TENNIS FOCUS – A due giorni dalla Grande Sfida di Genova e Milano, ecco i “flash” che McEnroe, Lendl, Chang e Ivanisevic accendono nella mente di un malato di tennis degli anni ’80 e ‘90.
Ormai manca poco, lo sappiamo….Venerdi a Genova e sabato a Milano, rivedremo quattro miti del tennis degli anni ’80 e ’90. Ebbene sì: stiamo parlando dei due “quasi nonnetti” McEnroe e Lendl e dei due ormai maturi ragazzi degli anni ’90, Ivanisevic e Chang. Qui non si vuol scrivere l’ennesimo pezzo celebrativo, ricordare tutti i loro successi, i loro risultati, le loro carriere. Qui ci si chiede, semplicemente: se un malato di tennis di quei decenni chiude gli occhi e riflette, cosa ricorda di loro? Quali flash, quali immagini, quali ricordi gli vengono subito alla mente? Beh, è un esercizio che chi scrive vuole provare a fare…Per invitare i lettori un po’ agèe (si fa per dire) a fare altrettanto, e anche magari per trasmettere ai più giovani qualcosa di autentico, genuino, istintivo, diverso da una pagina di wikipedia, utile a capire cosa hanno fatto, ma forse non a comprendere chi erano e sono…
John McEnroe:
la rabbia: è la prima cosa che viene alla mente: il viso di Mac corrucciato, imbronciato, iroso, esplosivo. Mac che grida, Mac che protesta, Mac che sbotta, Mac che ricopre di volgarità giudici di sedia, di linea, fotografi cameramen. Una rabbia spesso distruttiva, ma in realtà anche spesso talvolta produttiva, per lui…Quante volte sapeva canalizzare quella forza negativa in energia positiva, vincente…Mac viveva meglio nella bagarre che nella quiete…E talvolta proprio per questo scatenava la tempesta. Solo in rari casi ne pagava le conseguenze, anche se Dio solo sa cosa accadde nella sua mente dopo aver gridato “chiudi il becco!” nel microfono di un cameraman sul centrale di Parigi nella più infausta delle sue giornate.
il talento e la dolcezza: sembrano parole in contrasto, e sono infatti parole pienamente antitetiche a quelle scritte poco fa, non c’è dubbio, ma Mac era questo. Era tutto ed il contrario di tutto, il bianco e il nero. Due minuti dopo averci condotto nell’abisso di un accesso di una rimostranza rabbiosa e volgare, ci sollevava oltre le nuvole, nel campo del sublime: un voleè stoppata toccata con una dolcezza infinita, un attacco osato su una violenta prima avversa togliendosi la palla dallo stomaco, un rovescio piatto schiaffeggiato in cross o invece tagliato in maniera più spietata di quanto farebbe la lama di un rasoio. Tutto con naturalezza e souplesse stupefacenti.
Wimbledon 1980: Il tiebreak leggendario, il quinto set, la gioia e il dolore; l’Orso s’inginocchia, Mac si dispera, la testa tra le mani, infagottato nella tuta della squadra Usa di Coppa Davis; un dramma che aiuterà a crescere…
Il 1984: un anno intero di ispirazione, di ricerca della perfezione, un’aurea di inavvicinabilità, l’impotenza degli avversari, la loro paura. Lendl spazzato via a New York a Gennaio al Masters e in settembre a Flushing Meadows, Connors che sul Centre Court subisce l’umiliazione più amara della carriera. 82-3 l’incredibile bilancio…E se solo, se solo quel 10 giugno a Parigi..Se solo…
Roland Garros 1984: per due set e un’ora e mezzo la perfezione offensiva trasferita sul rosso, Lendl affoga sotto di due set…Poi quel grido di rabbia gettato nel microfono di un cameramen, qualcosa che si rompe nella testa, la stanchezza che improvvisa assale, la prima che abbandona, il calore del sole, e quell’odioso cecoslovacco che lentamente lo soffoca…Alla fine lo shock più grande di una carriera, la testa china, la schiena incurvata…Un dramma indelebile…
La maglietta Tacchini: è “la maglietta” di Mac, non ci sono santi, è quella che, attraverso le sue varianti, lo ha accompagnato nel periodo in cui Mac era Mac, è rimarrà nei nostri occhi come il vestito di Mac..Le Nike del 1985 in avanti ci ricorderanno sempre il declino, la fatica, l’impossibilità di tornare ad essere quello che fu…
Ivan Lendl:
l’antipatia e la fierezza: difficile per chi scrive (suo fanatico tifoso) ammetterlo, ma nella mente di molti è forse questa la prima immagine di Ivan: egli era il nemico, il tennista odioso, che nulla concedeva al pubblico, che nulla regalava agli avversari. Freddo, scostante… Non la freddezza controllata di un Borg, o quella elegante di un Wilander. Un gelo rabbioso, d’oltre Cortina, un ego richiuso in sé; Ivan Drago. Opportunista nel perdere un match di un Masters per convenienza per esempio. Odio o indifferenza. Come quella celebrata dalla copertina di Sport Illustrated nell’autunno del 1986, “The Champion Nobody Cares About” appunto. O la derisione talvolta, come accadde al Foro Italico, quandò in finale nel 1988 piegò da solo non solo Perez Roldàn, ma l’intero stadio. Lendl non si è mai preoccupato di piacere al pubblico. Alla domanda rivoltagli da un giornalista dopo il ritiro a fine 1994, sul modo nel quale voleva essere ricordato risponderà. “In nessun modo particolare, basterà leggere il mio palmarès per capire che sono stato un grande tennista”.
il duro lavoro: dici Lendl e ricordi il primo, vero, grande professionista del tennis; puntiglioso, perfezionista ai limiti del maniacale, capace di fustigare se stesso per raggiungere i suoi obbiettivi; ecco che anche ni questo caso i ricordi si affollano nella mente: Ivan che, per non correre alcuni rischio e giocare sempre con la stessa tensione, cambia, lui per primo, la racchetta ad ogni cambio di campo. Ivan che nella pubblicità del Gatorade corre a piedi e forse anche in bicicletta (e lo faceva poi davvero, sulle colline del Connecticut, anche con la neve); Ivan che a fine 1988 invita il ragazzino Pete Sampras nella sua lussuosa dimora, gli consegna un rigoroso programma delel settimana, gli dà la sveglia alle 6 tutte le mattine per metterlo in atto. Ivan che a fine 1987 dice ai giornalisti “mi piacerebbe fermarmi per un periodo lungo ma non posso” e che sogna un 1988 senza sconfitte (sarà invece uno dei suoi anni più amari…). Un mostro, una macchina inarrestabile.
Roland Garros 1984: se per Mac è uno dei flash che la mente inevitabilmente ti presenta, beh, lo stesso fa per Lendl: il coniglio, che come scrisse Gianni Clerici si trasformò in leone, cominciò a farlo in quel fatidico 10 giugno 1984 sul centrale di Roland Garros; quasi umiliato, sotto due set a zero, risale la corrente, trionfa 7-5 al quinto, vince finalmente un titolo della Slam dopo quattro finali perdute scacciando la fama di “looser”, e contemporaneamente dando al suo più acerrimo nemico la più grande delusione della sua vita.
Wimbledon: Lendl? Nella mente subito un ritornello risuona imperterrito: “non ha mai vinto Wimbledon”; e anche nella mente del povero Ivan il ritornello inesorabile si ripeteva…Il Becker tronfio e sicuro di sé che nel 1986 lo abbatte tre set a zero nella prima finale del cecoslovacco ai Championships, capace di giocare un colpo al volo da posizione sdraiata dopo che il passante di Ivan aveva colpito il nastro. Il Cash che senza pietà lo batte nella seconda finale del 1987 e scala gli spalti del Centre Court. La semifinale del 1989, che vede Ivan finalmente giocare bene sull’erba, ma che alla fine, dopo l‘interruzione per pioggia lo vede ancora una volta arrendersi a Bum-Bum in cinque set. I tentativi “scientifici” del 1990 e del 1991, con Lendl capace di rinunciare due volte a giocare Parigi pur di prepararsi al meglio per lo Slam che gli manca. Un’ossessione, chissà, forse ancora oggi, per lui, altri ricordi per noi.
I tic e la segatura: ecco, pare di rivederlo: si guarda intorno, lo sguardo è gelido, si asciuga la fronte con i maxi-polsini, si strappa alcune sopracciglia, colpisce, soprattutto sulla terra rossa, le scarpe con i telaio della racchetta, poi fa rimbalzare la palla quattro volte prima della prima di servizio e tre prima della seconda. Come dimenticare…
Michael Chang:
Chang-Lendl 46 46 63 63 63: non ci sono statistiche, ma si può affermare quasi con certezza che è questo il primo “lampo” di Chang nella mente dell’appassionato: quel giorno del 1989 a Parigi, nel quale Davide battè Golia. L’affermato, blasonato Lendl, indiscusso numero uno del mondo, che dopo aver vinto i primi due set, entra in una trappola tesagli da un ragazzino irrispettoso: il sovrano si innervosisce, comincia a sbagliare, a essere ottenebrato tatticamente. Mentre dall’altra parte della rete un piccolo diavolo dalle sembianze cinesi, arriva su tutto e mangia banane al cambio di campo. E quando non ce la fa più, quando i crampi giungono a tormentarlo, ecco che si ingegna, ecco che s’inventa qualcosa di imprevedibile, che manda in tilt il computer Lendl. Prima pensa bene si servire dal basso e passare l’avversario, poi sul match point, attende la battuta di Ivan a pochi centimetri dalla linea del servizio, provocando il doppio fallo del furente re del tennis..Malizia e innocenza..Un mix indimenticabile…
La mamma: par di vederla ancora adesso la signora con gli occhiali, sempre pronta a confortare il figlio con lo sguardo e magari i gesti. Un’altra immagine di Michelino…
Il Roland Garros 1989: sì, il Roland Garros 1989, che non fu solo il match leggendario contro Lendl, ma proseguì fino al trionfo finale, all’epica vittoria in cinque set contro Stefan Edberg, con la decina e più di palle break che Chang fu in grado di annullare nel quarto set allo svedese che era avanti due set a uno. Ed eccolo Michelino, che solleva la Coppa dei Moschettieri e ringrazia Iddio per questo dono.
L’elasticità: come scordare certe riprese sulla figura di Michelino durante lo scambio: una mobilità clamorosa, la capacità di effettuare recuperi, specie laterali, stupefacente. Da far impallidire il miglior Nadal. E quella capacità di apparire come di gomma, capace di assorbire l’impeto in una direzione per ripartire come un fulmine nell’altra.
Goran Ivanisevic:
Il servizio: anche qui dubbi non ce ne sono: il primo ricordo di Goran è il servizio; quel gesto rapido, quel mulinello supersonico, la palla lanciata non troppo alta, la portentosa accelerazione del braccio, la bomba letale, che parte e non dà scampo all’avversario. Così terribile, così letale, da diventare monotono, da asciugare gli scambi. Dopo una finale, se non erro a Stoccarda nel 1992 in cui aveva annichilito Edberg a suon di ace, molti cominciarono a chiedersi se non si dovesse cambiare qualcosa, se non fosse il caso di rallentare le superfici o addirittura di concedere una sola palla di battuta. Anche a Wimbledon si cominciarono a non gradire quegli scambi scarni, ridotti all’osso a cui i croato dava vita con Pete Sampras. Chissà, forse non lo sapremo mai, ma Goran forse è uno degli involontari artefici della lenta erba di oggi e di come conseguentemente è cambiato il tennis ai Championships…
Wimbledon 1992: altro ricordo indelebile questo. È la prima finale di un major per Ivanisevic, una battaglia tra uno dei più grandi servizi ed una delle più grandi risposte della storia, quella di Andreino Agassi; ed alla fine, sul 5-4 al quinto set per il kid di Las Vegas, eccoli id due doppi falli di Goran, che in pratica lo condanno ala sconfitta lanciando Agassi nel paradiso del suo primo Slam. Proprio il colpo che gli ha regalato decine e decine di punti ora lo condanna.
Wimbledon 2001: sono passati 9 anni da quella finale del 1992, di acqua sotto i ponti ne è passata molta, e molte sono le amarezze che Goran ha vissuto a Wimbledon, con l’inespugnabile Sampras, ma forse ancora di più i suoi nervi che hanno costretto Goran a due altre finali perdute. Eppure non è amara l’ultima immagine che ci ricordiamo di Ivansevic sul Centre Court, ma gioiosa e commovente al tempo stesso: i suoi occhi pieni di rabbia, gioia, lacrime, subito dopo l’ultimo punto giocato contro Pat Rafter nellaq finale del 2001 sono realmente un flash incancellabile. Lui, che di finale ne aveva perse tre, arrivava incredibilmente a 30 anni, con una wild card, a vincere quel titolo, o più semplicemente “il titolo” che gli era sempre sfuggito…
La follia: espressa in molto modi, in conferenza stampa, e forse e soprattutto sul campo; scelte folli, appunto, talvolta lo condannarono, talvolta lo salvarono; ricordo di un match point a Wimbledon annullato con una seconda di servizio; ma non ricordavo bene la circostanza; confesso di essermi andato a documentare, e mentre ho riletto quanto accadde, si sono materializzate e rese nitide in me le sfocate immagini di cui avevo vaga traccia nella memoria, a Wimbledon nel 1993, contro il giocatore di casa Bailey, Ivanisevic serve sul 5-6 nel quinto set: serve una prima ma la sbaglia ed ecco… Le immagini che ricordavo a fatica tornano chiare: la seconda colpisce il nastro ma non esce dal rettangolo di servizio, la nuova seconda palla è un servizio centrale imprendibile! “O questo ha un cervello piccolo così, o ha due palle grosse così“, Bud Collins dixit.
Luca Pasta