TENNIS – L’articolo di Ubaldo è stato scritto appositamente per questa mostra ospitata al Caffé dello Sport di Via Mazzini. L’esposizione ha presentato fotografie, tabelloni di tornei FIT, racchette di legno, magliette, scarpe da tennis vintage, e vari articoli a tema scritti da personaggi del luogo e non dedicati al Tennis Club di Anghiari, associazione fondata nel 1973 ed operativa a tutti gli effetti sportivi e tennistici dal 1974
Non ricordo di aver visto nascere il Tennis Club Anghiari proprio nel giorno preciso in cui è nato, ma nel ’74 avevo 25 anni, con tutta la mia infanzia estiva e prima gioventù vissuta lassù in cima, sul passo della Libbia, alla Scheggia, la residenza dei D’Afflitto, la famiglia di mia madre, dei suoi genitori e (3) fratelli. Ma se non l’ho visto il primo giorno l’avrò visto il secondo o il terzo. E ricordo l’oooohh di soddisfazione, la grande gioia nel vederlo realizzato dopo essermi entusiasmato alla notizia della sua costruzione. Ricordo bene il cartello lassù, in cima alla Libbia, con le due frecce incrociate, una che indicava 18 km per raggiungere Arezzo, l’altra i 9 km per arrivare ad Anghiari. Il tennis ce l’avevo nel sangue, ero nato praticamente con la racchetta in mano. Papà era stato Campione Italiano di seconda (e poi anche di terza) categoria a squadre, prima di diventare dirigente e poi anche presidente del Circolo Tennis Firenze, quello delle Cascine dove lui e noi figli avremmo sempre giocato. Là dove, contro il muro, e con uno dei primi rovesci a due mani dell’epoca – sebbene il maestro del C.T Firenze andasse ripetendomi che con il rovescio a due mani sarebbe stato impossibile farsi largo nel mondo del tennis: “L’ex campione d’Italia Beppe Merlo (oggi ottuagenario che mi aveva impostato) è l’eccezione che conferma la regola”. Jimmy Connors e Chris Evert, Bjorn Borg, non erano ancora apparsi all’orizzonte – avevo cominciato a tirare palline su palline fino a far sbriciolare il muro. D’estate, su alla Scheggia, contro il muro arrotondato del garage sotto la loggia, avevo misurato l’altezza della rete e tirato una riga nera all’altezza del nastro, 0,914 m al centro e 1,07 m ai lati. Lì, rompendo i timpani (e non solo) a mamma che voleva riposare al pomeriggio, giocavo ore e ore,dopo aver sorteggiato un tabellone di Wimbledon a 32 posti, in cui mi pare la testa di serie n.1 fosse Rod Laver, la n.2 Ken Rosewall e non so più dove era capitato Nicola Pietrangeli. Il mio Wimbledon durava tutto il mese delle vacanze. Giocavo un colpo come Laver e il colpo successivo come il suo avversario. E mentre giocavo da protagonista impersonando i due avversari, imitandone nel gioco le caratteristiche – Manolo Santana lo facevo giocare solo colpi da fondo e di diritto era più forte ed incisivo che di rovescio, Roy Emerson si buttava sempre a rete e preparavo il servizio con tutta quella rotazione oscillatoria che lo caratterizzava – ero anche il telecronista. Con toni a volta entusiasti, a volta pure drammatici, facevo telecronaca dal primo punto alla fine del match (che quasi sempre vincevano i favoriti, salvo rare mezze sorprese): “Serve Rod Laver, gran risposta di Martin Mulligan, ma spettacolare voleè di Laver! Ahi, ahi , niente da fare per Mulligan colto in contropiede: 40 pari, annullata coraggiosamente la palla break, tutto da rifare!” Scopiazzavo qui, nelle mie fanta-telecronache, il telecronista dell’epoca, Giorgio Bellani. “Tutto da rifare!” e “Colpo telefonato!” erano due sue riconoscibilissime tipiche frasi, alla stregua de “Il circoletto Rosso” di Rino Tommasi. Di Giorgio Bellani seguivo spesso da solo, fra fine giugno (e fine scuola) e luglio le telecronache da Wimbledon alla tv, in bianco e nero, sistemata con tante seggioline nella cappella della chiesetta costruita alla Scheggia dove Don Giulio celebrava la messa alla domenica mattina (per chi non se la sentiva di fare la scarpinata verso la chiesa “vera”, a Gello). Era la stessa cappella-stanza tv dove la mia famiglia, i villeggianti e i contadini di tutti i poderi vicini, fino a Colignola, si ritrovavano nel pienone del giovedì sera per veder prima la leggendaria “Lascia o Raddoppia” di Mike Bongiorno e poi, anni dopo, a tifare per questo o quel Paese per “Campanile Sera”, sempre condotto da Mike. I match di Wimbledon, erano rigorosamente 3 set su 5. E duravano ore.
Giorno dopo giorno. Sui 9/10 anni, fino ai 14, mia madre prese a portarmi come premio per tanta passione a giocare ad Arezzo, alla Palestra San Clemente, con i giovani più forti dell’epoca, Roberto Verdelli, Giancarlo Niccolai e, ma più debole, Patrizio Bertelli, oggi più noto come Mister Prada.
Ah se ci fosse stato già il campo di Anghiari!
Ad Anghiari noi di famiglia si andava a fare un po’ di spesa, fin dall’epoca in cui la straordinaria fantastica strada in discesa di 3 km a capofitto verso Sansepolcro non era ancora asfaltata e c’era il cartello che dissuadeva le vecchie Balilla con i freni antiquati ad avventurarvisi. Amintore Fanfani non era ancora diventato Presidente del Consiglio. Fu lui, che abitava ad Arezzo ma aveva lo studio anche ad Anghiari a portare l’asfalto sulla Libbia e dintorni.
Salto 15 anni. E a 25, con sempre il tennis nel sangue, un paio di Campionati Italiani di seconda categoria vinti in doppio, eccomi a passare le mie estati a Tavarnelle, 5 km da Anghiari, in un vecchio essiccatoio del tabacco a La Banchina (dove si coniava moneta secoli e secoli prima) ristrutturato da mia madre. Il nuovo campo da tennis, costruito vicino al campo da calcio e sulla strada per arrivare ad Anghiari, non poteva sfuggire alla nostra vista. Per noi è stato più importante dell’arrivo della Coop! Delle macellerie migliori di tutta la Toscana, dei preziosi tessuti artigianali di Busatti. Del castello di Sorci, delle scarpe di Soldini, dei negozi degli antiquari, Calli e gli altri.
Con il tennis non mi sono mai annoiato. E Paolo Rossi era uno sparring ideale.
Altro salto: Inizio anni ‘90, nasce mio figlio Giancarlo, Paolo Rossi è il suo maestro, il papà di Paolo l’ammirato spettatore delle prime evoluzioni tennistiche di Giancarlino, fino a 14 anni fra i migliori ragazzi toscani. E poi alla sera, doppi, doppi e doppi. Salvo che con Giuseppe Di Leva che voleva giocare solo singolari. Match accanitissimi, fra una telecronaca televisiva e l’altra, questa volte vere, per Tele Capodistria e per Tele+. Con il Tennis Anghiari, quel mai abbastanza benedetto campo da tennis spuntato come per miracolo sulla collina, per più di 10 anni le mie vacanze
fra i tornei di Wimbledon e dell’US Open non ha avuto prezzo. Impagabile. Quando si rigioca?