Chi di spada ferisce, di spada perisce, dice il vecchio adagio. Anche se qui le spade son racchette e i fendenti sono i vincenti. Ma il risultato si può dire sia lo stesso. Questa sconfitta fa veramente male a Novak Djokovic, sia per come è avvenuta, sia per il suo peso specifico: anche quest’anno il serbo dovrà rinunciare al sogno di completare il Career Golden Masters, ovvero l’aver vinto almeno una volta tutti i titoli Masters 1000 del circuito ATP. Ed è la quinta finale persa a Cincinnati, un record negativo che non molti possono vantare. Fa ancora più male soprattutto se dall’altra parte c’è Roger Federer, uno che invece, con questa vittoria, di titoli a Cincinnati ne ha collezionati ben 7. Stavolta è toccato allo svizzero spegnere il sogno dell’avversario, dopo che a luglio Novak Djokovic gli aveva infranto la possibilità di vincere un altro titolo dello Slam nel suo giardino, a Wimbledon. E questo è il primo titolo da trentaquattrenne. Ma insieme al titolo c’è di più: Federer riesce, con i punti della vittoria del torneo, a confermare la posizione numero 2 del ranking ATP, difendendosi dalle insidie di Andy Murray. Ora, in vista degli US Open, questo vuol dire che Federer e Djokovic potranno incontrarsi solo in finale. E chissà che anche Djokovic non ne sia grato, visto come è andata a finire la finale di oggi.
[2] R. Federer b. [1] N. Djokovic 7-6(1) 6-3 (Raffaello Esposito)
Cincinnati, Ohio, 23 agosto 2015.
Nei pressi della finale del Masters 1000 omonimo si aggira un signore elegante di 34 anni compiuti, una moglie e quattro figli. E’ svizzero, gioca in modo classico e il suo nome è stato inciso per diciassette volte sulla base dei quattro più importanti tornei del tennis mondiale.
Roger Federer appartiene di diritto alla storia del gioco, e non per le vittorie ma per le sensazioni che ha lasciato indelebili nella memoria di chiunque abbia mai avuto la buona ventura di vedere un suo dritto a sventaglio, una demi-volée di tocco o un chop di rovescio che non rimbalza per poi tramandarlo con gli occhi luccicanti. Indimenticabile per esempio il modo col quale nella finale di Wimbledon 2012 contro Murray fintò prima un drive, poi una smorzata per chiudere invece con un delicato back lungo linea di dritto che lasciò lo scozzese immobile e a capo chino. Nel saggio del 2006 “Federer come esperienza religiosa” l’autore statunitense David Foster Wallace sostiene che i colpi dello svizzero si riconoscono anche seguendo lo scambio ad occhi chiusi, perché il suono della pallina sulle sue corde è sempre diverso da colpo a colpo, lontano dal monotono e costante botto dei picchiatori moderni.
Roger ha battagliato con intere generazioni di campioni, ha posto fine all’epopea di Sampras, ha lottato alla pari con Nadal e ancora oggi impartisce lezioni ai giovani del circuito.
Oltre il net lo attende oggi un tennista serbo che giocava sotto le bombe a Belgrado, uno che forse non ispirerà mai la fantasia degli scrittori ma che ha nel talento atletico, nella forza mentale e nel killer instinct armi formidabili. Novak Djokovic è oggi l’incontrastato sovrano del tennis mondiale perché ha avuto l’umiltà di progredire sempre senza accontentarsi di ciò che madre natura gli ha donato. Nel corso del tempo ha saputo arricchire il suo gioco di attaccante da fondo con soluzioni diverse, cambi di ritmo e discese a rete, che unite alle sue spettacolari doti difensive ne hanno fatto il campione completo che è ora. Nole ha elevato ad arte il motto “fai giocare un colpo in più al tuo avversario” e le occasioni nelle quali le sue strabilianti capacità di recupero hanno girato i match non si contano più.
Roger sa bene che il serbo non è mai morto e certamente ricorda il dritto d’incontro in risposta alla prima col quale Djokovic gli ha annullato un match point nella semifinale degli US Open 2011 prima di risorgere e vincere.
I precedenti dicono venti pari ma contano relativamente, quattro gli incroci nel 2015 con Nole avanti tre a uno e vincitore con marginea Wimbledon un mese e mezzo fa. La distanza due su tre è più consona però all’autonomia fisica dello svizzero che infatti si è imposto nettamente a Dubai.
Federer ha sorvolato il torneo con leggerezza mentre Nole è risorto sia con Goffin che con Dolgopolov, ma tutto questo non conta perché quando il serbo incontra Roger vede rosso e si trasforma.
Pochi minuti dopo le 19 i due finalisti entrano in campo accolti da uno scroscio di applausi e da un cielo azzurro segnato da qualche nuvola candida.
E’ Djokovic che apre alla battuta e dopo due turni tranquilli nel terzo game iniziano i fuochi d’artificio.
Roger va sul 15-40 con un dritto incrociato in risposta seguito da un attacco chip and charge ma il serbo annulla con la prima anche una terza occasione ai vantaggi prima di difendere il suo turno. Lo svizzero domina sul proprio servizio, vuole giocare veloce e cerca la rete appena può e così facendo continua a mettere in difficoltà il numero uno in risposta mancando un’altra palla break nel quinto game. Il livello di gioco è già al massimo, Nole mette a punto il passante ma Federer non smette di essere aggressivo. I turni di battuta del serbo durano quasi cinque minuti mentre quelli di Roger un minuto e mezzo di media ma l’equilibrio non si schioda. Si arriva così al logico tie-break e lo svizzero, come dice Agassi nella sua autobiografia. “va in un luogo che io non conosco”. Strappa quattro punti sul servizio di Djokovic, vola a rete sempre e con un rovescio lungolinea che si stampa sulla riga di fondo scompare all’orizzonte. Sette punti a uno sanciscono la conquista di un set strameritato.
Il serbo è scosso, la superiorità del gioco rossocrociato è sotto gli occhi di tutti e nel secondo game del set anche il servizio lo tradisce consentendo a Roger di scappare sul tre a zero con l’ennesimo turno di battuta perfetto. Federer sta semplicemente giocando ad un livello che non è accessibile ad altri, le gambe lo portano sempre nel posto giusto e il resto è compito del braccio, che oggi non fallisce né trema. Nel sesto game lo svizzero continua a rispondere alla grande e si procura altre tre palle per uccidere l’incontro ma Novak le annulla di puro orgoglio e nel game seguente trascina l’avversario per la prima volta ai vantaggi. Ma Roger oggi è un iceberg e va cinque due col servizio e l’ennesimo assalto a rete chiuso da uno smash. Il tempo di tirare il fiato al cambio campo e durante il turno di battuta avversario e il match perfetto si chiude.
Federer sigilla la cavalcata trionfale con un turno di battuta immacolato che gli consegna il settimo trionfo a Cincinnati ma soprattutto apre una crepa sensibile nelle certezze del serbo alla vigilia dello US Open di New York.