Nelle università americane gli studenti hanno denominazioni diverse in base al periodo di studio: al primo anno si chiamano freshman, al secondo sophomore, quindi junior e infine senior (quarto anno). La denominazione viene utilizzata anche per coloro che praticano sport, per cui un atleta dell’ultimo anno è un senior, uno del secondo è un sophomore etc etc.
Nel tennis professionistico non è possibile definire con la stessa precisione i periodi di attività, perché le giocatrici cominciano giovanissime con i piccoli tornei ITF, e progressivamente intensificano il numero di eventi a cui prendono parte.
Come si spiega allora la definizione del titolo dell’articolo? E’ un tentativo di individuare fasi differenti all’interno della carriera delle tenniste: ci si può intendere lasciando perdere gli anni accademici e utilizzando invece una suddivisione più elastica, impostata su periodi più dilatati.
In questo caso potremmo paragonare al periodo da freshman la fase degli esordi e delle prime affermazioni, e a quello da sophomore la fase in cui le giocatrici sono ormai stabilmente nel circuito e sono chiamate a confermare i risultati ottenuti.
Ho parlato di “sindrome del sophomore” perché non è infrequente il caso di giocatrici che vivono due fasi quasi opposte. L’inizio è estremamente positivo: successi sorprendenti, rapidi progressi nel ranking e per le migliori l’etichetta di prossime campionesse. Ma poi, anziché confermare quanto ottenuto, subentrano le difficoltà che sfociano in una fase di involuzione.
Uno dei casi più eclatanti è stato quello di Ana Ivanovic. A soli venti anni vince uno Slam (Roland Garros 2008) e conquista il numero uno del mondo; quando sembra avere davanti a sé un luminoso futuro ai vertici WTA va invece incontro ad un periodo nero, fatto di sconfitte al primo turno e conseguente crollo nel ranking.
Ana aveva forse goduto di qualche circostanza favorevole (il ritiro di Justine Henin, che aveva lasciato “vacante” primato in classifica e titolo a Parigi) ma resta il fatto che con il tennis esibito nel periodo migliore, se non il numero uno, avrebbe comunque mantenuto le primissime posizioni, e non sarebbe certo regredita al 65mo posto (luglio 2010).
Più recentemente c’è stato il caso di Sloane Stephens, capace nel 2013 di raggiungere la seconda settimana in tutti e quattro gli Slam (con una semifinale) e di salire a vent’anni sino al numero 11 del ranking; ma poi caduta oltre il quarantesimo posto. Solo da qualche mese sembra sia riuscita ad invertire la tendenza, ritrovando sicurezza tecnica e caratteriale.
L’anno seguente la protagonista di una storia simile è stata Eugenie Bouchard. Cresciuta fino al numero cinque del mondo e descritta come futura stella WTA (due semifinali e una finale Slam nel 2014), è precipitata in una crisi che l’ha completamente destabilizzata (oggi nella Race è 58ma).
Come mai accade questo? Penso che derivi da un insieme di fattori, e probabilmente per ogni giocatrice i diversi elementi hanno una importanza diversa. Provo a suggerirne alcuni.
Se penso ad Ana Ivanovic la prima causa che mi viene in mente è il timore di non riuscire a confermarsi a livelli così alti. Di fronte al nuovo torneo da affrontare, non ci si sente all’altezza delle aspettative; e se l’incertezza supera il livello di guardia, gli errori si moltiplicano.
Per Sloane Stephens a mio avviso la principale ragione è stata la mancanza di entusiasmo per la vita del circuito: la fatica nel mantenere l’applicazione costante necessaria in una attività che non significa solo grandi tornei in cui esibirsi, ma anche duri allenamenti quotidiani e continui spostamenti tra alberghi ed aeroporti.
A proposito di Eugenie Bouchard, secondo me tutto comincia dal disincanto: la scoperta che il mondo non è come lo si era prefigurato nel momento dei successi; la vittoria non è un esito scontato di un percorso di crescita di cui si è protagoniste in modo quasi ineluttabile, ma c’è anche la possibilità della sconfitta, perché ci sono giocatrici capaci di raggiungere livelli altissimi. E forse quei livelli non sono a portata di mano come si credeva.
A questi aspetti se ne possono aggiungere altri quasi inevitabili, tanto che si potrebbero definire strutturali. Innanzitutto il fatto che il tennis è uno sport che esige molto dal fisico: gli infortuni, grandi o piccoli, sono sempre dietro l’angolo, e a volte basta poco per andare incontro a problemi che rendono tutto (allenamenti e partite) più difficile.
Ma nel tennis è fondamentale anche la componente mentale: un conto è scendere in campo senza obiettivi particolari, un altro invece dover giocare con il peso della vittoria obbligata. La spensieratezza di chi non ha niente da perdere è un grande risorsa delle esordienti, e questa condizione non si può avere una volta salite in classifica. È quindi un vantaggio di cui le “sophomore” non possono più usufruire, e non è certo una questione da poco.
Lo stesso meccanismo del ranking, con i punti in uscita ogni settimana, è una fonte di stress per chi cerca di mantenersi al vertice dopo l’anno della grande ascesa.
Poi ci sono le avversarie: quando si esordisce nel circuito maggiore si è poco conosciute, e le giocatrici più forti non analizzano sino al minimo dettaglio le caratteristiche delle ultime arrivate. Ma se qualcuna delle più giovani riesce ad ottenere risultati importanti, le attenzioni si moltiplicano e vengono studiati in profondità pregi e difetti di chi diventa una seria contendente.
In sostanza la concorrenza si fa più accorta e preparata; anche per questo confermarsi è così impegnativo.
Raggiungere grandi risultati significa anche ritrovarsi al centro dell’attenzione. Se prima si era una persona qualsiasi, che poteva muoversi liberamente, programmando le giornate senza impegni extratennistici, dopo i successi importanti cambia tutto: i media chiedono interviste e si interessano anche della vita privata, i tifosi ti riconoscono e reclamano attenzioni, e si presentano gli sponsor; che non si accontentano di fornire denaro in cambio di un marchio in più sulla maglietta, ma richiedono anche la presenza in attività promozionali, impegni per gli spot pubblicitari, etc etc. E tutto questo senza che ci si distragga dal tennis.
Queste difficoltà le hanno raccontate tante giocatrici vincenti; ad esempio Petra Kvitova ha spiegato quanto la sua vita fosse cambiata dopo la prima vittoria a Wimbledon nel 2011 e come fosse stato difficile per lei conciliare il nuovo status con il suo carattere schivo.
Qualcuno dirà che sono tutti problemi ampiamente ripagati sul piano economico, e questo dovrebbe bastare per superare i disagi. Vale a dire: sono complicazioni che tutti vorrebbero avere. Nessuno lo nega, ma mi sembra un po’ schematico pensare che ogni difficoltà si possa eliminare semplicemente tenendo presente che è ben retribuita.
Ricordo che si tratta di ragazze molto giovani, poco più che ventenni, se non addirittura teenager. Di fronte alla stanchezza, alle paure, alla mancanza di entusiasmo, alle delusioni per le sconfitte, la spinta del denaro non può essere sempre sufficiente per confermarsi ad altissimi livelli.
Basta allenarsi un po’ meno bene, avere un minimo di timore in più durante le partite, per scendere nel rendimento rispetto ai giorni migliori. E dato che la concorrenza è agguerrita, un piccolo calo può fare la differenza tra vittoria e sconfitta.
A quel punto si affaccia la crisi.
È finito l’entusiasmo iniziale, arriva lo smarrimento del sophomore. E quando arriva lo smarrimento, spesso le reazioni sono simili; crescono i dubbi, che si fanno sempre più profondi al moltiplicarsi delle sconfitte, e i pensieri cominciano a coinvolgere ogni aspetto della professione: si dubita di sé, ma anche del proprio team. Si decide il cambio di allenatore.
Delle giocatrici che ho citato, solo Petra Kvitova non ha sostituito il coach con cui aveva avuto i primi successi. Ma forse anche perché il suo calo è stato più contenuto (non è mai uscita dalla top ten nella stagione successiva al 2011). Gli avvicendamenti di Ivanovic sono diventati innumerevoli, ma anche Stephens nel suo periodo peggiore ha provato diversi coach. E Bouchard, dopo il divorzio da Saviano, ha già modificato tre volte il team tecnico.
Forse ho un atteggiamento troppo pessimista, ma pensavo a tutto questo mentre seguivo il match tra Garbiñe Muguruza e Lesia Tsurenko nel torneo di Toronto appena concluso. Reduce dalla finale di Wimbledon, Muguruza ha in un certo senso preso il posto di Bouchard come rivelazione di questa stagione.
In Canada al suo ritorno in campo dopo il grande exploit londinese, si è trovata in difficoltà contro una giocatrice proveniente dalle qualificazioni; esattamente come era accaduto a Bouchard l’anno scorso contro Shelby Rogers.
Muguruza stava giocando con un timing sulla palla approssimativo, che le causava errori molto evidenti, e soprattutto con troppa tensione: avanti 5-3 nel primo set ha finito per cedere 5-7. La striscia di game persi si è allungata sino a trovarsi sotto 0-4 nel secondo set. A quel punto Garbiñe ha sfogato la sua frustrazione sulla racchetta, disintegrandola a furia di colpi a terra:
https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=ljgnGOCIYxM#t=0
Forse è stata solo una giornata storta, e in realtà Muguruza non ha ancora concluso il suo primo periodo di affermazione. Anche a Cincinnati però è stata sconfitta al primo match da Shvedova (peraltro in giornata strepitosa).
Cosa accadrà? Per lei è finita la fase da freshman? È presto per dirlo; in ogni caso, rispetto a Sloane ed Eugenie, Garbiñe potrebbe essere più attrezzata per affrontare i problemi, visto che come tennista ha già passato momenti duri nel 2013, quando ha perso metà stagione a causa di una operazione alla caviglia.
Potrebbe avere già imparato sulla propria pelle che la vita nel circuito è fatta anche di periodi negativi, che vanno accettati cercando di mantenere un certo equilibrio. Magari lo ha anche letto a Wimbledon, il torneo di cui è stata recente protagonista, dove è riportata la citazione dalla poesia di Kipling (“Se saprai confrontarti con il trionfo e il disastro, e trattare allo stesso modo questi due impostori”).
Perché per tutte, prima o poi, la spensieratezza e gli entusiasmi per le vittorie iniziali si esauriscono, e arriva il momento di affrontare una nuova stagione tennistica, più impegnativa e faticosa: quella delle conferme, che per essere ottenute richiedono maggiore senso di responsabilità e consapevolezza di sé.