Anche la Pennetta in semifinale, con la Vinci è Big Italy (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)
Due italiani nelle semifinali dello stesso Slam. E’ vero, è successo, è storia. E’ l’ennesimo miracolo delle fantastiche ragazze del tennis italiano. Roberta Vinci e Flavia Pennetta eguagliano agli Us Open, il record di Orlando Sirola e Nicola Pietrangeli al Roland Garros 1960. Soprattutto, Flavia, simbolo della bellezza mediterranea, col sorriso e la grinta di una donna del Sud (made in Brindisi), firma il clamoroso bis, dopo il 2013, schierandosi un gradino sopra Sara Errani (2012) e Roberta Vinci (2015); Maud Levi Rosenbaum Blumenthal, che ci riuscì nella preistoria del tennis, nel 1930, era italiana solo per matrimonio. L’America è il suo Eldorado. Nell’agosto 2009, a Los Angeles, abbattè lo storico muro delle «top ten», anticipando al numero 10 Francesca Schiavone (poi al 4). Qui a New York, «in quest’aria elettrica che carica a mille», ha rilanciato la carriera, nel 2013, quando pensava addirittura al ritiro. L’anno scorso a Indian Wells, ha firmato il primo torneo più importante della carriera. E ancora sul cemento che, le aggiunge un pizzico di potenza e dà rimbalzi giusti al suo gioco a fondo, a Flushing Meadows, piega Petra Kvitova, numero 4 del mondo, dal braccio mancino di qualità e potenza, erede di Martina Navratilova e della grande scuola ceca. Giocando una partita epica di 2 ore 23 minuti, nel caldo-umido di New York che sta per diventare pioggia a catinelle, 32 gradi (35 sul campo) che cuociono la giraffona di Bilovec, bi-regina a Wimbledon. «Dopo aver perso il primo set non pensavo di poter vincere, ho continuato a lottare su ogni punto. In campo contava tutto: il caldo, la tensione, quello che volevi e quello che non dovevi fare. Vincere su un campo cosa è un’emozione incredibile», dirà al microfono in *** campo a Pam Shriver, prima di scappare sottocoperta per la semifinale di doppio insieme a Sara Errar, contro Hingis e Mirza. Solo cinque ore dopo saprà che oggi gioca la semifinale contro Simona Halep
BATTAGLIA I precedenti preoccupavano molto Flavia: tre vittorie iniziali contro una Kvitova ancora bimba, tre sconfitte poi. «Lei ha qualcosa più di me, pub sbagliare, perb, cercherb di essere aggressiva», ragionava bene alla vigilia «Calamity Flavia», colpevole poi in partita di non sfruttare troppe occasioni (2/8 nelle palle break) del primo set, malgrado i tanti regali di Petra (26 gratuiti, 6 doppi falli). «Sì, è vero stava troppo indietro», ammetterà Salva Navarro – coach mancino che prepara al meglio Flavia contro le mancine come Kvitova -, «ma poi è stata la migliore a reagire al caldo-umido che significa aumento di tensione, e tanta fatica in più. Flavia ha sofferto come mai per spuntarla, ha avuto più “palle”». Applaudendo la decisiva reazione sull’1-3 del secondo parziale, quando la Pennetta infila un parziale di 7-0 e poi supera di slancio la ceca a botte di risposte di rovescio, resiste a due feroci spallate per il contro-break e chiude il secondo set 6-4, spostando finalmente il panzer ceco e incassando gli ennesimi errori (43 in due set) che equivalgono alla resa.
CALAMITY FLAVIA «Già svegliarmi era stato difficile, non riuscivo a prendere sonno e quand’ho sentito la sveglia non volevo alzarmi, mi sento ancora assonnata», racconterà Petra che deve trascinare il campo i suoi 182 centimetri e la coscia destra bendata, ed è già molto migliorata fisicamente a dispetto della mononucleosi che ha denunciato mesi fa. «Ma il problema vero è stato Flavia – una bella persona, mi piace, – che ha meritato di vincere: non ha sbagliato (16 gratuiti) ed è stata continua, s’è mossa sempre molto bene e mi ha negato i miei soliti vincenti» (41). Infatti, al rientro in campo, dopo otto minuti di riposino sottocoperta, «la Kvitova accusa un evidente calo fisico», come chiosa il capitano di tutte le nazionali, Corrado Barazzutti (…)
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Dal Sud con furore. Anzi no, con creatività (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
Flavia e Roberta, dalla Puglia con Furore, dall’Italia per riscrivere la storia. La loro semifinale parallela è l’ultima (per ora) pietra miliare posata da una generazione immensa, perché mal nella storia del tennis femminile – e solo una volta nel maschile, nel lontanissimo 1960 con Pietrangeli e Sirola semifinalisti al Roland Garros – eravamo riusciti a piazzare due tenniste insieme fra le ultime quattro dl un “major”. Vinci e Pennetta, 32 anni la prima 33 la seconda, ci sono riuscite a New York, su un cemento che per decenni, quasi un secolo, era sempre stato un territorio ostile per il nostro tennis e che nelle ultime stagioni è diventato una riserva di felicità. Flavia lì si è presa sei quarti e due semifinali, Roberta tre quarti – I primi due persi in un derby azzurro – e ora questa semifinale che può sembrare un Oscar alla carriera, visto che non si era mai spinta così lontana in uno dei quattro grandi tornei.
Stavolta il derby passa fra l’Italia e il resto del mondo, ed è una sfida dal sapore antico, quasi vintage. Non per l’età, ma perla concezione del tennis che muove i colpi delle nostre . Per la loro capacità di variare e confondere, di ragionare tennis davanti ad avversarie che quasi sempre si limitano a picchiare. Roberta da una vita pasteggia sulle lacune altrui, creando geometrie, tagliando le traiettorie, limando e rubando i tempi con il suo servizio slice e i suoi rovesci in back, a cui ha aggiunto in corso d’opera un diritto più robusto. Flavia si è trasformata da giocatrice di ritmo ad artigiana capace anche lei variare tattiche e avvelenare le acque (…)
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Dalla Puglia a New York, Pennetta e Vinci strepitose (Alberto Giorni, Il Giorno-Il Resto del Carlino-La Nazione)
Se ce la fai a New York, ce la puoi fare ovunque. E due irriducibili ragazze pugliesi hanno scalato ancora una volta i grattacieli più alti senza soffrire di vertigini. Dopo la tarantina Roberta Vinci, in semifinale agli US Open c’è anche la brindisina Flavia Pennetta (dall’altra parte del tabellone), che aveva già centrato questo traguardo due anni fa: mai due italiane avevano raggiunto la semifinale nello stesso Slam. Come il buon vino, migliorano col passare del tempo. Quasi coetanee (Flavia è classe ’82, Roberta ’83), a dieci anni già si sfidavano nei tornei regionali e sono state compagne di doppio: insieme hanno vinto il titolo Juniores al Roland Garros 1999. E ora sono la nostra orgogliosa Little Italy.
La Pennetta ha firmato un capolavoro: «Immensa», ha twittato il fidanzato Fabio Fognini. Era sotto di un set e 1-3 nel secondo con Petra Kvitova, n.4 del mondo e due volte regina di Wimbledon, e anche il tifoso azzurro più sfegatato non avrebbe scommesso un dollaro sulla sua rimonta. E invece Flavia, con la pazienza di una formichina, ha disinnescato il potente dritto mancino della ceca, chiudendo in bellezza 3-6, 6-4, 6-2 in 2h23’. Dal 4-4 del secondo set, la nostra giocatrice ha cambiato marcia a suon di risposte aggressive e passanti millimetrici, mentre la Kvitova è calata sempre di più; nel forno dell’Arthur Ashe Stadium, Petra era svuotata di energie e l’ultimo dritto fuori di metri è stato l’errore gratuito numero 60, un’enormità. «Sono felicissima – ha gridato un’euforica Flavia in campo al microfono di Espn –, è incredibile, non pensavo di farcela. Ho lottato su ogni punto pensando solo a spingere il più possibile. Mi sono accorta che lei alla fine era in sofferenza, il match è stato molto duro».
Ma non c’è tempo per esultare, oggi è già tempo di semifinali e Roberta Vinci è attesa da una mission impossible contro la n.1 del mondo Serena Williams, lanciata verso uno storico Grande Slam. E’ la prima volta che Roberta arriva a questo livello in un Major e da lunedì rientrerà tra le prime 30 della classifica: un premio meritato. «E’ una ricompensa per il duro lavoro svolto quando i risultati non arrivavano», ha spiegato. Serena Williams è reduce dalla partita del cuore contro Venus, battuta come da pronostico 6-2, 1-6 6-3; era assai improbabile che proprio la sorella le avrebbe fatto lo sgambetto a un passo dal sogno di una vita. I precedenti con la Vinci sono 4-0 e la tarantina al massimo ha racimolato sette game un mese fa nei quarti a Toronto.
«Per affrontarla scenderò in campo con il casco – ha sorriso Roberta –. A Toronto avevo giocato bene e Serena mi aveva fatto i complimenti. Dipende tutto da lei, è la più forte. Dovrò essere aggressiva e sperare in qualche suo errore». Difficile che Serena la sottovaluti: «La Vinci è una buona giocatrice – le parole della statunitense –, a Toronto non immaginavo che lottasse così. E’ un bene che l’abbia affrontata di recente, così so cosa aspettarmi».
Nella città che non dorme mai, sognare a occhi aperti non è proibito.
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Da dove viene tutta la forza delle ragazze degli anni 80? (Claudio Giua, repubblica.it)
Oggi la storia del tennis italiano si ferma nell’infuocato Arthur Ashe Stadium. Dove, appena s’abbasserà la temperatura, dovrebbero appendere una targhetta, magari minuscola, a ricordare l’evento. Avremo due connazionali (uso volutamente un vocabolo unisex) nelle semifinali di uno dei quattro tornei maggiori. Roberta Vinci tenterà domani nella più difficile delle missioni: fermare la corsa di Serena Williams verso la finale del Grande Slam. Flavia Pennetta, che ha battuto oggi Petra Kvitova per 4-6 6-4 6-2, ripete l’impresa degli UsOpen 2013. Ed entra di diritto tra le atlete azzurre più vincenti di sempre.
Flavia Pennetta ha seguito il consiglio di Roberta Vinci: mantenere la calma. A 25 anni Petra Kvitova è una delle più titolate giocatrici del circuito. Dopo la strepitosa stagione 2011, quando fu numero 2 WTA dopo aver conquistato sei titoli tra cui quello degli Championships, la ceca ha vinto due o tre tornei ogni anno compreso Wimbledon 2014 e le FedCup del 2011, 2012 e 2014. Per contrastare il suo diritto a uscire, la facilità nel piazzare palle molto profonde e la micidiale efficacia nella risposta al servizio, la brindisina ha scelto di non accorciare – come mi sarei aspettato – ma di tenere lo scambio fino all’errore dell’avversaria. E’ la filosofia tennistica del suo coach, lo spagnolo Salvador Navarro, secondo il quale “Flavia deve spingere sempre”. Spingere senza sbagliare, ovviamente, e mantenere vincianamente la calma.
Mancina non velocissima, Petra soffre questa scelta tattica, concedendo 8 occasioni di break nel primo set di cui però solo 2 trasformate da Pennetta. Più efficace e fredda nei momenti clou, la numero 4 WTA ne ha 6 e ne sfrutta la metà. Come fanno quegli amministratori delegati che guardano più ai numeri che alle persone, il 4-6 subìto da Flavia si potrebbe spiegare anche solo così, con le cifre. Il suo temporaneo passaggio è invece tutto umano, mentale: sotto 4-5 subito dopo aver recuperato un break, avanti 40-0 al servizio, l’azzurra si rilassa, si vede rosicchiare il vantaggio e poi superare: scoraggiata, commette un doppio fallo che sancisce il parziale negativo.
All’inizio del secondo set Kvitova mantiene la prevalenza al servizio e aumenta, se possibile, la capacità di recuperare nelle situazioni difficili, salvandosi all’ultimo tuffo in molte occasioni. Sono tuttavia davvero troppi suoi errori – 60 a fine partita contro i 16 di Pennetta – che vanificano la larga prevalenza nei vincenti: 41 a 21. Verificando in tempo reale questa statistica, capisco che l’italiana ce la può fare.
Al servizio sul 5-4 per prendersi il set, Flavia spreca malamente la prima occasione con un diritto in slice fuori misura. Ma stavolta non si lascia andare e trasforma la terza palla di break. Come peraltro il bilancio prima di oggi dei match, tre a testa, tra Pennetta e Kvitova (l’italiana però non prevaleva dalla semifinale di FedCup 2010), anche il terzo set è equilibrato fino al quinto game. È lì che Flavia accelera e ottiene il primo break approfittando anche dell’affaticamento di Petra, reduce dalle terapie per la mononucleosi contratta in primavera. Il secondo break arriva sul 4-2. Al servizio per il match, non sbaglia nulla e vince con merito.
Flavia ha compiuto 33 anni il 25 febbraio, eppure è solo la terza più anziana delle otto approdate ai quarti di finale. Più “vecchie” di lei sono Venus (35) e Serena (34). Roberta Vinci è di un anno più giovane, 32, Viki Azarenka ha 26 anni, Petra Kvitova 25, Simona Halep 24, Kiki Mladenovic 22. Venticinque anni fa le otto semifinaliste degli UsOpen erano molto più giovani. Gabriela Sabatini, poi vincitrice, aveva allora 20 anni. L’altra finalista, Steffi Graf, 21. Le altre (Arantxa Sanchez, Mary-Joe Fernandez, Jana Novotna, Leila Meskhi, Manuela Maaleva e Zina Garrison) stavano tra i 19 e i 27. L’età media del 2015 è appena sotto i 29 anni, nel 1990 era di 21 e mezzo: oltre sette anni in più in cinque lustri.
Se si calcolano le età medie dei “quartifinalisti” maschi di Flushing Meadows 2015 vs. 1990, il risultato non cambia. Quattro degli otto che quest’anno hanno lottato per l’ingresso alle semifinali sono oltre i 30 (Roger Federer e Feliciano Lopez 34, Wawrinka e Tsonga 30), gli altri di poco sotto: Richard Gasquet e Kevin Anderson 29, Novak Djokovic 28 e Maric Cilic 27. Venticinque anni fa i soli over 30 erano John McEnroe (31) e Ivan Lendl (30), gli altri erano ragazzini: Pete Sampras, poi vincitore del torneo, 19 anni, il finalista Andre Agassi e Andrej Cerkasov 20, David Wheaton 21, Aaron Krickstein e Boris Becker 23. Media: appena sopra i 24 contro 30. Sei anni in più (…)
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La vittoria più sofferta di Serena (Gianni Clerici, La Repubblica)
Non appena ho visto l’abbraccio di Venus a Serena, dopo che quest’ultima l’aveva battuta, sono rimasto incantato da quella immagine, e mi sono chiesto se un fotografo sensibile, l’italiano Gianni Ciaccia, o l’americano Art Seitz, avessero scattato in tempo una foto indimenticabile. Perché? Ma perché ho pensato di scrivere due lettere. Una a Todd Martin, una a Vito Tongiani. Chi sono costoro? Todd Martin è stato un campione, ora Presidente della Hall of Fame, e ha un’ottima cultura Vito Tongiani è lo scultore che vinse il concorso indetto dal mio amico e partner di doppio Chatrier, per scolpire le statue dei Quattro Moschettieri francesi che adornano la Piazza del Roland Garro e, in seguito, il bassorilievo della mia amata Suzanne Lenglen, la campionessa priva di biografia, che mi costrinse a scriverla.
L’abbraccio mostrava qualcosa che non ho mai visto su un campo di tennis. La stupenda Venus aveva fatto del suo meglio per vincere, non ci era riuscita, e il suo sorriso era dolcissimo, addirittura felice, non per aver perso, ma perché sua sorella piccola aveva vinto. Sarà certo inesatto, magari grottesco, scrivere “sorella piccola”, a proposito di un’atleta quasi deformata dall’eccesso dei muscoli, a stento contenuti dall’abituo- cio rosa-nero, quale Serena. Ma, mentre Serena era raggiante per aver superato la partita secondo me più difficile che ancora la separa dal Grand Slam, la sorella sconfitta, dopo un match duro, di gran livello, era felice per lei come fosse stata la mamma. Giusto quanto mi disse Fulvio Scaparro, a proposito di un complesso positivo, tra sorelle, una sorta di complesso materno della più grande. Nella mie due lettere pregherò Tongiani di dedicare parte del suo tempo e del suo talento ad una statua che, al contempo, pregherò Todd Martin di richiedergli. Una statua che rimanga, per mille anni, nel Museo del Tennis di Newport, e che racconti la storia di un match diverso da tutti (…)