Ci sono carriere sportive interrotte sul più bello per via di un infortunio, altre mai decollate perché, come recita un cliché vecchio come il mondo, non basta il talento ma è necessario che con esso convergano in un unico punto abnegazione, fortuna e capacità di scansare le seducenti trappole disseminate lungo la via del successo.
Alcuni sostengono che prerogativa del Campione sia quella di avere un’apertura mentale tutto sommato limitata, che fa il paio con una grande capacità di restringere il campo d’azione unicamente agli obiettivi sportivi: la volontà di concedere una parte di sé alla scoperta delle ambiguità esistenziali sarebbe tanto lodevole quanto pericolosa (e per questo inusuale) per chi necessita di una vita semplificata al massimo, tributaria esclusivamente delle vicende di campo.
Altre volte, ed è il caso di Kathleen Nunneley, la leggendaria tennista neozelandese di cui ci accingiamo a narrare le gesta, il rifiuto del successo planetario nasce dall’esigenza di realizzarsi nel particolare, in una ristretta, intima cerchia il cui sostegno compensa le mancanze di una vita, in questo caso familiare, infelice. Nunneley, inglese di nascita, trovò il suo piccolo, appagante mondo in Nuova Zelanda. Perché non sempre è vero che, come sosteneva Karl Kraus, l’origine è la meta.
Le gesta di Kate Nunneley, confinate in un’epoca (primi del ‘900) in cui i viaggi da un capo all’altro del mondo erano lunghi e complicati, hanno contribuito a trasformare la tennista di origini inglesi in una leggenda dello sport della Nuova Zelanda tutt’ora celebrata: il 21 giugno del 2012 è stata introdotta nella Sports Legends of Wellington, la Hall of Fame delle stelle sportive neozelandesi, insieme alla campionessa di netball Margharet Matenga e a Philip Rush, che nel 1985 stabilì il primato della doppia traversata della Manica.
Come si è accennato, Kathleen Mary Nunneley era di origini inglesi: nacque infatti a Little Bowden, nel Leicestershire, il 16 settembre 1872. Dopo aver mostrato una precoce passione per il tennis, si fa notare vincendo diversi tornei under 15. Nel 1891 si impone nel prestigioso torneo di Brighton, mentre due anni dopo conquista titoli a Liverpool, Leicester, Nottingham, Northampton e Wellingborough. E’ in questi anni che sconfigge più volte Blanche Bingley Hillyard, che in seguito vincerà per ben sei volte Wimbledon. “Se fosse rimasta in Europa avrebbe avuto il suo nome inciso nell’albo d’oro dei Championships“, scriverà l’Evening Post nel 1928.
Nunneley è ormai universalmente considerata un astro nascente del tennis britannico, ma il destino per lei ha in serbo altro: nel 1893 il padre, un droghiere all’ingrosso, si suicida lasciando in condizioni economiche difficili la moglie e i quattro figli. I premi sportivi di quegli anni non fruttano nemmeno lontanamente le cifre di oggi, così nel 1894, a 22 anni, è costretta a emigrare in Nuova Zelanda. Sbarcherà a Wellington il 7 dicembre.
Dopo essersi stabilita nel quartiere di Thorndon, entra nel Thorndon Lawn Tennis Club. Nel dicembre 1895 partecipa al suo primo torneo della New Zealand Lawn Tennis Association: dopo appena un anno è già campionessa nazionale sia nel singolare che nel doppio. A furor di popolo viene selezionata per rappresentare la Nuova Zelanda nei Campionati Intercoloniali del Nuovo Galles del Sud dove vince tutto quello che c’è da vincere.
Ogni volta che Nunneley gioca, il pubblico smette di seguire gli altri incontri e si ammassa nei pressi del campo dove c’è lei. Un comportamento che non passa inosservato, provocando gelosie soprattutto da parte dei colleghi uomini, che peraltro nel quotidiano si diverte a sfidare nonostante sia limitata nei movimenti dall’abbigliamento richiesto alle ragazze. Durante un incontro di doppio misto, gli australiani Percy Colquhoun e Mabel Shaw dirigono tutti i loro colpi unicamente verso di lei, ignorando il lato di campo dove staziona Harold Parker, il suo partner. I neozelandesi vincono lo stesso.
Dotata di un dritto potente, che in un certo senso ha anticipato il power tennis e che sovente metteva in difficoltà il serve&volley delle australiane, mantiene il titolo nazionale di singolare per 13 anni consecutivi, più di qualsiasi altro uomo o donna nella storia della Nuova Zelanda, tra il 1895 e il 1907. A questi si aggiungono 10 titoli nazionali di doppio e nove di doppio misto: due volte con quell’Anthony Wilding che prima di morire durante la Prima Guerra Mondiale farà in tempo a vincere 8 titoli a Wimbledon equamente divisi tra singolare e doppio, due titoli di singolare degli Australian Open e una medaglia di bronzo nel 1912 alle Olimpiadi di Stoccolma. Inutile dirlo, per il tennis neozelandese sono anni straordinari.
Se Wilding diventa una superstar grazie ai frequenti viaggi in Australia e Inghilterra, Nunneley rimane invece in Nuova Zelanda, consacrandosi a livello nazionale. In molti si domandano quale sarebbe stato il suo posto nella storia del tennis se avesse viaggiato di più. Lo farà nel 1909 nell’unica trasferta sportiva cui accetta di prendere parte, quando dopo un lungo e faticoso viaggio guiderà la squadra neozelandese alla vittoria nei Campionati Intercoloniali che quell’anno si disputano in Australia. “Nessuna delle ragazze che abbiamo affrontato deve guadagnarsi da vivere, loro a differenza nostra hanno molto più tempo da dedicare al tennis“.
Già, guadagnarsi da vivere. Se i premi di quegli anni sono assai modesti, in Nuova Zelanda lo sono di più: Kathleen Nunneley, la più importante sportiva neozelandese di quegli anni, per vivere fa la bibliotecaria presso la Wellington Public Library, dove resterà in carica fino al 1935, vale a dire all’età di 63 anni. Lontano dal tennis vivrà la vita di una donna indipendente e finalmente disposta a viaggiare, per diletto: dopo aver visitato l’Inghilterra subito dopo la fine della Grande Guerra tornerà in altre due circostanze, nel 1949 e nel 1953, per seguire dal vivo il torneo di Wimbledon.
Nel 1928 viene nominata membro a vita della New Zealand Lawn Tennis Association: con un gesto unico, decide di donare alla Federazione il “Nunneley Casket“, uno scrigno di legno con dentro le sue 35 medaglie d’oro che vengono fuse in un trofeo, messo in palio per la prima volta proprio nel 1928 e, successivamente, assegnato ogni anno alla squadra femminile vincitrice del titolo nazionale.
Conosciuta per la modestia e sportività, è stata una figura popolare per i neozelandesi. Per i notevoli risultati conseguiti e il suo lavoro appassionato con le giovani leve, è stata nominata membro a vita del suo club di Thorndon. Morirà a Wellington il 28 Settembre 1956, all’età di 84 anni, senza essersi mai sposata. Verso la fine della sua gloriosa carriera, nel 1906, l’Evening Post ha calcolato che, in 11 finali, aveva vinto 1.332 game e persi solo 29. Aveva perso un set solo in due circostanze.