TENNIS AL FEMMINILE – Nel torneo di Montreal Ekaterina Makarova ha perso solo in semifinale dalla futura vincitrice Agnieszka Radwanska con due tiebreak. Il risultato raggiunto in questo torneo ha consentito alla tennista russa di salire in classifica fino al posto più alto della carriera, diciottesimo
Conferme e sorprese a Montreal: sorpresa per me è stata Radwanska che dopo aver giocato non molto bene la partita d’esordio (in linea con le difficoltà degli ultimi mesi) ha progressivamente ritrovato il suo tennis e finalmente vinto il primo torneo del 2014.
Conferma per Venus Williams che, se riesce a mantenere questa condizione, si candida davvero a ritornare protagonista del circuito. E conferma anche per Ekaterina Makarova, che grazie ad una serie di buone prestazioni (quarti a Wimbledon, semifinale a Washington e in Canada) raggiunge questa settimana il suo best ranking in carriera, con il 18mo posto.
Prima ancora di venire a conoscenza del primato personale di Makarova (obiettivamente non particolarmente significativo, visto che era già stata 19ma) avevo deciso che ne avrei comunque parlato, perché trovo sia giusto sottolineare il momento molto positivo di una giocatrice che ha avuto l’attenzione del media raramente; forse troppo raramente.
Mi si dirà che basta vincere per meritarsi il centro del palcoscenico e i titoli dei giornali: e questo è senza dubbio vero, però a volte anche il momento e la provenienza di una tennista possono contribuire a suscitare più o meno attenzione. E sotto questo aspetto direi che Makarova (nata nel 1988) è una giocatrice sfortunata.
È sfortunata per età e per nazionalità: quando ha cominciato ad ottenere discreti risultati nel circuito professionistico (attorno al 2008) era una ventenne che ad uno sguardo superficiale non proponeva nulla di particolare: in quanto russa apparteneva ad un paese che sfornava tante giocatrici di successo, e in questi casi si tende a privilegiare chi sta ai vertici del movimento nazionale; e per le russe c’era solo l’imbarazzo della scelta (Sharapova, Kuznetsova, Dementieva, Safina, etc). In più non si poteva nemmeno dire che fosse la promessa migliore del paese, visto che in quello stesso periodo stavano affermandosi almeno due giocatrici più giovani: Kleybanova (nata nel 1989) e Pavlyuchenkova (nata nel 1991).
Così Ekaterina ha continuato il suo percorso quasi sottotraccia, a parte qualche raro momento. Nelle prime stagioni di WTA il suo torneo di riferimento è stato Eastbourne, dove riusciva sempre a giocare il miglior tennis. Torneo particolare Eastbourne: con i prati ventosi a ridosso della Manica, i gabbiani che volano bassi, e il tintinnio degli anelli delle bandiere che urtano contro i pennoni ad accompagnare gli scambi. Ambiente (e pubblico) che sembrano sopravvissuti dal secolo scorso.
Nei primi tre anni Makarova non ha la classifica per accedere direttamente al tabellone principale di Eastbourne, ma riesce sempre a superare le qualificazioni; e si spinge regolarmente molto avanti: nel 2008 e nel 2009 fino ai quarti di finale; nel 2010 addirittura fino alla finale, che vince. Anche a distanza di tempo è facile ricordarsi in che posizione fosse in classifica quella settimana, visto che il numero è di quelli speciali: 100.
Aggiudicarsi il più importante torneo di preparazione su erba da numero cento del ranking non è impresa da poco, e se si va a vedere nel dettaglio il tabellone la vittoria assume un valore maggiore: dopo le prime tre partite di qualificazione Makarova aveva dovuto sconfiggere nell’ordine Pennetta, Petrova, Kuznetsova, Stosur, Azarenka. Otto partite di fila senza perdere un set.
Ma la “settimana della vita” può capitare nel tennis, e per un certo periodo è sembrato che si dovesse spiegare così anche l’exploit di Ekaterina. Infatti non si poteva dire che dopo quel successo la sua carriera avesse avuto una svolta; la sua storia è piuttosto quella di una tennista che, Eastbourne a parte, è cresciuta progressivamente migliorando la consistenza del proprio tennis giorno dopo giorno.
E se oggi proviamo a fare un bilancio, ci accorgiamo che il progresso c’è stato; i risultati cominciano ad essere ragguardevoli, soprattutto negli Slam. Quarti di finale ottenuti negli ultimi due anni agli Australian Open, a Wimbledon e New York; quarto turno a Parigi nel 2011. Ma per i media sempre un po’ troppo sottotraccia, a mio parere.
Personalmente quello che trovo interessante di Makarova, più ancora dei risultati (quest’anno ha vinto il secondo torneo della carriera a Pattaya) che sono in divenire, è la qualità del tennis: pur praticando una impostazione da fondo che a prima vista non si allontana molto dai canoni più diffusi del gioco contemporaneo, in lei ci sono alcune particolarità che meritano di essere sottolineate.
Per prima cosa l’aspetto più evidente: è mancina e delle caratteristiche tipiche dei mancini conserva alcuni pregi, a partire dal servizio slice con il quale costruisce molti punti. Poi citerei il grande equilibrio nei colpi da fondo: è una giocatrice che non ha quasi punti deboli, esegue con molta efficacia sia il dritto che il rovescio. L’importante è che arrivi bene in spinta sulla palla: quando è in forma, se con le gambe riesce a dare il giusto impulso allora è davvero molto difficile che sbagli. Non solo è molto efficace nei colpi in top, ma sa giocare con buon controllo anche quelli in back.
E in più ha una dote davvero rara: nei colpi da fondo nessuna geometria le è preclusa; sa indirizzare la palla ovunque in ogni modo. Può giocare il dritto incrociato ma anche quello inside-out (non solo dall’angolo ma anche dal centro) e lo stesso vale per il rovescio: sia incrociato che inside out, da qualsiasi posizione. Significa in sostanza che possiede l’intero repertorio tecnico per coprire tutti gli angoli possibili di campo. Se a questo aggiungiamo che le riescono con molta sicurezza anche i cambi di gioco lungolinea otteniamo una giocatrice che da fondo può veramente disegnare il campo come vuole.
Proprio per queste doti, contro Makarova il campo va coperto con molta cura, perché altrimenti sarà sempre in grado di eseguire il colpo necessario per indirizzare la palla nella zona sguarnita e capitalizzare lo spazio concesso.
Alta 1,80, magra ed atletica, pur avendo una statura che le consente di generare una discreta potenza riesce ancora a far parte di quelle giocatrici in grado di difendersi con efficacia, grazie ad un buon gioco di contenimento. Insomma: non picchia forte come le più alte Sharapova, Kvitova o Ivanovic, ma si muove e difende meglio di loro.
Cosa potrebbe migliorare del suo repertorio? A mio avviso la palla corta e anche il gioco a rete, soprattutto sul rovescio. Qualcuno potrebbe ribattere che Makarova è un’ottima doppista (ha vinto il RG nel 2013 con Vesnina, sua partner dal 2012, e raggiunto finale e semifinale in Australia): ma nel tennis contemporaneo non è detto che questo significhi essere impeccabili nel gioco di volo del singolare.
Direi piuttosto che Makarova ha altre doti da doppista: oltre al servizio, una risposta piuttosto stabile e sicura, anche sui prime molto potenti; e una speciale capacità nel lob, che gioca con sensibilità anche in singolare. Questa è un’altra qualità rara nel circuito: Ekaterina gioca pallonetti piuttosto efficaci; e li usa non solo nelle situazioni disperate, quando manca il tempo e lo spazio per il passante; per lei è piuttosto una opzione di pari dignità da utilizzare in alternativa ai passanti.
Ecco perché in precedenza parlavo di qualità del suo tennis: la completezza del repertorio da fondo le permette di dare vita a tanti schemi diversi, in cui i vincenti nascono da geometrie non banali o troppo ripetitive.
L’ultima aspetto tecnico che vorrei sottolineare è questo: pur non essendo mai andata (sino ad oggi) oltre al 18mo posto, Ekaterina è in grado di giocarsela anche con le avversarie più potenti. Non parte battuta contro nessuno, nemmeno contro chi è in grado di tirare più forte, come Serena, Lisicki o Kvitova (tutte già sconfitte da lei). E del resto lo ha dimostrato in diversi tornei importanti, Slam inclusi.
Alcuni suoi match mi sono rimasti particolarmente impressi per l’importanza dell’avversaria e per la qualità agonistica. E se è vero che la superficie su cui ha raccolto i migliori risultati è l’erba, è anche vero che agli Australian Open si trova particolarmente bene e ha giocato diverse partite memorabili.
Nel 2012 ha sconfitto Serena Williams (qui si può vedere l’intero incontro), e due anni dopo Venus (e la Venus del 2014 abbiamo capito che non è giocatrice da poco). La partita contro Venus secondo me è stata una delle più spettacolari e divertenti disputate in questa stagione.
Ma in Australia devo ricordare almeno altri due match vinti contro giocatrici campionesse Slam: con Marion Bartoli nel 2013 e con Ana Ivanovic nel 2011.
Due partite in cui l’andamento del punteggio aveva fatto parlare di lei come di una giocatrice senza killer instinct: contro Bartoli avanti 5-0 nel terzo set aveva mancato tre match point in game differenti finendo per farsi rimontare e perdere tutti i break di vantaggio. Quel giorno, sovrastata sul piano del gioco, Marion aveva cercato di trasformare il match in un duello psicologico, provandole davvero tutte (compresa una posizione iper-aggressiva in risposta per indurre all’errore Makarova alla battuta, e poi anche il chip&charge). E Bartoli sembrava quasi avercela fatta, salvo però perdere di nuovo la battuta sul 4-5 quando sembrava che l’inerzia fosse ormai girata.
Quasi epico il match contro Ivanovic: un primo turno lottatissimo, con le due giocatrici che, più orientate a fare il vincente che a far sbagliare l’avversaria, si erano messe “in palla” reciprocamente, arrivando così a giocare a tutto braccio: un match concluso 10-8 al terzo e con 5-6 match point mancati da Makarova lungo il percorso. Ma anche in quel caso Ekaterina alla fine era riuscita ad aggiudicarsi la partita.
Insomma, forse non avrà il killer instinct, però penso sarebbe sbagliato definirla una perdente, incapace di aggiudicarsi le partite che sembrano già vinte. A fatica, magari soffrendo e lamentandosi, ma alla fine i match riesce a chiuderli. Del resto non sarebbe la vera Makarova se rinunciasse ai soliloqui e alle critiche tra sé e sè nei momenti difficili. Forse in qualche occasione mostrarsi glaciali sarebbe più produttivo, ma ormai è arrivata a 26 anni comportandosi così e sembra difficile possa cambiare.
La domanda che sempre ci si pone sempre in questi casi è fin dove potrà arrivare. Io non saprei cosa rispondere anche perché rispetto alle sue connazionali Makarova appare un caso abbastanza anomalo: sta seguendo un percorso di crescita non proprio usuale, visto che le giocatrici russe di solito tendono a maturare prima di quanto è accaduto a lei. Anche per questo secondo me è particolarmente difficile fare valutazioni. La sua parabola è al vertice o no? In ogni caso: nel singolo match ha dimostrato che può sconfiggere chiunque, ma per spingersi ancora più in alto occorrono costanza e grandi prestazioni ripetute più volte. Tante settimane come le ultime che ha saputo giocare questa estate.