Il nizzardo, a quota 12 titoli, è il francese più vincente della sua generazione. Una generazione zeppa di giocatori dal grandissimo potenziale ma rivelatisi poi alla lunga privi di mentalità vincente. Una maledizione che perseguita la Francia da 70 anni
Con la vittoria in finale a Marsiglia contro il connazionale Monfils, Gilles Simon è divenuto il giocatore francese in attività con più titoli. Per la precisione, il secondo in assoluto. I suoi 12 trofei sono secondi, nell’era Open, solo ai 23 di Yannick Noah. Ha staccato un gruppetto fermo a 11, composto da Forget, Tsonga e Gasquet.
Come è possibile che in una generazione di fenomeni e grandissimi prospetti come quella messa sul piatto dai francesi negli ultimi dieci anni, alla fine il giocatore più vincente sia il povero, bistrattato, monocorde Simon? Un regolarista con un talento decisamente inferiore rispetto ai più illustri compatrioti, snobbato spesso dai media e anche dalla nazionale che nell’ultima finale di Davis l’ha tenuto in panchina preferendogli uno Tsonga a mezzo servizio e un Gasquet con il solito braccino.
I motivi sono due: il primo è che, va precisato, dei 12 allori di Simon, undici sono dei 250. L’unica vittoria maggiore (e con maggiore intendiamo un 500) il nostro Gilles la ottenne sulla terra di Amburgo nel 2011 quando si impose su Almagro in 3 set. Aldilà di ciò, Simon ha fatto due finali in master1000: perse a Madrid nel 2008 da Murray e recentemente a Shanghai da Federer lo scorso ottobre.
Se i titoli non vanno solo contanti, ma pesati, allora il palmares di Tsonga (due master1000 vinti e una finale persa in Slam, Masters e Master1000) e Forget (due master1000, entrambi in finale su Sampras, e una Davis vinta da protagonista ancora una volta sconfiggendo Pete) sono superiori.
C’è però anche un secondo motivo: ed è che Gilles Simon da Neuchatel (quindi residente svizzero, come se i vicini non avessero già abbastanza campioni) ha una qualità invisa a tutti i suoi compagnons: tanta tigna e forza mentale. Un esempio fra i tanti (ma sono davvero tanti e andremo a vederli) di come ai suoi connazionali manchi il quid del vincente è proprio nello score del suo avversario di sabato: Gael Monfils ha perso a Marsiglia la sua 17esima finale, a fronte di sole 5 vittorie ottenute tutte nelle occasioni meno importanti, i 250. Sempre per non scomodare il “Re dei perdenti” quel Benneteau da anni solido top50 e incapace di vincere un solo torneo in carriera nonostante 10 finali giocate, di cui una con championship point a favore, senza contare quella di Davis dello scorso Novembre.
Stupisce quindi fino a un certo punto che colui che più ha vinto alla fine non sia proprio un genio del tennis (almeno secondo la defizione di genio, che secondo il Perozzi è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione), bensì un regolarista, dotato però di gran voglia di vincere e killer instinct.
La storia del tennis francese negli ultimi 70 anni al maschile è una storia di “vorrei ma non posso”: non c’è forse nazione a parte gli Usa e la Spagna che abbia prodotto con così gran regolarità tennisti di rilievo e prestigio. Nella sola era Open, 70 francesi sono stati almeno una settimana nei top100. Ben 11 giocatori invece nei top10: Noah (miglior ranking numero 3), Forget, Grosjean (4), Leconte, Pioline, Tsonga (5), Simon (6), Monfils, Gasquet (7), Clement, Tulasne (10). Numeri che mostrano un movimento apparentemente in salute. Ma è una salute mantenuta stando sotto una campana di vetro e prendendosi pochi rischi apparentemente. Fatte le debite proporzioni, vale più un movimento svedese che nell’era Open ha prodotto meno campioni ma più campionissimi, forse persino quello svizzero che con due soli campioni ha soffiato proprio ai francesi la Davis a casa loro, che non l’armata bleus, che negli ultimi 69 anni ha vinto lo stesso numero di slam in singolare maschile dell’Ecuador: uno.
Prima di ciò, e dell’era Open, i grandi campioni francesi furono più vincenti: Lacoste (7 slam), Cochet (idem) e Borotra (4), dominarono il panorama alla fine degli anni ’20 permettendosi di fare addirittura una sorta di grande Slam nazionale nel 1928, quando Cochet trionfò a Parigi e Us Open, Borotra in Australia e Lacoste a Wimbledon. Subito dopo la seconda guerra Mondiale il 1946 vide le vittorie di Bernard al Roland Garros e Petra a Wimbledon. Da lì però inizia il modello francese di tanti giocatori di punta senza un vero vincente. Negli ultimi 69 anni per i francesi a livello Slam un solo titolo e sette finali perse da Darmon, Proisy, Leconte, Pioline (due volte), Grosjean e Tsonga. In compenso, nella sola era Open le semifinali Slam sono state ben 27.
L’unico transalpino a vincere uno slam nell’era Open è stato Yannick Noah, bravo a cogliere l’unica occasione della sua carriera battendo Wilander in 3 set a Parigi. Era il 1983. Prima, e soprattutto dopo, il tennis d’oltralpe ha sempre dato l’impressione di essere una macchina da tennisti di buon livello, incapaci però di sfornare il campione di razza. E con percentuali di vittorie da impallidire in confronto al potenziale. Ancora oggi, 23 febbraio 2015, i bleus possono contare su ben sette giocatori fra i primi 40 del ranking (Tsonga, Simon, Monfils, Gasquet, Benneteau, Chardy, Mannarino), un bacino paragonabile solo a quello della Spagna.
Non è un caso quindi che in questo mare di “Vorrei ma non posso” (Monfils) “Potrei ma non voglio” (Tsonga) e “Mi dicevano che avrei potuto ma non era vero “ (Gasquet), alla fine un giorno ti ritrovi a scoprire che il francese in attività con più titoli è proprio lui: Gilles Simon, il vincente brutto, sopra a tutti i perdenti belli.
La tesi che il tennis francese sia popolato da perdenti di lusso trova conforto anzitutto curiosando quanti transalpini populino questa interessante classifica. E poi se andiamo a vedere quanti titoli i galletti si sono portati a casa a livello Juniores. Solo prendendo in esame la generazione che è ora professionista, una rapida carrellata degli ultimi venti anni dice: Mutis (W 1995), Di Pasquale (US 1997), Jeanpierre (AUS 1998), Mathieu (RG 2000), Mahut (W 2000), Morel (AUS 2002), Gasquet (RG 2002, US 2002), Tsonga (US 2003), Monfils (AUs, RG e W 2004), Chardy (W 2005), Sidorenko (AUS 2006). Quattordici titoli in poco più di dieci anni, vinti da undici diversi giocatori incapaci poi di ripetersi a livello professionistico. E’ la generazione che sta giocando al momento con risultati che tutti conosciamo.
In realtà le promesse sono mantenute fino a un certo punto, ma i transalpini hanno la tendenza a sciogliersi sul più bello: dal 2008 solo in undici occasioni nessun francese ha raggiunto almeno i quarti, contro le 18 volte in cui questo evento si è verificato. Non c’è bisogno di precisare che di queste diciotto volte, nelle ultime 17 nessuno ha raggiunto la finale.
Lo score delle finali Slam dal 1947 in avanti come detto parla di una vittoria di fronte a 7 sconfitte. Va meglio, ma non molto, nei master1000 (6 finali vinte su 20), mentre si è 0 su 2 ai Masters di fine anno (Grosjean 2001, Tsonga 2011).
Quindi ricapitolando, Gilles Simon ha vinto più di tutti i suoi coetanei perché ha puntato ai tornei facili e soprattutto perché ha saputo vincere molto spesso quando c’è da vincere (12-5 il suo score in finale), forse perché scarico di tutte le pressioni che il pubblico francese, a ragione, ripone sulle altre belle promesse nel sogno che qualcuno riporti in patria un trofeo importante.
Per quanto riguarda la corsa al secondo posto nella classifica all-time, la battaglia è ancora aperta. Tsonga e Gasquet hanno chance di vincere ancora ovviamente, quanto e più del nizzardo considerando che sono anche, leggermente, più giovani. Ma l’impressione è che per trovare qualcuno in grado di avvicinare i 23 titoli di Noah i francesi dovranno attendere un’altra generazione di brillanti promesse, dato che il più giovani dei top10 francesi, Mannarino, va già per i 27. Forse dovrà pensarci Lucas Pouille.