2007. Sembra ieri, ma sono otto anni fa. Wimbledon assicurava la parità di montepremi. Soprattutto grazie all’intervento di Venus Wiliams, che aveva raccolto l’eredità di Billie Jean King (lei, della battaglia dei sessi, tanto per dire) e aveva portato avanti una strenua battaglia in nome di una questione ideologica prima che economica. “Trovo fortemente che la posizione di Wimbledon svaluti il principio di meritocrazia e sminuisca gli anni di duro lavoro che le donne sul Tour devono compiere per diventare delle tenniste professioniste” scriveva Venus per il Times, l’anno prima che il torneo si decise a compiere il grande passo. Dietro la pressione del governo britannico e dell’UNESCO che aveva avviato con la WTA una campagna sulla parità di sesso nello sport, Wimbledon dovette cedere e nel 2007 la prima a beneficiare del montepremi paritario fu proprio Venus Williams. Dopo Wimbledon seguì a ruota il Roland Garros, copiando di fatto US Open e Australian Open che già lo avevano.
Sono passati 8 anni ma la lotta per la parità di sesso da parte delle donne non sembra essere ancora giunta al termine. In questa edizione dei Championships il dibattito è stato riaperto da Caroline Wozniacki, che è stata sorpresa di non giocare nemmeno un match sui grandi palcoscenici di Church Road, relegata sempre ai campi secondari: “Avrei amato giocare su uno dei grandi campi” – ha detto la danese dopo la sconfitta 6-4 6-4 con Garbine Muguruza, sul Campo 2 – “Credo che questo sia il punto; ti alleni duramente e lavori per giocare sui grandi campi. Le donne non hanno avuto realmente l’opportunità qui di giocare sui grandi palchi. Giusto un match femminile programmato sul Campo Centrale e uno sul Campo 1.”
In effetti, in 7 giorni di gioco, soltanto in 3 occasioni vi è stato più di un match femminile sul Centrale (1°-2° giorno e 4°). “Per la maggior parte della settimana, c’era solo un match femminile anche sul Campo 2. È un trattamento completamente differente, questo è quello che posso dire. Credo che molte di noi donne pensino di meritare di giocare di fronte ad una grande folla.”
Le ha fatto eco una delle protagoniste della lotta femminista degli ultimi anni, simbolo vero e proprio che il tennis femminile ha poco o nulla da invidiare al maschile, Serena Williams. “Dovremmo avere una lunga conversazione a riguardo, se davvero vogliamo parlarne. Stiamo ancora lottando per la parità. Abbiamo fatto dei progressi, ma siamo speranzose di farne altri. Abbiamo fatto dei progressi assicurandoci che le donne abbiano più match in programma. Un poco alla volta.”
Atlete come Serena Williams hanno un seguito tale da fare invidia a molti atleti del circuito maschile. Basti dare un’occhiata anche al riscontro mediatico. Un dato che può far riflettere, è quello degli ascolti televisivi della finale degli US Open 2014, dove la finale femminile ha raccolto il doppio di share di quella maschile. Sicuri che le donne siano ancora così noiose e non seguite? “Siamo speranzose di arrivare a quel punto in cui avremo addirittura più match in programma. Non credo sia solo un limite di Wimbledon, abbiamo questo problema con molti altri tornei. Il problema non inizia qui.”
Serena Williams è stata protagonista di un match di alta qualità andato in scena sul Campo Centrale contro Viktoria Azarenka. La bielorussa è uscita sconfitta 3-6 6-2 6-3 ma è stata comunque contenta del risultato: “È andata come è andata, posso dire che è stato un match di grande qualità e non posso rimproverarmi di non aver giocato bene. Oggi abbiamo semplicemente visto perché Serena è la numero 1 al mondo. Avete visto i 24 aces?”
Nonostante il match sia stato molto divertente ed intenso (“Abbiamo messo su un gran bello show insieme, è da un po’ che non si vedeva così tanta qualità nel tennis femminile” ha rimarcato Vika) l’accento è stato poi spostato sul grunting delle due giocatrici che, quando danno vita ad incontri così intensi, lo fanno sentire anche con le urla, tant’è che capitava addirittura che il pubblico in qualche scambio irrompesse in fragorose risate. Ma Azarenka ha avuto il suo bel ridire a riguardo: “Sapete? Sono così stanca di queste domande ogni volta. È così irritante perché anche gli uomini urlano. Mi stavo allenando vicino a Nadal, e lui urla più forte di me, e nessuno lo nota. Perché? Non capisco il perché. Le donne sul campo cercano di dare il meglio di sé e danno tutto e fanno rumore. È questo un problema del tennis?”
Per Azarenka il grunt femminile altro non è che l’espressione dell’impegno e della concentrazione di una tennista. Allora meglio puntare l’attenzione su quanto una giocatrice si impegna per dare spettacolo piuttosto che su quanto forte urla. Se non altro, meglio un’Azarenka che grida perché ci mette l’anima piuttosto che un Nick Kyrgios che sbraita tra sé e sé e smette di giocare nel bel mezzo del match, come è successo contro Gasquet. “Accade in tutti gli altri sport che si gridi. – ha rimarcato Vika – Quindi io credo che forse è il caso di lasciare da parte questi discorsi e non parlarne più, perché non è questo che importa quando due giocatrici sono sul Campo Centrale. Dovremmo guardare ad altro del tipo «Oh mio dio, Serena ha tirato 24 aces, chi degli uomini lo avrebbe fatto in quel match?». Guardate alle cose giuste. Smettete di guardare a quelle ridicole. Lasciate da parte il rumore e come è il suo look, e guardate il gioco. Oggi ne è stata la prova.”
L’accusa di Azarenka guarda più in là del rumore che fanno le sue grida. Avremo anche la parità di montepremi, ma potremo dire che la lotta al sessismo sarà terminata davvero quando, la stampa per prima, smetterà di riferirsi ad una giocatrice come “bella e brava” e di guardare prima alle sue grida che a come gioca.