TENNIS AL FEMMINILE – Della serie sulle prime sedici giocatrici del mondo, questo articolo è scritto ex novo per l’occasione, e affronta lo straordinario 2014 di Eugenie Bouchard, che in un solo anno è diventata una protagonista di primo piano del tennis femminile
Un anno che è valso quanto una carriera.
Dovessi sintetizzare il 2014 di Eugenie Bouchard direi questo, e non mi pare una esagerazione. E’ difficile immaginare una stagione tanto piena di accadimenti per una sola giocatrice; e non mi riferisco solo ai risultati del campo, ma anche a tutto quello che riguarda la vita di una tennista in termini di rapporti con il pubblico, i media, le colleghe, gli sponsor, l’allenatore, il manager.
Dodici mesi fa Eugenie era una giocatrice di belle speranze e di bella presenza che si era fatta notare per qualche buon risultato alla prima vera stagione da professionista; oggi è quasi una star, e vanta nel suo curriculum risultati importanti.
– 2013
Eppure il 2013 era stato solo il primo anno in cui aveva preso parte stabilmente ai tornei delle adulte, esordendo negli Slam e sperimentando la vita del circuito WTA.
Una stagione molto promettente, in cui aveva sconfitto due top ten (Stosur e Jankovic), passato almeno un turno nei tre Slam a cui aveva avuto accesso (due turni a Wimbledon), e raccolto una serie di incoraggianti risultati: quarto di finale a Charleston partendo dalle qualificazioni, due semifinali e una finale in tornei International.
In aggiunta poteva vantare un set strappato a Serena Williams a Cincinnati e una vittoria sul campo centrale di Wimbledon contro Ana Ivanovic.
Bouchard era la campionessa junior di Wimbledon 2012 e la vittoria sul centrale più prestigioso del tennis contro una giocatrice come Ivanovic non poteva passare inosservata. “Eugenius! A star is born” avevano titolato i giornali, profetizzando un radioso futuro per la teenager canadese.
Partita in gennaio dalla 144ma posizione, era arrivata numero 32 a fine anno. Ma il 2013 sarebbe stato poca cosa rispetto a quanto sarebbe successo l’anno successivo.
– 2014
Nel 2014 al suo primo Australian Open (nel 2013 aveva perso nelle qualificazioni) arriva subito in semifinale.
E’ vero che sino ai quarti l’avversaria di classifica più alta affrontata è la numero 68, ma poi dimostra un’attitudine vincente quando riesce a sconfiggere Ana Ivanovic facendo leva soprattutto sulla forza mentale.
Lo si capisce durante il match: se Ivanovic gioca senza timori ha il sopravvento, ma quando si avvicinano i momenti cruciali Ana si fa prendere dalle incertezze e allora Bouchard riesce a prevalere.
Ivanovic ha nel dritto un “colpo killer”, devastante, Eugenie non ha nel suo arsenale qualcosa di altrettanto pericoloso, ma sono la solidità e l’anticipo da fondo campo uniti alla maggiore tenuta mentale a fare la differenza. E così per la seconda volta su due Bouchard sconfigge Ivanovic, e si guadagna l’accesso in una semifinale Slam.
Contro la Li Na ispiratissima di quei giorni (futura vincitrice del torneo) Bouchard deve arrendersi, ma lo fa secondo il suo stile: prendendosi tutto quello che può appena l’avversaria cala, a dimostrazione che per batterla bisogna per forza giocare meglio di lei.
La semifinale australiana è un passo decisivo nella scalata alla popolarità. Le interviste in campo al temine dei match sono di aiuto: si scopre che la segue un manipolo di fedelissimi che la supporta durante i tornei, le regala pelouche a fine match, e che si è battezzato “Genie’s Army”.
Oppure fa discutere quando le chiedono con quale personaggio famoso vorrebbe avere un appuntamento e risponde “Justin Bieber”.
Stacey Allaster, la manager numero uno della WTA (canadese come Bouchard) ritiene di avere trovato una giocatrice con tutte le potenzialità necessarie per fare da veicolo pubblicitario al tennis femminile.
Quando aveva inciso il suo primo disco, Whitney Houston era stata definita “impresario’s dream”: vale a dire un mix di talento e bellezza che ne facevano un prodotto immediatamente vincente per la musica pop. Eugenie sembra esserlo per il tennis.
Allaster vuole una nuova figura in grado di affiancarsi a Serena, a Li Na (per i mercati asiatici) e naturalmente a Sharapova. Giocatrici popolari, ma anche ormai veterane: e una manager lungimirante non si fa cogliere impreparata, il ricambio è fondamentale: occorrono testimonial giovani in grado di far fronte all’inevitabile passaggio generazionale.
Anche la Coca Cola la pensa allo stesso modo, e il contratto che Eugenie firma qualche mese dopo con la multinazionale per eccellenza conferma che viene ritenuta una ragazza con un potenziale comunicativo speciale.
Non irresistibile nei tornei WTA (vince a Norimberga il suo primo titolo, ma con una concorrenza limitata), al secondo Slam la vicenda australiana si ripete.
A Parigi Bouchard avanza sicura. Negli ottavi annichilisce la tds numero 9 Kerber con una partita perfetta e poi sconfigge Suarez Navarro con la solita modalità: subisce nelle fasi in cui l’avversaria gioca a mente libera, ma poi risale la china fino a spuntarla nei momenti decisivi del match.
E come in Australia ci vuole la futura vincitrice del torneo per sconfiggerla in semifinale: tiene testa per tre duri set a Maria Sharapova (4-6, 7-5, 6-2 ).
Eugenie è sempre più popolare; a prima vista sembra al 100% una teenager americana, ma rispetto alle coetanee statunitensi ha una marcia in più: è canadese di Montreal e, da buona québécoise (anche se di famiglia inglese) parla due lingue. E cosa chiedere di meglio ad una protagonista del Roland Garros che saper comunicare anche in francese?
Cemento, terra, erba, non fa differenza: nei momenti importanti Bouchard è presente, capace di dare il massimo delle sue potenzialità e di avanzare nel torneo approfittando delle minime debolezze delle avversarie. Le altre sentono la responsabilità del grande palcoscenico? Lei le macina con la sua intima sicurezza e finisce per avere la meglio alla distanza.
Se a Parigi Eugenie vantava l’arma in più della lingua, a Londra può sfoggiare la profonda convinzione monarchica della madre. In fondo i canadesi fanno parte del Commonwealth, la regina Elisabetta è anche la loro regina e mamma Julie ha dato ai suoi figli gli stessi nomi utilizzati dalla famiglia reale inglese.
E così quando Eugenie raggiunge la finale di Wimbledon può contare sulla presenza tra il pubblico di alcuni membri della royal family, che possiamo intuire faranno il tifo per lei.
Ma forse a Londra qualcosa si incrina; perde 6-3, 6-0 da Petra Kvitova. Certo, arrivare a un appuntamento del genere da quasi esordiente è un grandissimo risultato, ma avere raccolto solo tre game non deve essere stato facile da digerire. Il comportamento durante la premiazione è impeccabile, e durante il discorso da sconfitta è molto onesta quando dice: “Non so se oggi ho meritato tutto il vostro sostegno (love) ma l’ho apprezzato davvero”.
La maggior parte del pubblico era dalla sua parte, ma non è bastato.
Si dice che negli spogliatoi abbia abbandonato l’autocontrollo esibito in pubblico e abbia pianto sulla spalla della madre.
La delusione è comprensibile, anche perché a dispetto del punteggio Eugenie non ha giocato male: ha chiuso con un saldo positivo la partita (+4: 8/4), ma ha trovato di fronte qualcuna capace di giocare molto meglio di lei.
Forse Bouchard deve essersi resa conto in quel momento che rispetto al livello massimo espresso da alcune giocatrici di vertice, il suo tennis non era sufficiente, e che c’era ancora tanta strada da fare per poter raggiungere quei valori. O forse semplicemente aveva chiesto troppo alle sue risorse nervose.
Fatto sta che dopo Wimbledon la seconda parte di stagione ha avuto più ombre che luci.
Attesissima a Montreal, nel torneo di casa, non riesce ad essere all’altezza delle aspettative. Subisce uno 0-6 nel primo set da Shelby Rogers in uno stadio pieno ma ammutolito, in cui la sua avversaria gioca vincenti a ripetizione in un silenzio irreale.
https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=e-jKWb3BgcU#t=1157
Durante un dialogo al cambio campo sembra abbia detto al suo allenatore Nick Saviano “Voglio lasciare il campo”. Reagisce nel secondo set, ma finisce per perdere il terzo di nuovo per 6-0.
Che le cose si siano fatte più difficili lo si capisce nel quarto Slam stagionale. Per la prima volta non riesce ad arrivare in fondo: a New York perde contro Makarova, in una giornata caldissima, rischiando anche un colpo di calore.
La finale di Wuhan è l’ultimo buon risultato prima della prestazione deficitaria al Masters, in cui raccoglie 11 game totali in 3 partite.
Sul piano tecnico secondo me qualcosa è accaduto durante l’anno. Se paragono il suo modo di giocare contro Ivanovic nel 2013 rispetto a quando l’ha affrontata agli Australian open nel 2014 e soprattutto di nuovo al Masters recentemente, ho l’impressione di una tennista che ha progressivamente limitato la varietà dei colpi e delle opzioni di gioco. Forse lo ha fatto dopo una analisi con il suo team, in cui ha valutato quali fossero le esecuzioni con la maggiore efficacia, e quali invece quelle meno produttive.
Fatto sta che a me pare che con il passare dei mesi il suo tennis sia diventato sempre più scarno: buon servizio, e poi dritto e rovescio in top spin, colpiti da molto avanti con un anticipo costante. Ma la varietà del 2013 è sparita.
Con l’avanzare della stagione ha anche ridotto i colpi interlocutori a favore di una aggressività sempre maggiore, che significa ricerca del vincente prima possibile. Però con questo atteggiamento i colpi sempre più spesso sembrano “strappati”, nel tentativo di ricavare un surplus di potenza poco naturale, e molto raramente emerge uno schema tattico articolato.
A rete Eugenie ha sempre avuto difficoltà e forse anche per questo preferisce lo schiaffo al volo a qualsiasi altra soluzione: non solo al posto delle classiche volèe, ma anche dello smash, sostituito (quando possibile) appunto da una “drive volley” eseguita arretrando.
Le doti di timing e anticipo non si discutono; in particolare secondo me è straordinaria nelle situazioni difficili sul rovescio: è in grado di organizzare molto rapidamente passanti lungolinea fenomenali. Ma forse affidarsi solo a queste qualità potrebbe non bastare contro le più forti.
https://www.youtube.com/watch?v=JhXfnENjNMk#t=302
A me pare che la scelta di ridurre i colpi utilizzati possa essere stata fruttuosa a breve termine, ma il rischio è che a lungo termine il suo tennis risulti incompleto. E se il repertorio padroneggiato è limitato, poi vengono a mancare le alternative quando le partite si mettono male.
Che probabilmente non tutto sul piano tecnico sia andato secondo i programmi lo si intuisce dalla decisione, davvero inattesa, di abbandonare lo storico allenatore Nick Saviano.
Eppure Saviano aveva deciso di seguire Bouchard in esclusiva rinunciando a fare da coach a Laura Robson, e questo era stata anche la probabile causa della fine della amicizia tra Eugenie e Laura, tra cui esisteva un forte legame sin dai tempi dei tornei giovanili (sono coetanee).
E a fine stagione è arrivato anche il cambio di manager, visto che Bouchard ha firmato con la IMG.
Proviamo una sintesi del suo 2014?
– Una finale Slam + due semifinali Slam. Accesso in top ten e poi in top five (best ranking 5). Primo torneo vinto (Norimberga)
– Vittorie importanti negli Slam (Ivanovic, Kerber, Halep) ma anche sconfitte dure da digerire (finale di Wimbledon, Montreal, il Masters)
– Questioni tecniche: la scelta di un gioco sempre più scarno che sembra avere fruttato nel breve termine, ma che forse le avversarie cominciano ad inquadrare
– La rottura con la migliore amica nel circuito a causa dell’allenatore, seguita però a fine stagione dal cambio dello stesso allenatore e anche del manager
– E su tutto questo l’esplosione mediatica e la popolarità internazionale.
Ecco perchè all’inizio parlavo di dodici mesi che valgono quanto una intera carriera: che anno per Eugenie, il 2014 appena concluso.