TENNIS –La sconcertante vicenda di Amburgo (che ha scatenato nuovamente l’attenzione sul ligure), sembra segnare un punto di non ritorno della storia professionale di Fabio Fognini, un tennista, ma soprattutto un ragazzo da recuperare in qualche modo. Anche il più severo
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Per quanto possa essere sgradevole tornare su Fognini che ha ricevuto molte attenzioni, e non tutte positive, da Ubitennis, non faremmo un buon servizio a nessuno tacendo sull’ultimo increscioso episodio che ha visto protagonista il nostro miglior tennista. Come ormai è noto, durante l’ultimo incontro disputato ad Amburgo, torneo dove difendeva la prestigiosa vittoria dell’anno passato, contro il serbo Filip Kraijnovic, il ligure è sbottato in un “zingaro di merda” che davvero non necessita di ulteriori specificazioni. Per quanto non si debba esagerare, e per quanto riteniamo altamente improbabile che un bravo ragazzo come Fognini possa avere venature razziste nel suo comportamento, l’epiteto segna un punto di non ritorno. A nostra memoria non si era mai verificato durante un match che un tennista così prestigioso e così in alto nel ranking si rivolgesse in modo così ingiurioso nei confronti del suo avversario. Il caso Koellerer – che va preso ad esempio molto di più che i casi Gulbis o, santo cielo, McEnroe – almeno restava confinato negli spazi angusti delle retrovie tennistiche. Ecco, il tennis farebbe bene a tracciare una linea oltre la quale non si può proprio andare. Non è più questione di multe, di soldi o non soldi.
Ma purtroppo, al di là della questione non secondaria del rispetto delle regole generali e di banali regole di comportamento civile, c’è un altro motivo per il quale si deve prendere la decisione di imporre un pausa di riflessione al tennista italiano. Fabio Fognini non può andare avanti così. Il ragazzo non ha la solidità nervosa di Gulbis o appunto di Mc, è uno che ci sta male. Se assistete ad una sua conferenza stampa lo vedrete 9 volte su 10 con gli occhi lucidi a tormentarsi le unghia mentre prova a darsi l’aria di spiritoso “maudit”, con battute che neanche in caserma andrebbero bene e con la complicità – che deve finire – di molti di noi, che alla fine cerchiamo quasi sempre di giustificarlo. Il risultato è un talento ormai quasi del tutto consumato, un futuro che al massimo potrà condurlo a qualche isolato exploit per grazia divina, ma soprattutto un ragazzo che ha ormai perso quasi del tutto sé stesso. Che di queste elementari considerazioni non si renda conto il suo entourage è cosa ancora più grave delle stesse mattane del giocatore. Che qualcuno dunque provi a far del bene al ragionier Fabio, parlandogli seriamente, spiegandogli che non puoi fare McEnroe se non sei McEnroe, cambiandogli quasi tutto.
Anche se non è certamente l’aspetto più rilevante, magari si potrebbe iniziare dalla postura. Tony Pickard raccontava spesso che la prima cosa che insegnò ad Edberg fu che doveva tenere la testa alta quando camminava tra un punto e l’altro. Il coach britannico aveva un problema diverso, il buon Stefan era troppo timido, troppo rispettoso. Forse se qualcuno cominciasse a spiegare che anche l’atteggiamento e il modo di camminare in campo ha una sua valenza e che quindi lui dovrebbe quantomeno provare a cambiare – anche se non è facile perché ha sempre camminato così da 20 anni – beh sarebbe un primo passo. Il segno di un’accettazione dei propri difetti e di una feroce determinazione a voler provare a cambiare. Ma se Fabio è convinto per primo che non ci sia nulla da fare, che i cambiamenti non sono necessari, che lui “si vede così e sta bene così”, che quelli che lo vorrebbero cambiare sono critici invidiosi cui non si deve dar importanza… beh allora qualsiasi cosa è inutile. Il primo a dover essere convinto di tentar di fare qualcosa cosa deve essere lui. Altrimenti nulla potrà servire.