[2] R. Federer b. [3] A. Murray 7-5 7-5 6-4
Giornata perfetta per giocare a tennis. E non soltanto per la temperatura, ma soprattutto per la straordinaria aria di un fine settimana di campagna. Coppie con l’ombrellino, gruppi di ragazzini middle class in attesa di diventare upper, anziane signore che sorseggiano il te grazie al delicato sole del Kent, tutti a passare del tempo piacevole, “lovely” figurarsi, prima della cena. E in mezzo a tutto questo il Centre Court, con la guglia della chiesetta di Wimbledon in lontananza, pronto ad ospitare quella che in fondo è la migliore partita sul lawn tennis di questi anni. Roger Federer, il Re, il distruttore del passato, il fondatore di una nuova religione, contro il bad boy di casa, il borbottante moccioso, il ragazzo finalmente sposo che ha sempre l’aria di voler essere da qualche altra parte: contro Andrew Barron Murray.
Dopo che Djokovic e Gasquet ci hanno fatto la cortesia di un match decente, alla seconda semifinale si chiedevano grandi cose. Ma nessuno, nessuno poteva immaginare cosa avremmo visto da lì a qualche minuto: discese a rete, passanti, variazioni continue di velocità, lob, schermaglie tattiche. Una serie di highlights a cui non mancava nulla. Il tutto con una percentuale di errori bassissima.
Non era quindi sorprendente, visto che i due non sbagliavano mai, che l’unica palla break (a favore di Murray) fosse arrivata nel primo game, cioè quando i due stavano ancora completando il riscaldamento. Le prime di Federer hanno messo le cose a posto e poi è cominciato appunto lo show. Se Murray non perdeva mai lo scambio al di sopra dei 5-6 tiri, era impensabile fare il punto quando Federer riusciva ad aggredire. Sembravamo dirigerci verso l’obbligato tiebreak – anche se qualche piccola alzata di sopracciglia ci coglieva nell’undicesimo game quando per un’istante è balenata a Federer l’idea di fare il furbetto su una palla chiamata out dal giudice di linea e corretta prontamente da Layhani per evitare il 15-30. Ma niente di che, un ace rimetteva a posto le cose. Ma quando sembrava tutto apparecchiato per il tiebreak Murray regalava qualcosina. Prima un dritto in rete, e poi era sufficiente una seconda per farsi aggredire dal dritto a uscire di Federer, che si procurava le prime palle break della partita. Che erano anche set point. Attacco all’arma bianca sul primo e puntuale passante di Murray; ma sul secondo set point Federer bloccava la risposta e Murray tirava il dritto venendo a rete sul rovescio di Federer. Lo aspettava una micidiale replica di Fed, che tirava un passante sui lacci di Andy e chiudeva il set dopo 38 minuti.
Ma per quanto fosse stato bello il primo set il meglio doveva venire. Il secondo set cominciava con un Fed in gran fiducia che vinceva agevolmente il primo game e andava 15-30 sul servizo di Muzzino. Qui lo scozzese era bravissimo a non cedere campo e a non farsi distrarre da uno strano rumore prodotto da Layhani nell’annunciare il 40-30 (i maliziosi penseranno alle conseguenze di un pasto pesante, noi non commentiamo, visto che poco prima era al ristorante con una strana pappetta davanti, in cui sembrava ci fossero delle cozze…). Nel quarto game però Murray soffriva ancora, Federer si procurava una palla break e la gettava al vento con un rovescio poco complicato che usciva largo di niente. Due buone prime tenevano Andy in partita. Al servizio i due facevano più fatica adesso, anche Federer si trovava indietro di un punto, ma un dritto dei tempi belli e due ottime prime risolvevano il problema. La sensazione era che lo svizzero tirasse in modo più deciso il dritto, quel colpo, che lo aveva un po’ abbandonato gli scorsi anni. Con un livello del gioco che restava altissimo, i due arrivavano sul 5 a 4 Federer. Non sapevamo che stava per iniziare il game più bello dell’era Open, concedete qualcosa all’iperbole.
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Federer si portava sullo 0-30 dopo uno scambio fantastico. Prima reggeva di solo polso col rovescio e poi tirava un dritto strettissimo imprendile per Murray. Il punto successivo il nastro prima dava una mano a Murray e poi gli fermava la palla dalla sua parte. 0-40, tre set point. Sul primo Murray metteva una ace con la seconda; sul secondo Federer sbagliava un dritto in allungo; sul terzo una prima di Murray non veniva controllata dallo svizzero. Murray provava ad uscire dalla buca con uno splendido passante di dritto e la folla – che aveva ripristinato per qualche minuto il “silenzio di Wimbledon” – provava a trascinarlo sul 5 pari. Adesso entrambi giocavano lunghissimo, con la palla che cadeva sempre sugli ultimissimi cm del campo. Ma Federer era incredibilmente solido rispondeva benissimo ad una prima a 130 miglia orarie di Murray e l’errore successivo dello scozzese gli offriva il quarto set point. Murray sbagliava la prima e sulla seconda resisteva al dritto a uscire di Federer che metteva in rete il colpo successivo! Non finiva qui. Ancora una volta Fed non aveva problemi a bloccare una risposta su un’altra super prima di Murray, e ancora una volta lo scozzese metteva in rete il rovescio. Di nuovo seconda lunghissima, scambio splendido chiuso con una palla delicatamente appoggiata nel campo di Federer da Murray. Delirio sugli spalti quando finalmente Murray chiude con un ace il game più bello degli ultimi dieci anni. O forse anche di più, come dicevamo.
Ma la partita doveva continuare. Federer assorbiva il colpo senza fare neanche un plissè e chiudeva a zero il game successivo. Tiebreak stavolta? Macché. Roger con due rovesci spettacolari andava 15-30 e si procurava il sesto set point grazie ad un rovescio in rete di Murray. Stavolta Roger non sbagliava, e chiudeva un altro incredibile scambio con una facile volée alta di dritto.
Avevamo assistito ad un’ora e 35 minuti di gioca semplicemente straordinarie, simili – forse migliori – del Federer-Djokovic del Rg 2011.
Per quanto in quei 100 minuti si fossero concentrati un nugolo di emozioni che può bastare per un intero anno, c’era da giocare anche il terzo set. In un’altra partita, in un’altra cronaca, avremmo raccontato di nove game bellissimi. Qui, considerate le emozioni appena provate, i giochi filavano via quasi senza che nessuno se ne accorgesse. Al decimo game tornava la reincarnazione di nessuno, perché nessuno è stato Roger Federer. Lo svizzero si portava 0-30 con un rovescio che non è giusto raccontare, perché non si racconta la bellezza, si deve vedere e quindi recuperatela in qualche modo. Murray riusciva ad andare sul 30 pari, ma Roger andava a match point grazie ad risposta incrociata di rovescio. Stavolta non c’erano altre emozioni, Murray mandava in corridoio un dritto e la partita si chiudeva qui.
Roger Federer vince una partita di cui parleranno a lungo i nonni ai nipoti, come si usa dire. Partirà domenica senz’altro da favorito contro Novak Djokovic e questo è già una specie di miracolo. Ventisei finali slam, dieci a Wimbledon (mai nessuno così tante nello stesso Slam, neanche Nadal a Parigi), ma se cominciamo con i numeri non finiamo più. Godiamoci questo signore, perché quando non ci sarà più saremo tutti più tristi. Ma questo racconto è giusto che si chiuda con Andrew Barron Murray, fuoriclasse straordinario forse il miglior ribattitore del mondo. Oggi ha avuto una palla break, una misera palla break, nel primo game del primo set. E poi basta. Pensava di dover giocare con un altro fuoriclasse, un grande campione che ha fatto la storia del tennis, ma che insomma è pur sempre un uomo. O forse no.