Dopo Andy Roddick e James Blake, presto anche Mardy Fish, un altro pezzo dell’ultimo team statunitense capace di sollevare la Coppa Davis nel 2007, appenderà la racchetta al chiodo. Fish, classe 1981, in realtà non scese nemmeno in campo nella finale contro la Russia al Memorial Coliseum di Portland, Oregon. Tuttavia appartiene di diritto, assieme ai due già citati Roddick e Blake e ai fratelli Bryan, a quella generazione di tennisti a stelle e strisce che ha dovuto raccogliere la pesantissima eredità dei fenomeni degli anni ’90 e, pur non eguagliandone i risultati, è riuscita a farsi ricordare comunque.
In particolare il nativo del Minnesota, vincitore di sei titoli sul circuito maggiore, si è sempre distinto per il suo gioco brillante e offensivo. Non c’era praticamente nulla che Fish non sapesse fare sul campo da tennis. Realizzava con estrema naturalezza qualunque colpo facendo sembrare facile quello che in realtà è molto difficile. Un talento raro, di solito riservato ai grandi campioni. Mardy però ha spiccato anche per le sue grandi qualità umane: tenacia, sportività e simpatia. È stato più forte di un’aritmia cardiaca e più forte della depressione. Nessuna racchetta lanciata, nessun gesto di maleducazione verso giudici di sedia e avversari, nessuna parola sopra le righe. Si è fatto amare dai suddetti connazionali e coetanei, tanto che Blake è stato testimone delle sue nozze con la modella Stacey Gardner. Un combattente, un gentiluomo, un amico.
Una vita passata ad inseguire una palla da tennis quella di Fish. Nasce appunto a Edina, Minnesota, nel freddo e noioso mid-west. Il padre, maestro professionista, gli infila subito una racchetta in mano e lui comincia a stupire. Alla tenera età di due anni, quando alcuni bambini camminano a malapena, Mardy sa già tirare la palla da fondo campo oltre la rete e una televisione locale celebra questo bambino prodigio. La famiglia si trasferisce però nell’assolata Florida, dove Fish presto conosce alla High School Andy Roddick e Jesse Levine, un’altro futuro tennista professionista, sebbene a livelli decisamente minori. Addirittura, per un certo periodo nel 1999, l’adolescente Fish vive a casa dei Roddick e i due giocano nella stessa squadra di basket e, ovviamente, di tennis.
Dopo una carriera da junior tutt’altro che entusiasmante, Fish passa professionista a 18 anni nel 2000. Il primo titolo a livello ATP arriva in doppio due anni più tardi sulla terra di Houston, insieme al suo amico fraterno Andy Roddick. Il 2003 è la stagione della svolta anche in singolare, con la vittoria sul n.1 del mondo Carlos Moya al secondo turno dell’Australian Open, la finale persa a Cincinnati (al tiebreak decisivo proprio contro Roddick in un match epico), il primo titolo in singolare a Stoccolma e un balzo nella top 20. L’anno successivo c’è la conferma ai vertici ma anche la delusione la medaglia d’oro olimpica sfiorata ad Atene, arrendendosi solo al cileno Nicolas Massu. Il 2005 invece è segnato da un infortunio al polso sinistro, che lo costringe ad operarsi due volte. Le stagioni successive sono vissute tra alti e bassi nel tennis che conta. Fish raggiunge i suoi primi quarti di finale slam a Melbourne nel 2007 e replica il risultato nel 2008 a Flushing Meadows. Nella stessa stagione si segnala anche la finale persa ad Indian Wells contro Djokovic. Dopo un 2009 deludente e condizionato nella fase conclusiva da un problema alle costole, Fish torna a ruggire nell’autunno del 2010, con il titolo ad Atlanta e la finale a Cincinnati, superando in successione Gasquet, Murray, Roddick e piegandosi solo al cospetto di Roger Federer.
Mardy sembra finalmente maturo dal punto di vista tennistico e infatti nel 2011 mette a referto la sua miglior stagione in carriera. Prima i quarti a Wimbledon, poi inizia lo show sulla sua superficie prediletta: il cemento nord-americano. Vittoria ad Atlanta, finale a Los Angeles, finale al Master 1000 di Toronto (sconfitto ancora da Nole), semifinale a Cincinnati e quarti allo US Open. La classifica lo premia in agosto con il n.7, suo best ranking, e con un biglietto per le finals di Londra. Alla O2 Arena fa la comparsa ma il solo fatto di essere lì, nella elite del tennis mondiale, affiancato da campioni che stavano riscrivendo la storia dello sport, è un’enorme soddisfazione per il ragazzo venuto dal Minnesota.
Al torneo di Miami del 2012 accade l’imponderabile. Fish si sveglia di soprassalto in piena notte nella sua stanza d’Hotel con il cuore che pulsa a mille: aritmia cardiaca. Interrompe temporaneamente l’attività dopo che la stessa drammatica patologia si ripresenta a Houston. Non se la sente di mettere a repentaglio la propria vita. Da qualche anno è pure marito della bella Stacey. Si opera e passa momenti psicologicamente molto complicati: difficoltà a prendere sonno e paura di rimanere da solo. Perché il timore che il cuore possa tornargli a giocare un brutto scherzo è tanto. Nonostante ciò conclude più che discretamente la stagione con i quarti a Toronto e Cincinnati. Ma l’ansia e l’angoscia lo perseguitano. Decide di dire basta a Winston-Salem nel terzo set del suo incontro di secondo turno contro il finlandese Jarkko Nieminen. Non ce la fa più il povero Mardy. Si dedica al golf, attività ben più salutare per chi ha sofferto di disturbi cardio-vascolari. Nel 2014 prova a spronarlo l’amico Andy, già ritirato da un paio di anni, proponendogli di giocare il doppio agli US Open. Ma il progetto non si realizza a causa del regolamento sull’antidoping che impedisce a Roddick di tornare a giocare a livello agonistico.
Per Fish disputare di nuovo un incontro di tennis diventa una sfida con sé stesso, contro la depressione, contro gli attacchi di panico. L’ha vinta giocando singolo e doppio ad Indian Wells. Ora è davvero giunto il momento di dire basta. Non c’è nulla da dimostrare a nessuno. Soltanto un mondo, quello del tennis, americano e mondiale, da salutare. E siamo sicuri che all’Artur Ashe Stadium tutto il pubblico ricambierà il saluto, ringraziandolo per le emozioni che ha saputo donargli nel corso della carriera. Farewell, Mardy Fish and good luck for everything!