Era il 23 agosto del 1973 quando, dagli uffici della compagnia aerospaziale TRW, Bob Kramer pubblicò il primo ranking ATP della storia, che stabiliva che fra i 186 giocatori inclusi nella lista il rumeno Ilie Nastase, vincitore quell’anno degli Open di Francia, era il giocatore n.1 al mondo. Ci vollero poco più di due anni, precisamente fino al 4 novembre del 1975, perché anche la WTA iniziasse a calcolare le classifiche, che quel giorno assegnarono la prima posizione all’americana Chris Evert.
Da quei giorni sono passati rispettivamente quasi 42 e 40 anni, un lasso di tempo in cui il mondo è cambiato in tutti i suoi aspetti: economico, geografico, politico, tecnologico, sociale e culturale. Per rimanere legati al mondo del tennis, è quantomeno curioso pensare che l’attuale sponsor del ranking ATP, la compagnia aerea di Dubai Emirates, nel 1973 non esisteva neppure. L’asse del mondo, che prima verteva principalmente sugli Stati Uniti e il vecchio continente europeo, negli ultimi quattro decenni si è lentamente spostato verso l’Asia, con la fortissima ascesa economica, ancora in corso, di paesi come la Cina, l’India, la Corea del Sud e di tutta l’area del Medio Oriente, con l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, il Bahrein (quante persone negli anni ’70 avrebbero mai immaginato che una cinquantina d’anni dopo il Qatar avrebbe organizzato una manifestazione come i mondiali di calcio?).
E poi ancora, dal 1973 ad oggi abbiamo visto paesi che si sono divisi (l’Unione Sovietica, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia), altri che si sono riuniti (la Germania), altri ancora che hanno ottenuto l’indipendenza (il Mozambico, l’Angola, la Repubblica Centrafricana, lo Zimbabwe, le Seychelles, il Brunei…).
Ma quali sono stati i riflessi di tutti questi cambiamenti sul mondo del tennis? Come si è mossa la geografia tennistica negli ultimi 40 anni? Quali sono stati i paesi che hanno dominato e dominano uno dei giochi più antichi del mondo? Qual è stato l’impatto della globalizzazione sul nostro sport?
Per rispondere a tutte queste domande ci siamo basati sull’analisi di tre fattori: i calendari ATP e WTA, le graduatorie dei primi 100 giocatori e giocatrici del mondo, e i giocatori/giocatrici presenti agli ottavi di finale degli Slam. Dal punto di vista temporale siamo partiti dall’agosto del ’73 per gli uomini e dal novembre ’75 per le donne per poi passare alle annate di ogni fine decade (1980, 1990, 2000, 2010), concludendo infine con il 2015 e gli ultimi ranking pubblicati questo lunedì dopo il Roland Garros.
Osservando la distribuzione dei tornei nei vari continenti e i paesi di provenienza dei giocatori e delle giocatrici, cercheremo quindi di tracciare una storia tennistico-geografica del mondo, per capire come questo sport sia cambiato sotto questo aspetto negli ultimi 40 anni. Vedremo quindi come il tennis sia passato da una dimensione molto più circoscritta, con la maggior parte del Tour che si svolgeva in Europa e negli Stati Uniti e l’Australia che rimaneva una sorta di mondo a parte, ad uno sport che ha raggiunto (quasi) tutti gli angoli della terra.
Sebbene siano arrivati a più di due anni di distanza, partiamo quindi dai primi ranking della storia. La classifica ATP del 23 agosto del 1973 vide l’Europa primeggiare con ben 45 giocatori fra i primi 100, compresi i primi due, il rumeno Nastase e lo spagnolo Orantes. Furono tuttavia gli Stati Uniti la nazione con più rappresentanti fra i top players, ben 23, di cui 3 (Ashe, Smith e Connors) fra i top10; seguiva poi l’Australia con 16 giocatori, compresi tre top10 che insieme oggi possono vantare ben 26 titoli del Grande Slam: Laver, Rosewall e Newcombe. Scendendo in classifica le nazioni più rappresentate furono la Francia e la Gran Bretagna (7 giocatori), l’Italia (5, con Adriano Panatta al n.8 e Paolo Bertolucci al n.12), la Spagna, e l’allora unita Cecoslovacchia (4). In totale furono 25 i paesi rappresentati dai primi 100 giocatori del mondo (14 europei), con presenza anche dell’Egitto, del Pakistan e dello Zimbabwe (non ancora riconosciuto dall’ONU come stato indipendente). A livello continentale l’Europa poté vantare 45 giocatori fra i primi 100, lasciandosi alle spalle il Nord America con 25 e l’Oceania con 18. I restanti 16 posti si divisero fra i 6 dell’Africa, i 4 del Sud America e i 2 dell’Asia. 19 furono invece le nazioni rappresentate negli ottavi di finale Slam, con un minimo di 6 nazioni diverse agli AO (dove i padroni di casa ebbero 8 giocatori fra i migliori 16) e un massimo di 11 agli US Open. L’Europa risultò anche qui il continente leader con 30 ottavi collezionati (5 della Francia), superando l’Oceania con 17 (15 dell’Australia) e il Nord America con 12 (tutti USA).
A livello individuale non deve certo stupire l’alto numero di rappresentanti statunitense, soprattutto se si pensa che dei 94 tornei che formarono il “Grand Prix” di quell’anno, ben 43 si disputarono in USA! L’Europa tutta insieme mise insieme “solo” 33 tornei (8 in Gran Bretagna), i restanti 18 si divisero fra i 5 del Canada, 2 in Australia e in Sud Africa, 7 in Asia e 1 in Nuova Zelanda e Argentina.
N.B. Per mancanza di mappe editabili dell’epoca, abbiamo utilizzato le mappe attuali, colorando tutti i paesi che componevano a quel tempo una determinata nazione (es. Urss). Viceversa la Germania risulterà tutta colorata, sebbene i tennisti e le tenniste fossero solamente della Germania Ovest.
21 furono invece le nazioni rappresentate nel primo ranking WTA, ma in questo caso gli Stati Uniti fecero decisamente la parte del leone, occupando, oltre al n.1 di Chris Evert, quasi metà delle prime 100 posizioni con le loro giocatrici: 49. D’altronde come poteva essere altrimenti se proprio lì si disputarono quell’anno 25 dei 47 tornei del WTA Tour (12 in Europa, 5 in Australia, 2 in Asia, 1 in Africa)? Anche fra le donne l’Australia era allora una potenza e le 11 giocatrici presenti fra le prime 100, fra cui 3 top10, lo dimostrano. E l’Europa? Sul fronte femminile nel novembre del ’75 il vecchio continente poté contare su 27 giocatrici fra le prime 100 del mondo; il paese più rappresentato fu la Gran Bretagna con 8 presenze (tante quante il Sud Africa) a seguire vi furono con 3 giocatrici la Francia e due nazioni che oggi non esistono più come la Germania Ovest e la Cecoslovacchia (per cui giocava ancora Martina Navratilova prima di prendere la cittadinanza americana). In pratica, nella prima classifica WTA della storia 3/4 delle giocatrici fra le prime 100 provenivano da sole 4 nazioni. Finì ovviamente anche agli USA il titolo di nazione con più giocatrici negli ottavi Slam di quell’anno con 17, seguiti dalla solita Australia con 13 e dalla Gran Bretagna con 9. Il torneo più “internazionale” fu il Roland Garros con agli ottavi tenniste da 11 nazioni diverse, il più nazionalista ovviamente gli AO, con sole 6 nazioni.
Facciamo ora un salto in avanti di rispettivamente sette e cinque anni e arriviamo al 1980.
Il 1980 fu un anno molto delicato dal punto di vista politico: l’Italia, scossa a novembre dal terribile terremoto dell’Irpinia, era nel pieno della stagione del terrorismo (sono di quell’anno la strage di Ustica e la bomba alla stazione di Bologna, ma anche gli omicidi di Walter Tobagi e Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, Sergio), in Polonia Lech Walesa guidò il sindacato dei lavoratori dei cantieri navali di Danzica per fondare Solidarnosc, in Jugoslavia la morte del presidente Josip Tito fu il preludio al peggior conflitto europeo dai tempi della seconda guerra mondiale, in Turchia un colpo di stato impose la dittatura militare del generale Evren, in Medio Oriente scoppiò la guerra fra Iran e Iraq, in Zimbabwe, finalmente riconosciuto dall’ONU, Robert Mugabe fu eletto presidente, carica che ricopre ancora oggi.
Siamo in piena guerra fredda, conflitto che dal punto di vista sportivo raggiunse probabilmente l’apice proprio in quell’anno: a gennaio infatti il presidente americano Jimmy Carter annunciò il boicottaggio statunitense per le Olimpiadi di Mosca, in risposta all’invasione sovietica dell’Afghanistan iniziata a dicembre dell’anno precedente. Sull’onda dell’esempio americano furono 65 le nazioni che boicottarono l’evento, mentre altre, fra cui l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna, decisero di inviare solamente gli atleti non appartenenti ai gruppi militari, presentandosi senza bandiera né inno nazionale. L’Unione Sovietica, che quattro anni dopo avrebbe “restituito il favore” agli Stati Uniti boicottando le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 assieme da altri 15 paesi del blocco sovietico, dominò il medagliere (195 medaglie vinte, di cui 80 d’oro), dove a farla da padroni furono proprio i paesi dell’est: dopo i russi vi furono infatti la Germania Est, la Bulgaria, Cuba, l’Italia (unica nazione “occidentale”), l’Ungheria e la Romania. Da ricordare sportivamente in quell’anno anche il “Miracle on Ice”, l’incredibile vittoria della squadra americana di hockey su ghiaccio sui favoritissimi russi alle Olimpiadi invernali di Lake Placid.
Nel tennis, il 1980 ci regalò quello che da molti è considerato il più grande match di tutti i tempi: domenica 5 luglio, a Wimbledon, lo svedese Bjorn Borg sconfisse in finale al quinto set 1–6, 7–5, 6–3, 6–7(16), 8–6 l’americano John McEnroe, aggiudicandosi per la quinta volta consecutiva il torneo inglese, record che verrà eguagliato 27 anni dopo da Roger Federer. Quel successo, unito al quinto trionfo al Roland Garros e alla finale agli US Open, permise a Borg di chiudere per il secondo anno consecutivo al numero uno del mondo, proprio davanti a McEnroe.
Ma guardando per intero la lista dei top100, notiamo che il dominio americano fu pressoché totale: gli Stati Uniti chiusero l’anno con ben 41 giocatori fra i primi 100, di cui 15 fra i primi 20! Situazione ancora più schiacciante a livello femminile, dove, nella classifica guidata ancora una volta da Chris Evert (nel frattempo diventata signora Lloyd), vi furono 59 giocatrici statunitensi, di cui 6 fra le top10.
Per dare un’idea del dominio statunitense nel 1980, basti pensare che i due n.20 USA di quell’anno, Fritz Buehning e Peanut Louie, chiusero la stagione rispettivamente al n.41 e al n.35 del mondo (oggi il n.20 USA nell’ATP è Michael Russell, n.265 del ranking, nel WTA è Alexa Glatch, n.164).
Anche in questo caso la presenza di tennisti americani fra i migliori del mondo rispecchiò la distribuzione dei calendari ATP e WTA, che videro disputarsi negli Stati Uniti ben 37 tornei maschili (su 101) e 31 femminili (su 53).
A livello maschile furono 27 i paesi rappresentati nella top100 di fine anno del 1980; l’egemonia USA arrivò a discapito dell’Europa, che rispetto all’agosto 1973 vide quasi dimezzarsi i suoi rappresentanti fra i migliori giocatori (da 45 a 24): in particolare crollarono Gran Bretagna e Germania Ovest, entrambe con solo 1 giocatore fra i top100. Le migliori europee furono Francia, Spagna e Italia, tutte con 4 giocatori. L’Australia si confermò come seconda forza, ma scese rispetto al 1973 da 16 a 7 giocatori. Vi fu invece l’esplosione del Sud America, che grazie a 6 nazioni diverse ebbe ben 16 tennisti fra i top100, fra cui 5 argentini (2 top10). Ancora molto marginale la presenza asiatica e africana, con 3 tennisti ciascuno.
L’impennata sudamericana si notò anche a livello di calendario, che quell’anno vide 5 eventi disputarsi lì, contro i 39 europei (7 in Gran Bretagna e Germania Ovest), i 6 australiani e asiatici e i 4 africani (fra cui il torneo de Il Cairo, vinto dal nostro Corrado Barazzutti in finale su Paolo Bertolucci).
Analizzando invece la distribuzione dei 64 giocatori giunti agli ottavi dei 4 tornei Slam di quell’anno anche lì la bandiera Stars & Stripes sventolò incontrastata: gli USA occuparono un totale di 28 posti, lasciando l’Europa a 17 e l’Australia a 10. Ancora una volta il Roland Garros fu il torneo più variegato con 10 nazioni diverse con giocatori al quarto turno, mentre agli AO furono solo 4, di cui 8 americani e 6 australiani (il record dell’Era Open è degli Australian Open del 1972 e del 1979 con solamente 2 nazioni presenti agli ottavi maschili).
A livello femminile lo strapotere USA ridusse a solamente 13 i paesi rappresentati nella top 100: anche qui l’Australia si confermò seconda forza con 9 tenniste (2 top10), seguita dalla Gran Bretagna con 6. Il Sud Africa ebbe 4 tenniste fra le 100, mentre le europee Germania Ovest, Svezia, Romania e Svizzera 3 a testa. Nessuna traccia di nazioni importanti quali Francia, Italia e Unione Sovietica. In generale l’Europa ebbe 25 tenniste nelle prime 100, solamente 2 in meno rispetto al novembre del 1975, l’Africa 4 (la metà di cinque anni prima), e l’Asia solamente una, la coreana Duk Hee Lee.
A livello di calendario le tappe europee furono 11, 1 in meno del 1975, 3 in Australia e ben 6 in Asia, mentre nessun torneo WTA venne disputato in Africa.
Gli Stati Uniti occuparono 26 posti negli ottavi Slam, affermandosi anche qui sull’Europa, ferma a 21, e l’Australia, 13. Curiosamente questa volta fu l’Australian Open il torneo con più nazioni con giocatrici agli ottavi 10, mentre Wimbledon si fermò a 5.
Nel prossimo appuntamento analizzeremo i dati del 1990 e del 2000, osserveremo gli effetti della caduta del muro di Berlino sul nostro sport e il conseguente progressivo allargamento mondiale del circuito sia a livello di giocatori che di calendari. Nuovi paesi si affacceranno alla ribalta del tennis mondiale, e l’Europa firmerà uno storico sorpasso ai danni degli Stati Uniti.
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Prossimamente su Ubitennis:
– Atto II (gli anni ’90 e il 2000: la caduta del muro e la fine della guerra fredda rendono il tennis uno sport globale)
– Atto III (2010 e 2015: Europa e USA continuano a dominare, ma i calendari si spostano sempre più verso oriente)