TENNIS FOCUS – Alieni? Magari! Parliamo di …scommesse! Incontri nascosti, sotterfugi, tipi loschi, terzi incomodi, vie di fuga, vie d’uscita, scelte ‘obbligate’ e scelte opportunistiche, punizione e prevenzione. I personaggi-tipo di questo scandalo dipinti da Marcos Marcoschi
Prendo in prestito il titolo di un’opera magistrale di Spielberg non per raccontare una storia di extraterrestri, ma perché in questi giorni ho cercato di immaginare le opprimenti difficoltà emotive di chi, per motivi diversi, ha avuto a che fare direttamente o indirettamente con personaggi dediti alla truffa. Sono incontri ravvicinati perché si cerca di tenerli nascosti, essendo fonte d’illecito. E sono del terzo tipo perché, dietro a questi incontri, c’è sempre un terzo, magari un brutto, tipo.
Mi riferisco, naturalmente, a ciò che sta emergendo in queste ore sulla vicenda legata alle combine nel mondo del tennis. È ancora tutto da dimostrare, ma sembra che alcuni tennisti, in base ad accordi truffaldini, si siano impegnati a perdere set o match interi, per soddisfare le loro tasche e quelle dei loro referenti. È ancora tutto da dimostrare ed io spero ardentemente che non lo sia: auspico, infatti, che l’inchiesta termini con la certezza che le truffe non siano state commesse.
La volontà di truccare le carte non nasce da motivazioni comuni a tutti i protagonisti.
Taluni lo fanno perché convinti che l’arricchimento facile sia un valore da perseguire anche mettendo da parte il rispetto delle regole ed eventuali scrupoli di coscienza. Su questi potremmo essere tutti d’accordo: l’uomo è spesso travolto dalla bramosia di ricchezza e potere e, perdendo ogni freno inibitorio, dimentico degli insegnamenti probabilmente ricevuti in giovane età, si nutre e si diverte a truffare gli altri, pensando di essere il più brillante, primus inter fessos. Per solito, un tipo di siffatte convinzioni accusa d’ipocrisia, di perbenismo e di vetero-buonismo coloro che ancora riescono a scandalizzarsi per questi comportamenti.
Taluni perché credono di non avere altra via d’uscita, magari soverchiati dai debiti o incapaci di pagarsi le enormi spese di una carriera, che, se non vissuta ad alti livelli, comporta sforzi finanziari non indifferenti. O forse alla fine di una corsa, che, malgrado i sacrifici, non li ha premiati dal punto di vista economico. Di costoro si può pensare che questa scelta sia una scorciatoia troppo comoda, si può affermare che quando hanno scelto questo tipo di carriera ben sapevano che un giorno avrebbero potuto incontrare grandi difficoltà economiche e si può perfino supporre che siano stati spinti a farlo per debolezza di carattere o per esaurimento di energie fisiche e/o mentali.
Ci sono, poi, quei tennisti che rischiano di finire nella rete perché involontariamente sono in qualche modo venuti a conoscenza di un tentativo d’illecito e non l’hanno prontamente denunciato agli organismi competenti (Tennis Integrity Unit). Anche questi potrebbero essere ricattati dal terzo tipo o da chi per lui. Anche questi potrebbero essere spinti a svendere le proprie prestazioni – scrivo svendere perché l’onestà sportiva non ha prezzo: non esiste cifra congrua per acquistarla. Ricordo, infatti, che il regolamento della Tiu obbliga i tennisti a riferire qualsiasi fatto da loro saputo, o anche solo sospettato, che riguardi combine o tentativi di combine. Naturalmente, le sanzioni per chi non riferisce sono assai più tenui di quelle comminate a chi truffa.
Tornando al prologo, non saprei calarmi nei sentimenti dei truffatori di professione, anche se, valutandone i comportamenti, non si può non prendere in considerazione l’ipotesi che qualcuno di questi possa esser finito nella rete per caso o incoscienza: credo che sia un mondo nel quale l’avanzare degli affari sia scandito dal sotterraneo, continuo e diffuso timore di vicendevoli tradimenti. Io so cosa stai facendo, tu sai cosa sto facendo, io so cosa hai fatto, tu sai cosa ho fatto, pertanto andiamo avanti insieme, aiutami a fare anche quest’altra.
Quanto ai secondi, i tennisti che credono di non avere altra via d’uscita che quella di falsare l’andamento di un match, ritengo che siano quotidianamente devastati dal dubbio: sto facendo la cosa giusta? Non sto tradendo tutto il lavoro che ho fatto in questi anni? Non sto tradendo l’amicizia o la stima dei miei compagni, dei miei colleghi? Non sto ingannando migliaia di appassionati, migliaia di scommettitori? Io credo che sappiano che stanno seguendo una strada sbagliata, ma che si giustifichino: a dodici anni stavo tre ore in campo, a sedici ce ne stavo sei, mattina e pomeriggio; sento ancora quelle fitte alla milza, al fegato, il cuore che mi batte a duecento, l’istinto irrefrenabile di rimettere, quando facevo lo yo-yo, le navette o gli spostamenti nel primo pomeriggio, dopo pranzo. E la scuola abbandonata, gli sforzi dei miei per portarmi ai tornei, per l’istituto privato e per le lezioni al Circolo, l’Accademia, i prestiti dello zio, i soldi da restituire a tizio, quelli a caio. I costi per le trasferte, quei Future in Oriente, in Africa, in Sudamerica. Viaggiare, dormire fuori, pagarsi gli allenamenti, il fisioterapista. Nemmeno se vinco dieci future l’anno, riesco a ripagarmi le spese, gli sforzi, i sacrifici. Mi manca poco, ormai…poi, farò il maestro. Sì…ma cosa insegnerai ai tuoi allievi? Spero solo il dritto e il rovescio.
A mio parere, per attenuare questo fenomeno, che credo riguardi un’esigua minoranza dei tennisti impegnati nel circuito, bisogna radicalmente rivedere la distribuzione dei premi. Dovrebbe essere interesse di tutti, ma pare non lo sia. Tutti i tennisti, anche i primi venti, sono passati dai Future e dai Challenger. Tutti conoscono le difficoltà di quando si rimane per troppo tempo a quel livello. Tutti, però, sanno che è un livello necessario affinché, poi, qualcuno riesca a salire, a diventare un vero campione. Dai Future si passa ed è inutile fingere di non saperlo: per consentire anche a chi non è ben fornito dal punto di vista economico di provare a scalare le classifiche, prendendosi il tempo necessario alle sue capacità, bisogna fare in modo che l’incredibile sperequazione tra i premi dei grandi tornei e quelli dei tornei minori si riduca drasticamente. Gli sponsor pagano bene i grandi campioni, ma devono sapere che anche questi sono usciti dalle forche caudine dei Future e dei Challenger. Non ci sarebbe alcun campione se non ci fossero Itf Junior, Future e Challenger: questi sono il brodo primordiale in cui si forma il campione. Se, invece di nutrire i tennisti, li si annega nel brodo, solo pochi privilegiati e lodevoli tennisti possono spartirsi la ricchissima torta offerta ai migliori per garantire lo spettacolo più bello del mondo. Naturalmente, questo pensiero non vuole dimenticare il principio del merito, che per primo guida la riuscita di un tennista. Vuole, però, offrire anche a chi non riesce a scalare le classifiche per questioni fisiche, tecniche o mentali, la possibilità di svolgere un lavoro dignitosamente retribuito, senza dover pesare per anni sulle spalle delle famiglie o, peggio, senza dover scegliere, un giorno, di prendere la strada sbagliata, quella della combine o quella del doping.
Quanto ai terzi, quelli che per caso hanno saputo di qualche combine, pur non partecipandovi in alcun modo e non avendo alcuna prova che si sia veramente concretata, bisogna trovare un modo di proteggerli. Credo sia il problema principale da risolvere. La Tennis Integrity Unit, nobile e necessaria istituzione nata per combattere questa piaga, dovrebbe concepire uno strumento per mettere a riparo coloro che vogliono starne fuori. Obbligare un tennista a denunciare un approccio opaco, un sospetto di combine, financo un sentito dire, magari con protagonista un suo compagno di squadra o un collega, può essere il modo giusto per proteggere coloro che vogliono starne fuori? Significa quantomeno metterlo in imbarazzo con i suoi colleghi, che frequenta settimanalmente di torneo in torneo, significa rompere magari rapporti decennali con compagni di squadra, significa anche, purtroppo, dover rischiare di avere a che fare con delinquenti veri, se dietro al mondo della truffa ci sono organizzazioni pericolose. La soluzione al duro dilemma tra il dovere civico/sportivo di avvertire le forze preposte al controllo e l’omertà o l’indifferenza (che spesso è deprecabile, ma spesso è vitale) non può essere lasciata sulle spalle di ragazzi che quotidianamente danno fondo a tutte le loro energie per rimanere a galla in un mondo terribilmente competitivo. Si rischia, in questo modo, di rallentare o rovinare la carriera di un tennista, sia che scelga di seguire il regolamento, sia che decida di soprassedere, di non approfondire, di girarsi dall’altra parte. L’accertamento del rispetto delle regole spetta al controllore, non ai viaggiatori. Finché questa norma è in vigore, se si vuole stare alle regole del gioco, naturalmente bisogna rispettarla. È necessario, però, che sia profondamente ripensata. Così com’è, a mio parere, non è efficace e rischia di aumentare il rischio d’illecito, senza considerare i turbamenti e le preoccupazioni che può arrecare ai tennisti corretti.
Come va?
Insomma…non vinco un match da marzo. Non riesco a venire a capo di questa maledetta contrattura, eppure è guarita, boh! Non capisco…so solo che la palla non mi esce. Son sotto di brutto, quest’anno. Anzi, ormai son tre anni che vado avanti a prestiti…non so quanto posso resistere ancora: va a finire che dovrò fare mille private per tornare a pari, altro che tornei.
Senti…non so se faccio bene a dirtelo, ma mi sembri in grosse difficoltà. Se non ti va, fai finta che non t’abbia detto niente. M’han riferito che c’è qualcuno che può pagare bene se in alcune partite non ti impegni proprio al massimo…
Mentre si svolge questo dialogo, nel silenzio degli spogliatoi, nella stanza di fianco, un tennista ascolta basito. È lì da mezzora in attesa del suo coach per tornare in albergo e non era stato visto dai due. Non ci credo…pensa, sconvolto. Non ci posso credere…ma che discorsi sono? Ma che…son pazzi? Come quando d’improvviso si rimane profondamente delusi da una persona di cui ci si fida, come quando inaspettatamente ci si trova in clamoroso imbarazzo per causa propria od altrui, il sangue si ferma, caldo e stordimento salgono al viso, cresce l’impellente bisogno di sedersi, di prendere aria, di respirare profondo e, prima di decidere il da farsi, si rimane fermi, impotenti, scossi e amareggiati. E ora che faccio? Devo andarmene subito, non devono vedermi. Preso il borsone in silenzio, diretto alla porta con passo felpato per uscire dallo spogliatoio, ci siamo quasi…
Ah ciao… eri qui anche tu?
Marcos Marcoschi