TENNIS INTERVISTE – Michael Chang, protagonista della Grande Sfida del 17 e 18 ottobre ha parlato con Ubaldo Scanagatta del suo rapporto con l’Italia, della famosa sfida con Lendl e dell’unica opportunità di arrivare al numero uno del mondo.
L’intervista a Chang su Nishikori prima della semifinale degli US Open.
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Pubblichiamo la seconda parte di un’intervista fatta dal nostro direttore Ubaldo Scanagatta a Michael Chang, allenatore di Kei Nishikori e uno dei quattro protagonisti della Grande Sfida,
Qual è il tuo miglior ricordo dell’Italia?
Manco dall’Italia dal 2003. Sono stato a Torino, Milano, ovviamente a Roma per lo più, non ho avuto grandissimi risultati ma mi sono sempre divertito. La gente è fantastica, così come il cibo. Ora ho due figli, uno di tre anni e mezzo, l’altro di un anno e mezzo per cui non viaggiamo molto.
Quali sono le differenze tra l’essere un giocatore e l’essere un allenatore?
È molto diverso ma eccitante. Ho giocato per diciassette anni e ora ho l’opportunità di allenare Kei, che sta migliorando molto ed è bello vedere i suoi progressi.
Ti ricordi quando hai avuto l’opportunità di diventare numero 1 a New York?
Sì, in finale contro Pete (Sampras) nel 1996. Ci sono stato molto vicino, non mi ci sono mai più avvicinato. Se avessi battuto Pete, o se Pete avesse perso contro Corretja nei quarti…
Quando Pete stava male al punto di vomitare.
Sì, non ricordo se erano ottavi o quarti ma ebbe anche un match point a sfavore.
È un grande rimpianto per te?
Ovviamente è un grande risultato. Ma a fine giornata, se hai dato tutto, se hai dato il massimo, non c’è altro che ti devi chiedere. Non avrebbe cambiato il mio modo di essere.
Sei ancora religioso?
Sì, molto.
Ricordo un aneddoto. Durante il match contro Lendl a Roland Garros, mentre avevi i crampi, sentisti una voce che ti diceva di non mollare.
Ero molto convinto di non mollare. È qualcosa che non dimenticherò mai. Qualche volta, la cosa più facile è mollare ma se molli non saprai mai come andrà a finire.
Sei famoso perché mangiavi banane ai cambi campo. Pensi che sia ancora utile o i tempi sono cambiati? Dai banane a Nishikori?
No, non gliele do. Però penso sia ancora utile, alcuni lo fanno ancora.
Parliamo del tuo famoso match con Lendl. Io commentavo il match in TV e ricordo di essere rimasto colpito dalla tua tattica. Pensi che giocheresti ancora così oggi?
Beh, non lo so, è molto difficile da dire. Le cose sono molto diverse ora. Avevo 17 anni, è tutta un’altra prospettiva.
Ogni tanto vedo alcuni giocatori che rispondono, specie sulla terra battuta, molto dietro alla linea di fondo. Ma io non penso che rispondere così avanti fosse una mancanza di rispetto.
Sì, penso che, in condizioni normali, potesse apparire irrispettoso. Ma con quelle circostanze, con i crampi eccetera, ho fatto quello che sentivo fosse giusto. Nessuno mi ha mai detto che fosse irrispettoso. Perché tutti quelli che capiscono il tennis, capiscono che c’è una differenza nel farlo sul 6-0 5-0 oppure in quelle circostanze.
All’Equipe hai detto che non hai mai parlato con Lendl di quella partita. Perché?
Parlo con Lendl di molte cose però non so perché non abbiamo mai parlato di quella partita. Non penso ce ne sia bisogno.
Se ci sono esibizioni tipo quella di Genova, è anche grazie a quella partita. Hai più giocato contro di lui in una situazione che in qualche modo ha ricreato quella situazione?
Uhm, no. Abbiamo giocato una volta nel Senior Tour quattro anni fa a Francoforte, su terra. Persi 6-4 6-2 e mi sono fatto male a fine primo set. Poi abbiamo giocato un’esibizione con Julia Görges e Andrea Petkovic.
E con chi giocavi?
Un paio di game con Julia, un paio con Andrea e alcuni con Ivan per cui è abbastanza difficile dire chi ha vinto e chi ha perso!
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