TENNIS – Dopo la conquista del secondo titolo Atp in carriera, la storia dell’uruguaiano Pablo Cuevas assume una valenza ai limiti dello straordinario. Speranza di un paese intero, oggetto di un calvario senza fine, oggi Pablo può sorridere.
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Potranno mai, due settimane da favola, cancellare 22 mesi da incubo? La nostra risposta è certamente negativa ma Pablo Cuevas ha ottenuto in 15 giorni, quello che le vicissitudini imprevedibili della vita gli avevano negato. Le pensi tutte in quegli attimi, provi rabbia e paura di non poter tornare a competere per quello a cui hai dedicato gli anni più floridi e gioiosi dell’esistenza, sei convinto che l’insistenza con la quale il destino si prende gioco di te sia un ostacolo insormontabile dal cui confronto non si esce mai vittoriosi. Pablo Cuevas ce l’ha fatta, ha sofferto, lottato, è ripartito dai Challenger, ha inseguito il suo sogno e oggi è tornato, più forte di prima, quasi come se i 22 mesi di stop e le due operazioni al ginocchio subite, abbiano scatenato in lui una voglia di rivalsa e cattiveria che in precedenza non gli erano proprie (qualche buona prestazione, un paio di scalpi eccellenti come Roddick o Davydenko ma poco di più).
Pablo nasce il primo Gennaio 1986 a Concordia, in Argentina da padre argentino a mamma uruguaiana, di Salto. Due città distanti poco più di 38 Km e separate dalle sponde del fiume “Rio Uruguay”. Non a caso esistono rilevanti elementi sia dell’una che dell’altra nazione in Cuevas, specie nel tipo di gioco da lui espresso: rovescio a una mano tipico degli argentini e play-style che ricorda da vicinissimo Gaston Gaudio, specie in quel colpo poco fa citato, che nella finale di ieri partiva via dalla racchetta come se questa fosse una longa manus dell’arto di Pablo: un colpo sicuro, efficace e piacevole nell’esecuzione.
Per di più Cuevas non ha mai avuto dubbi sulla scelta della nazionalità, diventando eroe e speranza di un popolo che ha sempre dovuto ammirare con invidia i successi dei dirimpettai argentini. Cuevas porta con orgoglio la maglia della sua nazione, pur essendo l’unico singolarista di livello nel suo paese: basti pensare che i migliori tennisti della storia dell’Uruguay sono stati Diego Perez e Marcelo Filippini, tra gli anni 80 e 90, rispettivamente numero 27 e 30 della classifica Atp. Poco importa questo per Pablo che sfoggia con orgoglio il proprio patriottismo anche in Coppa Davis, per una nazione che fa dell’appartenenza al proprio territorio una caratteristica chiave. Piccola divagazione: vi siete mai chiesti per quale motivo la nazionale di calcio uruguaiana abbia 4 stelle sulla maglia nonostante la vittoria in due soli mondiali (1930 e 1950)? Il 1er Campeonato Mundial de Football fu organizzato nel 1930 proprio in Uruguay, ma prima di esso, la competizione tra nazioni coincideva con le Olimpiadi, per dar vita a quella che la FIFA denominava “Coppa del mondo dilettantistica”. Sono state 3 le edizioni svoltesi prima dei Mondiali che noi tutti conosciamo, 2 vinte dall’Uruguay e una dal Belgio ma non c’è loro traccia nell’albo d’oro ufficiale della FIFA. A riprova del patriottismo che lega gli uruguaiani alla loro nazione e alle loro imprese, l’Auf (Associazione uruguaiana di calcio) non ha mai eliminato quelle due stelle aggiuntive dalla divisa nazionale.
Al di là della fuorviante divagazione, l’uruguaiano Cuevas, prima dell’infortunio aveva ottenuto un best ranking pari alla posizione numero 45 e vinto il Roland Garros di doppio, ma gli era sempre mancato il titolo in singolare. Poi il calvario iniziato al Roland Garros 2011. L’osteocondrite degenerativa che lo ha portato alla prima operazione, l’insuccesso, il secondo intervento in Ohio e il lunghissimo stop. “Il momento più difficile? Certamente dopo la prima operazione. Ho ricominciato ad allenarmi dopo alcuni mesi ma subito dopo ho capito che sarei dovuto andare ancora sotto i ferri. Non conoscevo davvero la data del mio ritorno. Io non avevo certezze e i medici non davano risposte” ha affermato il recente vincitore di Umago “Nei momenti più difficili mi ha aiutato la consapevolezza che prima dello stop stavo esprimendo un buon tennis e di solito per un giocatore che subisce un lungo stop non è così”. Il tutto ha portato Cuevas ad uscire dal ranking Atp, prima del ritorno nel 2013 e della costante risalita, iniziata attraverso i challenger. Il destino lo ha portato a Bastad e Umag con la consapevolezza di poter far bene ma senza un coach fisso, dopo l’addio dell’argentino Orsanic. Pablo ha tratto giovamento dalla presenza di tre amici tra cui Facundo Savio, il suo allenatore “part-time”.
I due titoli Atp, su due finali disputate, specie quello ottenuto in Croazia, hanno confermato l’intelligenza tattica di Cuevas e la completezza del suo gioco: basti pensare alla differenza di strategia tra la semifinale (in cui cercava spesso l’uno -due con servizio e dritto e la discesa a rete) e la finale contro Tommy Robredo (dove ha prevalso il palleggio da fondo specie sulla diagonale del rovescio, mettendo in mostra una profondità disarmante).
Ovvio che l’uruguaiano non sarà mai un vincitore Slam o che non possa essere paragonato ai soliti noti, ma il tennis è anche questo e la storia di Pablo Cuevas è una storia di coraggio, volontà e testardaggine; è una storia che vale la pena di essere raccontata e letta. Perchè lo sport toglie ma delle volte restituisce, in virtù forse di quel fato che delle volte sembra scrivere una vita da film.