare il miglior servizio, il percorso nel 2014 è stato lungo e non lineare: partite buone alternate a cattive. Nei momenti peggiori degli anni passati, a Petra era venuto a mancare perfino lo slice ad uscire da sinistra. C’è stato un periodo in cui i rari ace li otteneva soprattutto con il servizio da destra ad uscire, ed erano più il frutto della sorpresa dell’avversaria che della qualità del colpo in sé.
Quest’anno ha cominciato a giocare sempre meglio lo slice, e a limitare i doppi falli nei momenti importanti (ad esempio sulle palle break). Poi ha aumentato l’incisività della seconda palla e, da ultimo, ha ritrovato efficacia nei servizi centrali. Può sembrare strano perché per altre giocatrici il colpo centrale risulta la soluzione più semplice, ma a mio avviso è il contrario per Kvitova. A quel punto, Petra è tornata ad avere tutte le armi a disposizione: servizi potenti, lavorati, angolati, al corpo; e una ottima seconda palla: un arsenale degno di una vera giocatrice.
– I colpi in movimento
Una buona condizione atletica non significa ancora giocare bene; è indispensabile, ma non è sufficiente. Formidabile colpitrice da ferma, negli ultimi tempi Petra ha cominciato a ritrovare la coordinazione tecnica ideale anche per colpire bene in corsa; sono ritornati i back difensivi di rovescio (che negli anni di crisi funzionavano pochissimo), eseguiti con sempre maggiore reattività. E se purtroppo nel suo Wimbledon 2014 abbiamo visto meno volèe rispetto a tre anni fa, due cose della Kvitova di quest’anno secondo me sono superiori a quella del 2011:
a) la rapidità nel back di rovescio
Considerate le sue possibilità, è stata fulminea in alcune difese contro Mona Barthel, come in due rovesci slice nel più bello scambio della finale contro Bouchard.
b) i colpi al rimbalzo in avanzamento.
Questo era un suo limite “storico”: nella cavalcata del 2011 alcuni clamorosi errori erano venuti nel colpire al rimbalzo correndo in avanti. Nel torneo appena concluso, invece, ha sbagliato raramente; credo sia da una parte l’effetto della maggiore capacità nell’abbassare il baricentro sul rovescio; e dall’altra il frutto dell’aggiunta di più topspin al dritto. Il tutto riuscendo mantenere una sufficiente compostezza nell’esecuzione.
3) La tenuta mentale
Ricordate la Kvitova ondivaga che aveva stabilito il record di partite giocate in tre set nel 2013? Era arrivata a livelli tali, che aveva cominciato a circolare la definizione di “P3tra” a sottolinearne graficamente la tendenza.
La solidità mentale è stato l’ultimo aspetto recuperato per tornare al massimo.
Dopo l’eliminazione choc di gennaio in Australia, Kvitova ha passato un periodo di estrema fragilità mentale nei momenti chiave dei match. Nelle ultime settimane prima di Wimbledon il gioco era chiaramente progredito, eppure mancava sempre il killer instinct.
Al Roland Garros in occasione della sconfitta contro Kuznetsova, nel terzo set Petra era arrivata a servire per il match, ma si era fatta brekkare (a zero, se non ricordo male). Ad Eastbourne contro Safarova conduceva per 6-1 5-4 e servizio: aveva mancato match point e invece di chiudere con un tranquillo 6-1, 6-4 aveva finito per perdere il game e poi anche il set per 5-7 (avrebbe vinto al tiebreak del terzo).
Ritrovarsi ad un passo dalla vittoria testimoniava che il gioco era cresciuto, ma la convinzione andava rafforzata.
Un primo importante salto di qualità si è avuto nella partita di esordio di Wimbledon contro Andrea Hlavackova. Avanti 5-3 con il servizio a disposizione, sono “puntualmente” arrivati i primi break point sulla sua battuta. Ma al contrario che nei match dei tornei precedenti, Petra ha saputo servire al meglio e vincere il set. Il secondo si sarebbe concluso 6-0. Tenuta sui punti chiave del primo set e massima concentrazione anche nel secondo: un bel progresso rispetto alla “P3tra” distratta e inaffidabile del 2013.
Idem contro Mona Barthel. Risultato: nessun turno di servizio perso nelle prime due partite. Non ho la certezza assoluta, ma mi pare che due partite di fila senza cedere il servizio non fosse mai riuscita a metterle insieme nel 2012 o nel 2013.
Probabilmente nel terzo incontro contro Venus Williams si è avuta la svolta definitiva. Un match da erba con una tale prevalenza dei servizi da farlo apparire più maschile che femminile: un solo break per parte per il 5-7, 7-6, 7-5. Petra si è trovata anche a due punti dalla sconfitta, ma ne è uscita servendo alla grande.
Una partita che ha elettrizzato il centrale e in cui il “testa a testa” così equilibrato ha finito per tirare fuori da ciascuna delle due contendenti risorse che forse neppure loro pensavano di possedere; un match davvero degno di due passate campionesse di Wimbledon.
Magari sbaglio, ma visto come sono andate le cose, credo che non solo sia stata la miglior partita del torneo femminile, ma forse anche quella che ha stabilito chi il torneo lo avrebbe vinto.
Tutto quello che è venuto dopo è stato in discesa; senza però dimenticare la difficile partita disputata in uno stadio distratto e svuotato di energie (subito dopo l’eccitazione di Kyrgios vs Nadal) contro una giocatrice anomala ed estremamente combattiva coma Zahlavova Strychova. Per una volta meno efficace in battuta, Petra si è letteralmente rifiutata di andare al terzo set a colpi di controbreak nel momento decisivo: 6-1, 7-5. A mio avviso Kvitova si è presentata all’atto conclusivo contro Bouchard avendo complessivamente giocato il miglior tennis. A quel punto, quindi, la vera incognita era proprio mentale: la pressione della finale le avrebbe giocato qualche brutto scherzo?
Come è andata a finire lo sappiamo tutti.
Conclusione fuori tema
Oggi mi prendo la libertà di una conclusione fuori tema. Spero che mi perdonerete, ma penso che farei male a non parlarne. Kvitova ha vinto il torneo, Bouchard ha raggiunto la sua prima finale, Safarova finalmente una semifinale Slam. Ma secondo me c’è stata un’altra protagonista che è uscita ingigantita da Wimbledon. Mi riferisco a Venus Williams: a 34 anni ha fatto vedere cosa è ancora in grado di fare una giocatrice della sua classe.
Ha dato una risposta a tutti quelli che, quando non era ancora riuscita a convivere al meglio con la sua malattia (e giocava brutti match), scrivevano articoli accorati suggerendole che forse era venuto il momento di ritirarsi, evitando così di sciupare la sua immagine. A chi voleva farle il “funerale sportivo” prima del tempo, Venus ha dimostrato che le capacità e l’orgoglio di una grande campionessa non vanno mai sottovalutati.