Con questo articolo vorrei tornare sullo Slam appena concluso, ragionando su un tema in particolare: l’importanza della forza mentale nel determinare i risultati dell’ultimo Roland Garros.
Un momento, un momento: prima di fermarvi qui e passare subito a un altro articolo, giustamente scandalizzati dall’ovvietà che avete appena letto, lasciatemi il tempo di provare ad argomentare.
Si sa che la testa è una componente imprescindibile per qualsiasi giocatore di tennis professionista, e che conta in ogni partita di ogni torneo. Ma in questo Roland Garros per molte giocatrici c’è stata occasione di renderlo particolarmente evidente, probabilmente in misura ancora superiore al solito. Provo a spiegarlo in quattro capitoli.
1. Le difficoltà delle giovani
Cominciava ad essere una promettente abitudine la presenza di giocatrici giovani nelle semifinali Slam: le ventenni Bouchard l’anno scorso in tre Major (con una finale) e Keys quest’anno agli Australian Open.
Invece a Parigi nessuna ce l’ha fatta. Come già a Flushing Meadows 2014 (con Belinda Bencic), l’ostacolo dei quarti di finale è stato insormontabile per le nuove leve: sono riuscite ad arrivarci Van Uytvanck e Svitolina, ma entrambe sono state sconfitte piuttosto nettamente in due set.
Per quanto riguarda le altre giovani, siccome il tema di oggi è la “testa” delle giocatrici, vorrei sottolineare il caso di tre di loro che hanno deluso soprattutto per questo.
Caroline Garcia
Mi ha fatto tenerezza l’esplicita ammissione di Garcia di non riuscire a reggere la pressione dello Chatrier come palcoscenico sul quale misurarsi. La povera Caroline ha probabilmente perso la partita di esordio prima ancora di giocarla: ha raccontato di essersi allenata la settimana prima su quel campo enorme, e di aver chiesto agli organizzatori di essere spostata in uno stadio più piccolo, proprio per lo stress che il teatro principale le provocava.
Chissà cosa deve avere provato nei giorni precedenti al match, con la pressione che aumentava, accresciuta ulteriormente dall’allenamento nel grande stadio vuoto. Gli organizzatori non l’hanno ascoltata: l’hanno confermata sullo Chatrier, e così è uscita immediatamente dal torneo (3-6, 6-3, 6-2 da Donna Vekic, a sua volta eliminata più avanti raccogliendo solo tre game contro Ivanovic).
In questi casi lo sport è particolarmente spietato: non c’è indulgenza per questo tipo di debolezze, perché la fragilità si trasforma in sconfitta.
Garcia potrebbe cercare di consolarsi pensando che è in buona compagnia: ricordo che Amélie Mauresmo non è mai andata oltre i quarti di finale al Roland Garros. Il rendimento nello Slam di casa è stato di gran lunga il peggiore tra i quattro della carriera di Amélie, che pure sul rosso sapeva giocare, visto che, per citare un solo dato, ha vinto due volte a Roma.
Eugenie Bouchard
La situazione di Bouchard è ampiamente conosciuta da chi legge Ubitennis. L’anno scorso nei finali di partita combattuti aveva sempre la meglio, grazie a una granitica convinzione nei propri mezzi. Quest’anno accade l’esatto opposto.
A mio avviso la sua involuzione ha anche ragioni tecniche, ma con la sicurezza del 2014 molte partite perse di recente secondo me le avrebbe portate a casa.
A Parigi l’anno scorso era arrivata in semifinale, eliminata dopo una dura lotta dalla futura vincitrice Sharapova. Quest’anno, in piena crisi di fiducia, è uscita dal torneo senza raccogliere nemmeno un set (6-4, 6-4 da Mladenovic al primo turno).
Madison Keys
A Parigi Madison Keys aveva iniziato alla grande. Al secondo turno aveva eliminato la quasi coetanea Belinda Bencic (6-0, 6-3) mettendo in mostra un tennis di qualità altissima. Ma al turno successivo ha trovato un’altra tennista svizzera, Timea Bacsinszky, che l’ha messa sotto scacco, rendendola quasi inoffensiva.
In questo caso la testa ha fatto la differenza prima sul piano tattico e poi su quello psicologico. Se Belinda aveva accettato lo scontro aperto ed era stata spazzata via dalla maggiore pesantezza di palla di Keys, Timea ha fatto di tutto per mandare fuori ritmo la sua avversaria: variando il gioco in profondità, rallentando e alzando la parabola con il dritto, usando i drop-shot, per poi colpire quando aveva la possibilità di spingere il rovescio.
Man mano che la partita si sviluppava, la difficoltà tattica di Keys si è trasformata in frustrazione e poi in un atteggiamento di impotenza che ha portato inevitabilmente alla sconfitta (6-4, 6-2).
2. Timea Bacsinszky
Di Timea e della sua sapienza tattica contro Keys ho scritto qui sopra. Ma in tutto il torneo Bacsinszky ha mostrato di saper vincere non solo perché era in forma fisicamente e tecnicamente, ma perché mentalmente era in grande condizione: lucida e convinta dei propri mezzi.
A mio avviso è stata la giocatrice più intelligente e sagace del torneo. Anche per questo si spiega la sua vittoria contro Petra Kvitova. Timea era scesa in campo stranamente nervosa, forse per la lunga attesa (il protrarsi delle partite precedenti aveva fatto iniziare il match con il sole ormai al tramonto); e aveva perso giocando male il primo set.
Ma nel secondo ha saputo riassestarsi riproponendo tutte le trappole tennistiche che avevano irretito Madison Keys; e contro un’altra giocatrice di grande potenza come Kvitova le cose sono andate esattamente allo stesso modo: ha finito per vincere secondo e terzo set molto nettamente (2-6, 6-0, 6-3).
Timea ha trovato in semifinale Serena Williams, che doveva avere studiato molto attentamente insieme al suo coach Mouratoglou le soluzioni messe in campo contro Keys e Kvitova. E così Serena ha adottato tutta una serie di contromosse (nelle direzioni di battuta e in risposta, ma anche nella conduzione del palleggio) per impedire a Bacsinszky di trovare il tempo di colpire con il rovescio da ferma.
Malgrado fosse stata privata della sua arma migliore, per quasi due set Timea ha saputo reinventarsi, tenendo testa a Serena con due aspetti del gioco che non sono il suo forte: la risposta al servizio e i vincenti di dritto.
E’ stato uno sforzo mentale straordinario, che si è infranto con i due dritti a campo aperto che Timea ha fallito, facendo girare definitivamente la partita. Quel doppio errore è stato il segnale che probabilmente aveva chiesto tutto a se stessa sul piano psico-fisico. Come testimonia il punteggio conclusivo (4-6, 6-4, 6-0).
3. Ana Ivanovic
Chi segue un po’ il tennis sa benissimo di cosa parlerò, tanto sono diventate famose le difficoltà psicologiche di Ana Ivanovic. Una giocatrice con mezzi superiori, capace di raggiungere picchi di gioco di altissimo livello, ma anche di sprofondare in crisi incontenibili (che le hanno compromesso intere stagioni); e anche quando è riuscita ad arginarle, le hanno impedito di raggiungere risultati pari a quanto il suo potenziale suggerirebbe. Ricordo che stiamo parlando di una vincitrice Slam a vent’anni, con annesso primo posto al mondo (giugno 2008).
Ne ho già scritto in passato, provando a spiegare la situazione con questo paradosso: è come se in lei ci fossero due giocatrici, una fortissima e quasi imbattibile, e un’altra piena di dubbi e di incertezze, che il più delle volte si sconfigge da sola. E nei grandi appuntamenti finiva quasi sempre per giocare la Ivanovic autodistruttiva.
Finalmente, a sette anni di distanza dalla vittoria parigina, e dopo una serie infinita di delusioni, Ivanovic è tornata ad arrivare in fondo in uno Slam, fermandosi solo in semifinale. Lo ha fatto in un torneo in cui secondo me non ha nemmeno mostrato una forma eccelsa, ma semplicemente discreta. Eppure il suo livello di gioco è stato sufficiente per sconfiggere avversarie non particolarmente pericolose (però Makarova e Svitolina non sono tenniste che regalano le partite), ma comunque da rispettare.
In sostanza: Ivanovic ha sconfitto chi doveva battere e si è fermata contro chi stava giocando meglio di lei (Lucie Safarova). Un torneo logico, al di fuori di tutti i cliché del passato.
Ana è tornata protagonista in modo del tutto normale. Che nel suo caso diventa quindi straordinariamente normale.
4. Lucie Safarova
Anche Safarova ha la fama di avere una particolare debolezza caratteriale. All’inizio della stagione scorsa si era fatta notare per una serie di sconfitte subite dopo essere stata ad un passo dalla vittoria, e sempre contro le future vincitrici del torneo. Contro Li Na agli Australian Open 2014 (match point mancato per un soffio), o a Stoccarda contro Sharapova (un doppio fallo a due punti dal match): la talentuosa Lucie sembrava destinata a una carriera ricca di rimpianti e di sconfitte onorevoli. Ma poi è arrivata la semifinale a Wimbledon 2014: un risultato “pesante”, a conferma che a volte i giocatori crescono prima sul piano tecnico e poi su quello psicologico.
Quest’anno in Australia Safarova ha ottenuto la prima vittoria Slam (in doppio) e poi si è aggiudicata un torneo di prestigio come Doha (in finale contro Azarenka).
Al Roland Garros appena concluso ha stupito i più scettici arrivando in finale e facendo soffrire Serena Williams. Lungo il percorso non sono mancati i soliti momenti difficili nei finali di partita (con alcuni set point a favore dell’avversaria), anche perché il tabellone non era agevole: Pavlyuchenkova, Nara, Lisicki, Sharapova, Muguruza, Ivanovic, Williams.
Ma al di là di tutte le incertezze, alla fine per lei parlano i dati: le prime sei partite vinte tutte in due set, una rimonta di grande carattere in finale contro Serena, e sei tiebreak vinti su sei. Non voglio con questo dire che si sia trasformata in un terminator, ma ha comunque dimostrato che le debolezze si possono tenere a bada quanto basta per non compromettere il risultato.
Del resto non è la prima giocatrice che riesce ad emergere pur avendo fragilità caratteriali.
Faccio un esempio: il titolo che avevo dato all’articolo che celebrava la vittoria degli Australian Open 2014 era questo: “Li Na, grande nonostante il carattere”.
Anche Li Na spesso soffriva di braccino nelle partite importanti, ma questo non le aveva impedito di costruirsi un palmarès di tutto rispetto. Ma non ho citato Li Na solo per questo. L’ho fatto anche perché l’altro giorno un lettore mi ha suggerito un parallelo che trovo interessante. Si chiama Andy, e lo ringrazio per il tema che vi propongo in chiusura.
I risultati ci dicono che Safarova ha raggiunto la maturità tennistica piuttosto tardi. Oggi Lucie a 28 anni sembra nel pieno delle forze atletiche, tecniche e morali.
Proprio come è accaduto a Li Na, altro talento che si è definitivamente affermato dai 28 anni in poi.
Entrambe fino ad un certo punto della carriera nei Major vantavano un solo, sporadico quarto di finale. Ma poi è arrivato il cambio di marcia. Prima una semifinale Slam, poi una finale, con in aggiunta vittorie in tornei Premier WTA con campi di partecipazione di grande qualità.
Si nota una interessante similitudine nella fase di crescita attorno ai 27-28 anni. Ho preparato una tabella che confronta il percorso delle due giocatrici:
Li Na seppe compiere un ulteriore progresso, prima vincendo uno Slam (Roland Garros 2011) e poi confermandosi su livelli altissimi con altre due finali australiane (una vinta nel 2014).
Saprà Safarova crescere ancora, ripercorrendo il cammino di Li Na? E quanto conterà il carattere nella possibile crescita?