Rafa Nadal ha temporaneamente accantonato la nuova racchetta, un prototipo della nuova Babolat Play Aeropro Drive, con la quale aveva iniziato la stagione sulla terra europea, per tornare ad utilizzare il modello tradizionale, pur confermando l’intenzione di utilizzare in futuro la nuova versione.
Ma il fatto che uno dei motivi della decisione di cambiare attrezzo dopo tanti anni – come dichiarato dallo stesso Nadal – sia quello di consentirgli di aumentare ulteriormente la rotazione dei suoi colpi ha riportato come argomento di attualità tra gli addetti ai lavori l’incredibile capacità del 9 volte campione del Roland Garros di imprimere alla pallina delle esasperate rotazioni in top spin con il suo dritto mancino.
Dalle analisi dei dati sui colpi di Nadal effettuate alcuni anni fa, risultava che mediamente una pallina colpita dal maiorchino con il dritto in topspin compie 3.200 rotazioni su stessa al minuto, circa il 20% in più di quelle di una pallina colpita con il dritto in top dal suo storico rivale Roger Federer.
Ma questa sua capacità di generare un’enorme quantità di top spin, secondo molti non è la migliore in assoluto. Negli anni ’90 un altro giocatore spagnolo, grande specialista dei campi in terra rossa, riusciva ad imprimere con il dritto delle rotazioni incredibili alla pallina, mediamente in linea con quelle odierne del maiorchino, che creavano ai suoi avversari le medesime difficoltà di controllo che si trovano ad affrontare gli avversari di Nadal.
Questo giocatore era Sergi Bruguera, il primo spagnolo a vincere un torneo del Grande Slam dai tempi di Manolo Orantes (vincitore degli US Open nel 1975). Bruguera si impose per due volte al Roland Garros, nel 1993 e nel 1994, e fu il primo prodotto, potremmo definirlo il prototipo, di quella che poi diventerà la grande “scuola spagnola“. Sulla sua scia arrivarono Moya, Costa, Ferrero – tutti vincitori di uno Slam – fino a giungere proprio a Rafael Nadal, vincitore ad oggi di 14 tornei del Grande Slam.
Le palline di Bruguera arrivavano mediamente a 3.300 rpm (revolutions per minute – giri/min) ed è indubbiamente curioso come il prototipo della scuola spagnola e colui ne rappresenta la massima evoluzione siano legati – a distanza di più di vent’anni – da questa particolare analogia nell’esecuzione del diritto arrotato, colpo “simbolo” della scuola spagnola. Da evidenziare che le rotazioni impresse da Bruguera non raggiungevano i picchi di Nadal: la massima rotazione raggiunta da una pallina colpita da Nadal è stata di 4.900 rpm, l’attuale coach di Richard Gasquet è arrivato a 3.750 rpm.
Ma in considerazione del fatto che la tecnologia costruttiva delle racchette (e delle corde: si pensi ai cambiamenti portati a livello agonistico dall’arrivo del monofilamento Luxillon alla fine degli anni ’90) si è notevolmente evoluta nei ventidue anni che intercorrono dalla prima vittoria di Bruguera a Parigi (6-3 al quinto contro il campione in carica Jim Courier) all’esordio di Nadal a Montecarlo con la nuova racchetta, alcuni esperti sostengono che con le racchette (e le corde) di oggi Bruguera riuscirebbe ad imprimere alla pallina rotazioni superiori a quelle di Rafa.
Ovviamente tale tesi non è dimostrabile. Sicuramente quello che risulta invece evidente è che l’esecuzione di colpi con rotazioni così esasperate necessità di un grosso supporto fisico e di conseguenza porta anche ad una precoce usura fisica: la carriera di questi due campioni, costellata da ripetuti problemi fisici, ne è la dimostrazione.
Degli infortuni di Nadal – l’ultimo dei quali quello al polso destro che lo ha costretto a un lungo stop lo scorso anno – si sa praticamente tutto, ma ricordiamo che anche la carriera del tennista di Barcellona fu frenata da diversi guai fisici. Bruguera raggiunse il vertice della sua carriera nel 1994, a 23 anni, con la seconda vittoria al Roland Garros e la posizione n.3 nel ranking ATP. Da quel momento per lui iniziarono i problemi: addirittura nelle stagioni successive non riuscì più a vincere un torneo ATP, fermandosi così a 14 vittorie nel circuito maggiore con la conquista all’open di Praga nell’agosto 1994. Nei due anni successivi lo spagnolo dovette prima affrontare un’operazione ai legamenti del ginocchio e poi un brutto infortunio alla caviglia che lo tenne fermo per buona parte del 1996 (ma la stagione fu comunque da ricordare grazie alla conquista della medaglia d’argento ai Giochi Olimpici di Atlanta, sconfitto da Agassi in finale). Riuscì a tornare ad esprimersi con costanza ad alti livelli nel 1997, anno che lo vide raggiungere la terza finale al Roland Garros (sconfitto nettamente da Guga Kuerten, che utilizzava le innovative corde Luxillon citate in precedenza) e altre 3 finali ATP, e a risalire all’ottavo posto in classifica (vinse anche il premio ATP “Comeback of the Year”). Fu però l’ultimo acuto. Altri problemi fisici (in particolare alla spalla destra, che dovette operare e gli fece saltare praticamente tutto il 1999) portarono ad un rapido ed inesorabile declino – uscì dai top 50 nel corso del 1998 e non vi fece piu’ rientro – fino al ritiro nel 2002 a a 31 anni.
Se alla domanda del titolo non è possibile dare una risposta, è all’interrogativo che oggi si pongono molti appassionati – in particolare i sostenitori del toro di Manacor – che si attende a breve un riscontro, direttamente dal campo: Rafa Nadal riuscirà a tornare quello di prima e ad esprimersi nuovamente ai suoi massimi livelli sul rosso? E dal punto di vista tecnico in particolare proprio con il suo dritto ad uncino, che in questa stagione sta atterrando spesso a metà campo ed è diventato facilmente controllabile dagli avversari.
Non ci resta che aspettare ancora qualche giorno: al “Philippe Chatrier”, il campo centrale del Roland Garros dove Nadal ha costruito la sua fama di dominatore del mattone tritato (e dove, nonostante tutto, in molti lo vedono ancora come l’uomo da battere), l’ardua – e forse definitiva – sentenza…