TENNIS PERSONAGGI – Tennista dal talento sopraffino ma dal carattere irascibile e non sempre professionale, Ernests Gulbis è riuscito, in questo 2014, a crearsi una propria dimensione tennistica. Ripassiamo i fondamentali del lettone e proviamo ad ipotizzare il suo 2015: potrà mai arrivare al successo in uno Slam?
Quando tempo fa, la madre gli suggerì di lasciar perdere con il tennis, ma lui citò (quasi per auto-convincimento, sia chiaro) Floyd Mayweather (ex pugile, bronzo ad Atlanta 1996) che faceva del lavoro duro e della forza di volontà le sue caratteristiche focali, siamo certi che la signora Gulbis abbozzò un sorriso. È infatti strano quanto divertente che a pronunciare frasi del genere sia stato proprio Ernests Gulbis: un personaggio dalle sfaccettature troppo vaste per essere narrate in poche righe, un uomo che se avesse modo di svolgere una professione dagli orizzonti non troppo vasti (un impiegato qualsiasi, ad esempio) verrebbe licenziato in un battibaleno dopo aver preso in giro il direttore d’ufficio per quell’orribile giacca con cui si reca ogni mattina sul posto di lavoro. Ma il tennis è di più; dà la possibilità di provare e riprovare, di vendicarsi subito dopo una sconfitta e di rimettersi subito al lavoro dopo un grande successo. Gulbis lo sa ed è per questo che non ha nemmeno preso in considerazione di appendere la racchetta al chiodo, anzi si è attestato alla tredicesima piazza del ranking mondiale.
Beh se ci fosse da commentare solo la posizione numero 13, la disamina non potrebbe che essere positiva: un giocatore che chiude il 2012 da numero 136 al mondo, inizia una lenta risalita fino ad arrivare top 10 a giugno del 2014 non può che ricevere degli elogi. Ma Gulbis non riceve elogi e non riceverà mai alcunché del genere. Perchè? Perchè un giocatore con quel rovescio (“uno dei migliori in circolazione” per sua stessa ammissione) con quel servizio e con quella dose di sfacciataggine tale da poter fronteggiare i migliori (si ricodi “mi aspettavo molto di più dal dritto di Nadal“ dopo la semifinale persa a Roma nel 2010), lascia sempre un po’ di amaro in bocca quando perde dal Benneteau o dal Bautista-Agut di turno.
Certo che qualcosa rispetto a un paio di anni fa sia cambiato; il lettone è certamente più concentrato e ha raggiunto una maturità tale da poter gestire quantomeno il limbo che ha raggiunto in base alle sue potenzialità, incrementando la capacità di soffrire e di subire il colpo all’interno del rettangolo da gioco. Ai tempi del Roland Garros disse, in conferenza stampa, di aver saltato solo un allenamento negli ultimi due anni, al contrario delle stagioni precedenti (“In passato ho preso decisioni strane. Scappavo in Lettonia nel bel mezzo della preparazione e non facevo nulla per giorni”). Ed è proprio la discontinuità, ça va sans dire, il vero tallone d’Achille di Ernests, in maniera meno evidente rispetto al passato ma pur sempre presente ed influente a sprazzi, durante la stagione.
Ma quali sono i veri limiti di questo giocatore? Dal punto di vista psicologico, troppe volte, e da troppi addetti è stato evidenziato, l’andamento altalenante dei neuroni del lettone, scarsamente stimolati anche, da una condizione economica che non suscita la minima incognita nella famiglia Gulbis. Considerando il lato tennistico Ernests non è però esente da pecche, quali ad esempio il gioco di volo che potrebbe perfezionare, e il nuovo dritto che da qualche anno sfoggia, il quale non pochi problemi gli crea sulle superfici rapide, dando origine ad una sorta di ossimoro: un giocatore adatto al veloce con un dritto non adattabile a questa superficie. E il video in basso dimostra l’evoluzione che ha subito questo colpo dai primi anni di carriera ad oggi.
Potente, a tratti fulminante, ma meno preciso qualche anno fa; esteticamente orribile, goffo, meno incisivo ma con più spin e continuità. In realtà l’ampia (eufemisticamente parlando) apertura di cui il lettone abbisogna per colpire la palla sul dritto e la posizione a formare un angolo di 180° con le braccia, lo aiutano a trovare un miglior timing e a non andare fuori giri, il che può essere utile su superfici lente o contro giocatori che tendono a ributtarla di là. Il problema sorge sul cemento veloce o, ancor peggio sull’erba, superficie sulla quale, nel 2008, fece vedere i sorci verdi ad un certo Nadal e che sembrava adattarsi perfettamente al suo gioco aggressivo e ai suoi fendenti tanto efficaci quanto la sua abilità con l’altro sesso. Il cambio arriva da una ponderata scelta tecnica insieme al coach Bresnik ma la scelta suscita ancora qualche perplessità.
Davvero poco da dire sugli altri due fondamentali: con il servizio il lettone riesce a raggiungere velocità esorbitanti e risultati eccellenti, come dimostra il sesto posto nella classifica per maggior numero di ace del 2014 (650) e il 78% di punti vinti dopo aver messo la prima in campo: un movimento lineare, pulito, appena laterale con la schiena, ma con un caricamento tale sulla schiena da far impallidire i migliori fan di Stefan Edberg. Stesso dicasi per il rovescio: stilisticamente fluido e perfetto. Con due colpi del genere uno spagnolo sarebbe (quantomeno) in top five da anni.
È dunque in grado il nostro eroe di vincere uno Slam? A primo impatto la risposta è no, anche se a gente come Cilic e Wawrinka non avrebbe nulla da invidiare. E allora come sarà il 2015 di Gulbis? Questo solo il tempo potrà confermarcelo ma la sensazione di fondo è che, nonostante il talento cristallino che acquieta gli esteti del tennis in pena (dritto a parte) e permette di disegnare fendenti manco fosse Zorro, lo stesso Ernests non abbia come vero obiettivo quello di spingersi al di là della top ten, un po’ per pigrizia, un po’ per un prematuro senso di appagamento. Eppure non sarebbe per nulla male vedere lo sbarbatello presuntuoso e ormai cresciuto, sollevare un grande trofeo, quasi come fosse la cosa più naturale al mondo, in attesa di terminare le classiche foto di rito e interviste che per lui rappresenterebbero solo una noiosa perdita di tempo, prima del tanto agognato momento di relax con in mano il suo calice pieno di Armand de Brignac.
Comunque vada a finire, in un tennis sempre più dominato dal politically correct, un personaggio come lui, arguto nelle conferenze stampa, senza peli sulla lingua nè timori reverenziali verso i Mostri Sacri della disciplina, non può che fare bene e dare brio ad un movimento spesso troppo chiuso nei propri schemi.