TENNIS AL FEMMINILE – Nel 2014 Anastasia Pavlyuchenkova ha vinto i due più importanti tornei indoor giocati sul duro, Parigi e Mosca. Negli ultimi anni il calendario WTA ha penalizzato gli eventi al chiuso, arrivando per un periodo a far disputare outdoor anche il Masters.
Aggiudicandosi la Kremlin Cup, Anastasia Pavlyuchenkova non ha solo vinto il secondo torneo dell’anno, ma è diventata, per il momento, la migliore giocatrice dei tornei indoor WTA.
Escludendo i due Master (quello nobile di Singapore e quello di seconda fascia di Sofia) la stagione 2014 della WTA prevedeva infatti in totale 7 tornei al chiuso: tre Premier e quattro International.
Un Premier particolare è quello di Stoccarda, in cui la superficie è la terra battuta: una scelta legata alla collocazione di calendario che ha suggerito agli organizzatori di assecondare le esigenze di preparazione delle giocatrici in vista del Roland Garros. Gli altri due Premier (Parigi e Mosca) si sono disputati, più classicamente, sul duro: entrambi sono stati vinti proprio da Pavlyuchenkova.
E tuttavia, non per togliere meriti ad Anastasia, andando a guardare nel dettaglio il campo delle partecipanti ai due tornei ci si accorge che quasi tutte le migliori avevano disertato. Le uniche top ten erano presenti a Parigi: Sharapova, Kerber ed Errani (sconfitte tutte e tre proprio da Pavlyuchenkova).
La ragione dellla mancanza di molte top player è stata, in sostanza, la stessa: l’infelice collocazione di calendario rispetto ai grandi appuntamenti. Ormai il torneo di Parigi è diventato un intruso tra la stagione australiana e Dubai/Doha. Si capisce che le giocatrici abbiano poca voglia di affrontare condizioni ambientali tanto differenti; non ha molto senso l’inserimento di una settimana di rigido inverno parigino tra il mese del caldo cemento australiano, e le due settimane in medio oriente. E poi c’è anche la voglia di tirare il fiato dopo la lunga trasferta australiana.
Una conferma delle difficoltà dello storico torneo parigino si è avuta con la notizia del suo trasferimento a Tolosa a partire dal 2015.
Malgrado l’albo d’oro sia ricco di nomi prestigiosissimi, forse l’ultimo anno in cui Parigi indoor aveva recitato un ruolo davvero importante è stato il 2011, quando Kim Clijsters (raggiungendo la finale) ottenne nuovamente il numero uno del mondo nel ranking.
Per Mosca il problema non è climatico, ma di tempi di preparazione: nessuna delle migliori ha interesse a giocare un torneo che si conclude qualche ora prima che inizino le partite del Masters. E infatti chi si era iscritta lo aveva fatto quando ancora non aveva la sicurezza di avere i punti necessari ad entrare nelle otto; ma puntualmente al momento della certezza del pass per Singapore, sono arrivati i forfait: inevitabili e anche logici, per non rischiare di compromettere le Finals.
A guardare bene, però, i problemi di Mosca e Parigi non sono casi isolati, ma sono la conferma di una progressiva marginalizzazione del tennis indoor nel circuito WTA. Se confrontiamo il calendario di dieci anni fa, si nota che nel 2004 (oltre al Masters) erano previsti 12 tornei, suddivisi in due periodi: febbraio e ottobre.
Tre settimane a febbraio e sei attorno ad ottobre, a formare due cicli stagionali logici e strutturati. Era una scelta adottata per giocare soprattutto in Europa e Stati Uniti in periodi in cui le condizioni outdoor non sono proponibili, perché il clima è troppo rigido.
Con il calendario attuale, invece, i tornei indoor sono ridotti a sette e non riescono più a proporre periodi di gioco coerenti ed organici.
Come detto, Parigi è un evento isolato, ma lo sono anche Katowice e Quebec City. E diventa difficile parlare di stagione indoor di fronte alle sole tre settimane tra Linz e il Masters, con le migliori che (se non hanno punti da accumulare) evitano di giocare per prepararsi al meglio in vista dell’impegno di Singapore.
Non solo: il livello massimo indoor attuale è quello di semplice Premier. Dieci anni fa c’erano tornei Tier I, vale a dire eventi con montepremi e importanza molto superiori. Oggi solo il Masters sopravvive come grande appuntamento indoor, ma nel triennio 2008-2010 nemmeno le Finals avevano resistito e vennero organizzate outdoor a Doha, fra l’altro con una cornice di pubblico insoddisfacente.
In sostanza negli ultimi anni si sono fatte avanti nazioni differenti, che hanno ridotto l’importanza dei due poli storici del tennis professionistico (Stati Uniti ed Europa); e molte di queste nuove regioni consentono di giocare all’aperto nei mesi in cui si doveva ricorrere ai palazzetti. E così negli anni si è progressivamente ridotto il numero di partite indoor.
O meglio: si sono ridotte le partite previste dal circuito WTA, perché in realtà le occasioni per giocare indoor si possono presentare in altri due modi: con i turni di Fed Cup e con i tornei che dispongono di stadi con copertura mobile.
Mi riferisco innanzitutto agli Australian Open e a Wimbledon, ma non solo. Alcuni tornei si svolgono in impianti che possono coprire i campi come rimedio alle condizioni meteorologiche sfavorevoli. Per esempio qualche settimana fa le semifinali di Pechino si sono giocate con il tetto chiuso per evitare la pioggia.
E così il tennis indoor “ufficiale”, abbandonato per ragioni geopolitiche, riemerge in modo ufficioso per esigenze di regolarità di programmazione (soprattutto televisiva). Piove? Fa troppo caldo? Nessun problema, si chiude il tetto e si procede lo stesso.
In realtà le condizioni di gioco di un impianto aperto con il tetto provvisoriamente chiuso non sono proprio le stesse di un normale indoor, visto che manca il tempo necessario per raggiungere un perfetto equilibrio ambientale (temperatura, umidità). Ma si avvicinano comunque molto all’indoor classico.
Spesso si è discusso sulle differenze tecniche che produce un tetto chiuso. Quali sono?
Per non rendere troppo complessa la questione preferisco ragionare sull’indoor standard, quello previsto dal calendario e non dalle emergenze. Il gioco indoor ha qualche specificità?
Innanzitutto direi che per chi segue il tennis da tanti anni rimane il condizionamento della tradizione, che voleva che la maggior parte degli eventi al coperto fossero disputati su superfici particolarmente veloci, ideali per i tennisti di attacco e con grandi servizi.
In realtà questo aspetto non è un obbligo ineludibile: nulla impedisce (e a volte è accaduto, specie nelle competizioni a squadre come Davis o Fed Cup) di allestire campi lentissimi anche sotto un tetto. Le differenze vanno quindi ricercate altrove.
Le differenze sono a mio avviso quelle legate alla luce, al vento e al clima (umidità e temperatura).
In sostanza l’indoor proporne condizioni di luce e di aria stabili in un clima controllato. Chi ad esempio è abituata a contare sul gran caldo e sulla lunghezza di match disputati sotto il sole cocente per fiaccare l’avversaria può risultare penalizzata, perché l’aria condizionata rende meno estreme le prestazioni richieste sul piano fisico.
Sul piano tecnico chi usa più topspin per caricare la palla mantenendo un discreto margine nelle traiettorie (rispetto al passaggio sulla rete e alla distanza dalle righe) trova meno difficoltà a misurarsi nelle condizioni variabili outdoor.
Chi invece gioca un tennis basato su palle tese (che passano radenti alla rete e rimbalzano vicino alle righe) tende a preferire la stabilità artificiale dei palazzetti chiusi. Ad esempio Petra Kvitova nel suo anno migliore (2011) concluse l’anno imbattuta indoor, anche perché l’ambiente chiuso rendeva più gestibile il suo tennis molto rischioso, e in più poteva evitare il caldo.
Non solo: di solito chi serve con un lancio di palla molto alto soffre particolarmente il vento, soprattutto quando soffia in modo instabile. Tra gli esempi infiniti che si possono fare cito Sharapova nella semifinale del Roland Garros 2011, quando perse la partita contro Li Na anche per le difficoltà incontrate nel lancio di palla in una giornata di vento forte e instabile. Evidentemente in un palazzetto l’aria si muove in modo infinitamente più limitato, rendendo tutto più controllabile.
Permettetemi una curiosità. Nel 2012 Serena Williams portava i capelli raccolti con un gran ciuffo alto: una pettinatura che era una specie di anemometro naturale, perfetta per cogliere il minimo alito di vento che la investiva. Guardate la differenza tra un qualsiasi match all’aperto (Olimpiadi a Wimbledon) e uno al chiuso (Masters di Istanbul).
In conclusione, visto che siamo in periodo di Masters, ecco il dato dei match disputati indoor nel 2014 prima delle WTA Finals dalle giocatrici impegnate a Singapore (non sono conteggiati i match affrontati con tetto mobile chiuso).
I numeri esigui confermano le poche occasioni offerte dal calendario: