Walter Trusendi ed Elie Rousset sono stati squalificati rispettivamente per sei e tre mesi per violazione del Programma Anti-Corruzione. Ma non hanno truccato alcuna partita. Pagano a caro prezzo una grave ingenuità, che dimostra una volta di più che non c’è alcuna comprensione verso il pesce piccolo
E’ scoppiata ieri la bomba. O presunta tale. Perché sì in tanti, in un primo momento, vista la squalifica di sei mesi comminata a Walter Trusendi e ad Elie Rousset, che ha però ottenuto uno sconto della pena di 3 mesi per aver confessato, ad aver subito gridato allo scandalo, associando la pena ad un presunto episodio di match-fixing. In tanti hanno preso un granchio. Perfino Tennis.com, uno dei siti internazionali più prestigiosi, ha parlato di partita truccata. Non è il solo però ad essere caduto nel tranello, perché il Corriere dello Sport, nella sua edizione cartacea, riportava stamattina un breve trafiletto dal titolo “Trusendi, 6 mesi per scommesse”. Invero, di match-fixing non si è trattato. Quanto più semplicemente della violazione del Programma Anti-Corruzione, sezione D1d: “Nessun soggetto può condizionare o cercare di condizionare l’esito di qualsiasi aspetto, in qualsiasi evento”. L’aspetto che Walter Trusendi, numero 425 del mondo, ha condizionato riguarda 352 euro! E’ lui stesso a raccontare l’accaduto alla Gazzetta dello Sport: “A giugno dell’anno scorso, al Challenger di Mohammedia, in Marocco — 42.500 dollari di premi, sulla terra rossa — , ho avuto 39 di febbre il giorno prima dell’esordio, contro Becker. Non mi sentivo in grado di scendere in campo, avrei fatto una figuraccia. Però i 352 euro del primo turno non mi cambiavano la vita, ma mi facevano comodo per pagarmi un aereo, e tamponare qualche spesa. Così, ho chiamato il primo dei lucky loser, il francese Rousset. E lui ha giocato al mio posto mio”. Un’ingenuità pagata a caro prezzo da Trusendi, multato anche di cinquemila dollari dalla TIU, la Tennis Integrity Unit che ha indagato su alcuni tennisti italiani per il noto caso-scommesse. “E’ stata una cavolata, ho sbagliato, non sono cose da farsi, è stato un errore, avrei potuto andare in campo, fare un game, prendermi i miei soldi — che mi spettavano essendo in tabellone per diritto di classifica — e non sarebbe successo alcunché. Invece…”.
Invece è arrivata la sanzione, corretta data l’infrazione del regolamento ma decisamente sproporzionata in relazione al misfatto, che poi tanto grave non è. “Mi stavo allenando al torneo Challenger di Mohammedia nel giugno scorso, dovevo ancora giocare il doppio ed avevo perso nell’ultimo turno delle qualificazioni, ero il primo dei lucky loser. Trusendi è venuto a vedermi, doveva giocare una mezz’ora più tardi ed aveva un’intossicazione alimentare; mi ha chiesto ‘Puoi prendere il mio posto e darmi il prize money del primo turno?’ E’ stato un gesto di solidarietà. Avrebbe potuto andare benissimo sul campo, giocare per tre giochi e poi ritirarsi, come succede tutte le settimane. Dovrebbe addirittura diventare una regola. Non avrei mai pensato che sarei stato punibile. Forse non è nel rispetto delle regole ma è una vicenda di buon senso per il pubblico: è meglio vedere un match piuttosto che uno che si ritira”, spiega Rousset attraverso le colonne de L’Equipe. Un gentlemen’s agreement punito oltremodo, soprattutto per chi come Trusendi e Rousset è sempre lì ad annaspare, lontano dalle luci della ribalta e dai lauti compensi del tennis che conta, perennemente sospeso tra l’assecondare la passione di una vita e la consapevolezza che quella stessa passione costa tanti sacrifici, spesso mai ripagati. “Sono distrutto. Io già faccio una fatica incredibile per mantenermi. Sono tuttora convinto che non ho espresso al massimo le mie potenzialità e vado avanti per pura passione del tennis, facendo mille sacrifici. In pratica, finanziariamente, vado sempre sotto, a fine stagione, e perciò vivo ancora a casa dei miei genitori. Se non fosse per l’ingaggio nel campionato di serie A-1, col Forte dei Marmi, non potrei giocare Futures e Challenger”, ha continuato Trusendi. Un sentimento condiviso da Rousset:“Mi sento molto piccolo. Non ho molte armi per difendermi. Posso fare appello solo al Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport, ndr), ma mi hanno detto che il Tas non è mai intervenuto a cambiare una decisione ITF riguardo la data delle sospensioni. Non vale la pena. Ho preso una sanzione di duemila dollari. Se prendo un avvocato mi viene a costare di più dei 43.727 dollari conquistati in 4 anni sul circuito. Sono completamente distrutto”.
Si pone a questo punto un problema che non è più solamente regolamentare ma anche etico. “Il giudice arbitro ci ha visto parlare da lontano ed ha avvertito la Federazione Internazionale che secondo lui c’era qualcosa di sospetto. La Federazione Internazionale ha chiesto di interrogarmi ad ottobre. A Trusendi ho fatto un versamento bancario, non avevo pensato a tutto ciò se no gli avrei dato 352 euro in contanti. Sono stato onesto ed invece avrei dovuto mentire. Il Tennis Integrity parla di corruzione e di incontro combinato ma non ha niente a che vedere con questo. Gli accordi nei match sappiamo bene che esistono ma non sono mai caduto in questo tipo di vicende, non ho mai nemmeno scommesso un euro in vita mia. Questa cosa mi fa impazzire. Sono una persona integra e questo mi fa male. Nella mia carriera ho preso solo un’ammonizione di 50 euro per il lancio di una racchetta. Non si può ignorare la legge, ma non c’è comprensione”, ha concluso Rousset.
Anche il direttore generale della Federazione francese, Gilbert Ysern, si è schierato dalla parte di Rousset: “Una colpa molto minore che non ha assolutamente niente a che vedere con la corruzione. E’ sicuramente un atto sbagliato nei confronti delle regole internazionali. Capisco quanto sia difficile accettare questa situazione. La TIU dovrebbe concentrare i suoi sforzi sui veri casi di corruzione che sono potenzialmente drammatici per il nostro sport“. Una colpa minore punita solamente con tre mesi in meno rispetto a quanti dati a Marin Cilic per essere risultato positivo ad un test antidoping. Lì forse c’è stata comprensione, qui decisamente no. E’ sempre la storia del pesce piccolo?