TENNIS – Norman per Wawrinka, Edberg per Federer, Ivanisevic per Cilic, Becker per Djokovic e Chang per Nishikori: quale fra questi è il miglior allenatore del 2014? La lista dei cinque allenatori migliori del 2014 è formata da ex campioni. Ma Goran più di altri è stato il migliore
Giudicare chi sia stato il miglior allenatore dell’anno sarebbe fin troppo facile a guardare i risultati. Senza dubbio alcuno la lista dei migliori si riduce a cinque nomi, molti dei quali seduti nei box dei loro protégé proprio dall’inizio dell’anno. Sono Ivanisevic, Edberg, Becker e Chang, più Norman che aveva seguito Wawrinka già per buona parte del 2013. Per eleggere il migliore da questo elenco procediamo per eliminazione. Scartiamo subito Stefan Edberg, visto che il suo assistito è tornato su ottimi livelli, cambiando poco o nulla del suo gioco, ma ha fallito nel conquistare una prova del Grande Slam (possiamo chiedere meno a un Federer seppur trentatreenne?). Depenniamo poi dalla lista il nome di Boris Becker, il quale, onestamente, non sembra aver aggiunto qualcosa di trascendentale alle prestazioni di Novak Djokovic. Il serbo, nel 2014, non è riuscito ancora una volta a vincere il Roland Garros, unico Slam che gli manca per completare il Career Grand Slam, la vittoria almeno una volta in carriera di tutte e quattro le prove maggiori.
Il terzo nome da cancellare dalla lista è quello di Michael Chang. Kei Nishikori aveva chiuso il 2013 al numero 17 ATP. Già in Australia, quando aveva impegnato a fondo Rafael Nadal (che strapazzerà poi in finale a Madrid, sul rosso, prima di arrendersi per infortunio), aveva dimostrato di essere un altro giocatore rispetto al passato. Ad inizio anno il suo obiettivo dichiarato era la conquista di una semifinale Slam. Kei, e Michael, hanno fatto di meglio. Nishikori è l’ennesimo, ottimo prodotto della Nick Bollettieri Tennis Academy, ma è con Chang come allenatore che ha cambiato qualcosina del suo gioco. Lo ha detto lui stesso durante lo Us Open: [pullquote]”Con Chang sto lavorando duramente, passando più tempo possibile in campo per cercare di cambiare alcune cose nel mio gioco. Devo diventare più aggressivo e scendere più spesso a rete. Ad oggi un piccolo cambiamento c’è già stato e sta funzionando”[/pullquote]. Ad ogni modo si tratta di piccoli accorgimenti, uniti a un miglioramento dal punto di vista mentale che deve trovare ancora continuità nel corso dell’anno, visto che il 2014 non l’ha visto brillare con costanza. Certo: se avesse vinto la finale di New York, giocata dopo aver vinto due match al quinto set negli ottavi e nei quarti prima di battere Djokovic in semifinale, forse adesso avremmo scritto decisamente altro.
Rimangono due nomi, ovvero gli allenatori dei due nuovi vincitori di prove dello Slam, Norman e Ivanisevic. Cancelliamo il nome di Norman dall’elenco e spieghiamo il perché. Wawrinka ha chiuso il 2013 al numero 8 della classifica mondiale, ma era stato già numero 9 nel 2008 e 2009. Della sua vittoria in Australia possiamo affermare senza timor di smentita che non è frutto di evidenti miglioramenti tecnici o tattici. Già nel 2013, in Australia, nello Slam dove Stan sembra esprimersi meglio, lo svizzero aveva perso da Djokovic 12-10 al quinto, denotando che non erano di certi limiti tecnici o tattici a depotenziarlo. Il resto dell’anno lo aveva visto protagonista della solita stagione altalenante: quarti al Roland Garros persi contro Nadal, sconfitta al primo turno contro Hewitt a Wimbledon, battuto poi a New York da Djokovic prima di chiudere l’anno da semifinalista del Master. Invece, nel 2014, subito dopo la vittoria di Melbourne, il suo ruolino di marcia cambia: vittoria del suo primo torneo Master 1000 a Montecarlo, su Fededer; quarti di finale a Wimbledon, battuto da Federer; quarti di finale allo Us Open, battuto da Nishikori al quinto set, in quello che è forse il match dell’anno; semifinale alle ATP Finals, persa contro Federer sciupando quattro matchpoint, qualche settimana prima di fare coppia con lo stesso per vincere la Coppa Davis. In soldoni: un’ottima annata che ha le fondamenta proprio nelle due settimane australiane, quelle dove Stan ha trovato l’istinto assassino per vincere partite che prima perdeva. Il merito è di Magnus Norman, allenatore di Wawrinka dall’aprile del 2013, dopo che lo svizzero aveva passato un anno senza coach. Lo svedese, ex numero due del mondo, disse alla vigilia del loro sodalizio: [pullquote position=right]”A Stan manca l’istinto assassino per vincere certi incontri“[/pullquote]. È qui che ha lavorato Stan con Magnus, e lo ha confermato lui stesso dopo la vittoria del suo Slam: “La testa: finalmente sono riuscito ad avere una fiducia cieca in me stesso e nelle mie possibilità”. Ad ogni modo la sua vittoria ha assunto una ulteriore importanza per gli altri giocatori: il dominio dei soliti noti poteva essere interrotto.
Detto del grande lavoro di Norman, c’è però un allenatore che è riuscito a compiere un’impresa ancora più grande, ovvero Goran Ivanisevic. Marin Cilic aveva chiuso il 2013 da numero 37 del mondo, risalendo dalla posizione numero 47. In passato, però, era stato già top 10, raggiungendo il numero 9 ATP nel 2009. Poi è incappato in una squalifica per doping. Insomma: Goran Ivanisevic ha dovuto rimettere assieme numerosi pezzi del puzzle-Cilic per tirarne fuori il giocatore ammirato (a tratti) nel 2014. Fino a Wimbledon, Marin era stato protagonista della sua solita annata con alti (vittorie in tornei minori come Zagabria e Delray Beach) e bassi (sconfitte in Australia, Roland Garros e in diversi Master 1000 senza particolari recriminazioni). A Wimbledon improvvisamente si è scosso, impegnando Djokovic al quinto set nei quarti di finale come solo Federer ha saputo fare in seguito. Poi è tornato anonimo nei due Master 1000 americani prima di trionfare – e come! – allo Us Open, facendo felici quei pochi che avevano puntato su di lui alla vigilia.[pullquote]Goran Ivanisevic è riuscito quindi con maggior facilità in quello dove lui aveva ripetutamente fallito prima di Wimbledon 2001: la vittoria di uno Slam[/pullquote]. Goran c’è riuscito alla sua quarta finale Slam, a Wimbledon 2001. Le vittorie di Ivanisevic e Cilic anche se in epoche e tornei diversi hanno dei tratti in comune: sono arrivate all’improvviso. Goran vinse il torneo nella fase finale della sua carriera passata a perdere match vinti e litigando con se stesso, trionfando nel 2001 a Londra solo grazie a una wildcard degli organizzatori. I tifosi di Goran dovevano sperare, guardandolo giocare, che la palla rimanesse in campo dopo ogni colpo. Con Cilic si è avuta fino allo Us Open la stessa situazione, ovvero quella di un giocatore discontinuo mai capace dell’afflato del campione.
Ivanisevic ha fatto un enorme lavoro su Marin, distinto su due piani: tecnico e mentale. Dal punto di vista tecnico Cilic ha migliorato il movimento di diritto, più lineare sulle palle veloci per via dell’eliminazione di un secondo caricamento a ciondolo del polso nella fase imminente l’impatto, tic che è rimasto talvolta sulle palle più lente e senza peso. Al servizio invece ha notevolmente abbassato il lancio di palla, così da rendere la seconda fase del movimento più veloce e di più difficile lettura per l’avversario. Probabilmente, avendo migliorato la mobilità articolare e l’elasticità muscolare, Cilic usa meglio il caricamento, riducendo il tempo di esplicazione della forza a guadagno di un lancio più basso e difficile lettura delle intenzioni. Per la parte mentale invece il lavoro di Goran passa per queste parole di Marin: [pullquote position=right]“Ero concentrato troppo sulla tattica per giocare contro gli altri senza pensare al mio gioco. Con Goran inoltre sono tornato a divertirmi mentre gioco“[/pullquote]. Nessuno ha cambiato così tanto un giocatore in un solo anno (i due lavorano assieme da fine 2013). Marin Cilic è chiamato alla conferma di questi progressi, inspiegabili per molti, ma che solo un super coach come Goran Ivanisevic forse poteva cogliere. Chi meglio di lui poteva tramutare la discontinuità in vittoria?
Non abbiamo dimenticato altri meritevoli coach. Il team Piatti-Ljubicic ha fatto un ottimo lavoro su Milos Raonic, altro protagonista del 2014, mentre un altro giocatore migliorato nel 2014, Grigor Dimitrov, sembra avere bisogno di lavorare più dal punto di vista mentale dopo gli evidenti miglioramenti fisici conseguiti sotto la cura Roger Rasheed. E il binomio Mauresmo-Murray? L’inglese è stato molto deludente nel corso dell’anno e ha passato più tempo a pensare alla sostituzione di Lendl nel suo box che a giocare bene a tennis. Lavorare con Murray non deve essere semplicissimo, specie se non si ha la personalità di Lendl, ma comunque l’inglese è sembrato preoccupato più a ristabilirsi fisicamente (dopo l’operazione alla schiena) che a lavorare su tattica e strategia. Nel 2015 forse potremo giudicare meglio questa accoppiata che intanto ha fatto parlare molto di più per la sua natura promiscua, almeno fin qui.