Federer e Roma, storia di un amore senza lieto fine
La parola del giorno è perplessità. Non è comprensibile, al di là dell’aver vinto tutto, di essere nell’anno dei trentaquattro e le solite cose, come un atleta come Federer (non giocatore di tennis, ma proprio sportivo in generale) si sia capovolto non appena abbia assaggiato il mattone tritato, come i bambini che bagnano il piedino per sentire se è fredda. Un apparente rifiuto di lottare su quella che può essere considerata la sua minore alleata (maiorchini mancini dell’87 a parte) in carriera, che potrebbe compromettere un ottimo avvio di 2015: due Master 1000 sulla terra, un solo match vinto. Il Roland Garros fa ciao con la mano, Roma o non Roma?
Siamo quasi a metà stagione, la sua sterminata bacheca ha già aggiunto tre pezzi d’argenteria (Brisbane in cui ha vinto la sua millesima partita da pro, Dubai e Istanbul), a cui si aggiunge la bellissima finale di Indian Wells persa in tre set contro il mistero Djokovic: ci sarebbero i presupposti per un ultimo (?) assalto alla diligenza parigina, eppure in campo Federer sembra quasi svogliato, come se non volesse perdere tempo a combattere, almeno sulla terra rossa. A Montecarlo, e lo abbiamo visto di persona, aveva problemi a giocare due colpi di seguito più in là del quadrato del servizio; in Turchia ci mancavano solo il pranzo al sacco e lo zainetto con la cartina geografica, e comunque la gita dorata si è conclusa con l’unico risultato che ha evitato di gridare del tutto allo scandalo, con brivido finale in un tiebreak dove ha tirato fuori un paio di cosette da alzarsi e andarsene (volèe bassa di rovescio a uscire negli ultimi millimetri di campo, della risposta lungolinea sul set point non so cosa altro si possa descrivere, sinceramente); a Madrid ha perso il quindicesimo incontro con match point sprecati nella sua carriera, contro il rampante e apparentemente maleducato australiano che comunque non sarà soltanto di passaggio nel circuito, con rimostranze su qualsiasi cosa gli capitasse (“we need a clown for this circus”, la perla dopo l’ennesimo overrule).
La sensazione di chi vi scrive, banale ma ormai palpabile, è che Federer non abbia più tanta voglia di sprecarsi in tornei che non siano Slam; in conferenza stampa nel Principato era senz’altro scuro in volto dopo la sconfitta, ma sembrava essere più impaziente di tornare a casa per non parlare di tennis o della sua programmazione, piuttosto che amareggiato per la figura non proprio regale contro Monfils. Ma che senso avrebbe trascinarsi in giro per il tour, in attesa degli appuntamenti più importanti, senza sfruttare tutte le opportunità di rodarsi e comunque fare punti per una chimerica rincorsa al numero uno del ranking (punti e partite eh, perché ho come l’impressione che i soldi non siano esattamente un problema)? Roma adesso potrebbe presentarsi come un trampolino interessante in vista del Roland Garros: stracotto l’argomento di “uno dei pochissimi tornei mai vinti dallo svizzero”, piuttosto Federer potrebbe pensare di non disertare la Capitale per evitare di arrivare allo Slam francese con appena due settimane (complessive) di terra nei calzini. Non stravolgerebbe più di tanto il suo planning, non cambierebbe superficie come quando nel 2013 scelse Amburgo e Gstaad prima della trasferta estiva negli Stati Uniti, e non avrebbe da fare chissà quante ore di volo o andare in posti scomodi: e poi testuali parole “I miei figli adorano Roma” (Leo e Lenny, un anno a testa compiuto ieri, sono amministratori di TripAdvisor, mi sembra). L’ipotetica alternativa sarebbe quella di chiudersi tra le vette svizzere a trascorrere due settimane di preparazione fisica sotto il severo sguardo di Paganini, per presentarsi allo swing sull’erba (con Halle che è diventato un 500) al top, magari inserendo il neonato torneo di Ginevra, praticamente nel cortile di casa; non sarebbe meglio un tabellone amico, un po’ di sudore in più e una bella carbonara, così da non arrivare in Francia praticamente dopo un sonno di due mesi e rischiare un’altra debacle sul Philippe Chatrier?