Novak Djokovic è indiscutibilmente il n.1 del mondo e ha fatto nel 2015 ancor meglio che nel 2011 quando aveva vinto 3 Slam come quest’anno, ma non aveva disputato 4 finali. Ha battuto Roger Federer, ancora una volta, come a Wimbledon. Non è stata una finale straordinaria, troppi errori, ma ha vissuto momenti di rara intensità già a partire dal secondo set quando Federer ha illuso sulle sue chances recuperando il set di svantaggio. Il set che non doveva perdere se tutti pensavamo che avrebbe avuto chances di vittoria soltanto se avesse avuto un buon avvio, se il match non fosse diventato una maratona. Invece il match è durato 3 ore e 20 minuti e per vincerlo Roger avrebbe dovuto raggiungere il quinto set e stare in campo oltre le quattro ore. Missione impossibile contro un atleta straordinario come Novak Djokovic.
Il serbo ha vinto il suo decimo Slam, il quinto degli ultimi 12 a partire dall’Australian Open 2013, lottando contro un Roger Federer stranamente migliore con il rovescio che non con il dritto: nei 54 errori gratuiti totali, davvero troppi, ci sono 29 dritti e 17 rovesci. Molti di quei dritti sbagliati sono arrivati proprio sulle 19 palle break che Federer, su 23 complessive, non è riuscito a trasformare. Troppe davvero. Chiaro che non potendolo battere da fondocampo e nei palleggi prolungati, Roger fosse costretto a prendere rischi. Anche rischi eccessivi. Doveva variare di continuo, venire avanti anche su palle sulle quali normalmente non sarebbe mai venuto fino a poco tempo fa, direi quasi fino a Cincinnati quando si è inventato quel colpo d’approccio che è stato ribattezzato dagli americani SABR, “sneaky attack by Roger”. Ma lo stress di doversi inventare sempre qualcosa di nuovo e di diverso per cercare di abbreviare i punti al massimo, e contro un giocatore che non solo risponde meglio di chiunque altro al mondo – e quindi scoraggerebbe qualunque “serve&volleyer player” – ma che ha anche nel passante sia di dritto sia di rovescio due armi formidabili, ha fatto sì che Roger abbia commesso tantissimi errori… apparentemente gratuiti. E con il colpo con il quale intendeva osare di più, il dritto: 29 errori di dritto a fronte di 17 di rovescio, sottolineano quanto sto dicendo. Se poi andassimo a vedere come ha sbagliato 19 delle 23 pallebreak, pur dando tutti i meriti possibili a Djokovic che serviva meglio nelle pallebreak che negli altri punti – non è che la sua percentuale di prime palle sia straordinaria, il 62 per cento, significa 2 prime palle su 3, ma se avesse osservato quella percentuale anche sulle pallebreak vi assicuro che avrebbe subito molti più break dei 4 patiti. Contro questo Djokovic, penso, per Federer che non può umanamente continuare a migliorare – sottolineo l’avverbio umanamente – sarà sempre più difficile trovare strada in match tre sets su cinque.
Quando Novak vinse l’Australian Open a gennaio scrissi – sollevando aspre critiche – che Novak poteva diventare il dominatore dei prossimi anni del tennis. Lo dicevo, e lo sostengo con maggior forza oggi, a seguito dell’inevitabile declino atletico di Roger – se sbaglia tanti dritti è anche perché ci arriva, al di là dello stress sopra enunciato per il suo dover inventare ogni volta qualcosa di nuovo e sorprendente, con quell’attimo di ritardo che contro un mostro come Djokovic ha pesanti riflessi negativi– dell’appannamento di Rafa Nadal che non sappiamo se tornerà mai quello che era, della crisi di identità di Andy Murray che, dacché si è operato alla schiena e si è sposato o si è imborghesito un tantino oppure attraversa un evidente periodo di involuzione tecnica e morale (salvo poche settimane l’anno). Ma Djokovic è anche un mostro di continuità. Ha imparato ad amministrarsi meglio, non gioca tutti i tornei che giocava prima, si nutre con attenzione, si allena con certosina metodicità.
Un’osservazione mi voglio concedere sulla partita di stasera. Forse oggi ci siamo imbarbariti, c’è meno fairplay, la gente è abituata a gridare anche via chat (con la maiuscole), l’educazione è quella che è anche attorno ai campi da tennis, ma a mia memoria neppure gli avversari di Jimbo Connors, John McEnroe, Pete Sampras e Andre Agassi si erano trovati a fronteggiare un tifo così a senso unico, scatenato e in fondo ingiusto, come quello patito da Novak Djokovic. Ho ammirato Novak non solo naturalmente per la vittoria n.21 che gli consente oggi di pareggiare il conto delle sfide dirette con Federer, 21 a 21, ma anche per il modo in cui ha accettato – almeno ufficialmente sia sul campo sia nella conferenza stampa di fine torneo – il fatto che non meno di 26.000 dei 26.420 presenti gli facessero un tifo contro esagerato, direi irrispettoso, da stadio di calcio. Si può tifare qualsiasi giocatore, non si deve tifare contro. Federer è un mito ovunque, gioca sempre come se fosse in casa per un match di Davis della Svizzera, ma questo non deve significare che si possa fare il tifo contro il suo avversario in maniera smaccata, disturbandolo perfino quando sbaglia la prima di servizio – giù applausi – e quando sta per servire la seconda (ho sentito io gridare “double fault“, invocando il doppio fallo). “Ho cercato di concentrarmi su quelli che hanno sostenuto me – mi ha risposto con un sorriso quando glielo ho chiesto – non posso criticare il pubblico. Al contrario è logico aspettarsi che un grande campione come Roger abbia la maggior parte del sostegno quando gioca. Io gioco a tennis, poi gli spettatori tifino per chi vogliono”.
Non è stata una gran partita perché secondo me il Djokovic di questo US Open, a dispetto del suo secondo trionfo in sei finali, non era il miglior Djokovic e Federer, come detto, era sì arrivato alla finale sulla scia di 18 set vinti consecutivamente, con due soli break subiti in tutto il torneo (da Kohlschreiber e di fila), ma – giunto dopo sei anni alla finale dell’US Open e a digiuno di un successo in uno Slam da Wimbledon 2012, 3 anni e mezzo – era evidentemente teso e tutt’altro che sereno. Altrimenti non avrebbe cominciato – forse proprio perchè sapeva, capiva quanto fosse importante sottrarsi ad una falsa partenza – subendo due break a 30 già nel terzo e nel settimo game del match, cioè quanti ne aveva subiti in tutto il torneo! Il bilancio del servizio, 11 aces e 5 doppi falli, non è particolarmente significativo quanto la percentuale abbastanza modesta di prime palle, il 64%, un lusso che contro Djokovic – che infatti gli ha strappato il servizio 6 volte – nessuno si può permettere.
Il pubblico si è entusiasmato per i suoi colpi vincenti, perché indubbiamente al di là che fossero giocati dal tennista più amato, erano più creativi e spettacolari, e al termine del secondo set l’Arthur Ashe Stadium era una bolgia infernale. Ci si chiedeva quanto avrebbero potuto urlare a gridare così. E quasi ad ogni palla break per Roger c’era una standing ovation almeno di una parte del pubblico. Ma quando Roger ha mancato nel terzo set la pallabreak del 5-3 – in particolare la prima delle due, con un dritto elementare cacciato fuori per troppa foga – e ha poi pagato la pena del contrappasso cedendo il servizio nel game successivo (come spesso accade) mandando Djokovic a servire sul 5-4 in un game in cui era stato avanti 40-15, senza poi dimostrarsi in grado di strappare la battuta al serbo nonostante il 15-40 e le due palle per il 5 pari, beh lì si è capito che il nome del vincitore non poteva che corrispondere a quello di Novak Djokovic. Anche la gente si è acquietata. Che Roger potesse recuperare un handicap di due set a uno al n.1 del mondo che avanti due set a uno aveva vinto negli Slam 31 (o 32? cito a memoria…) match di fila, beh non ci avrebbero creduto probabilmente neppure Severin Luthi e Stefan Edberg, i suoi due mentori.
Per ritrovare l’ultima finale al quinto set vinta da Roger Federer bisognava risalire addirittura a quella di Wimbledon 2009 vinta su Andy Roddick 9-7 al quinto. Ma con Roddick, ricorderete, non è che si scambiasse granchè. Non si doveva certo far fatica a strappargli un punto come contro Djokovic cui il punto lo devi fare cinque volte. E, comunque, da allora sono passati 6 anni e mezzo. Roger aveva allora l’età che ha oggi Nole. Non sono dettagli secondari, vero? A fine terzo set Roger aveva già fatto di corsa 2649 metri. Ed è una corsa a scatti, che ti brucia energie. Non una sul ritmo del mezzofondista. Un piccolo trauma Roger lo ha subito ed avvertito, con la perdita di quel terzo zet che poteva essere suo. Difatti ha perduto subito la battuta nel primo game del quinto, e poi è stato costretto a rincorrere. Stress in più. Già all’inizio del terzo set si era trovato nella stessa condizione. E nel primo, come ricordato poc’anzi, idem. Non crediate che siano particolari trascurabili. Occorrerebbe cercare di ridurre il più possibile i momenti di tensione, in match come questi, e Roger ha un tantino il vizio – se posso permettermi di dirlo senza poter citare a memoria una statistica che ho letto di recente sul suo conto – di perdere un tantino il focus all’inizio di un set. Con quelli più scarsi se lo può permettere, con un Djokovic che anche quando non è al massimo non molla mai… invece no. Fatto sta che in questa strana partita, in cui comunque Roger le pensava tutte pur di variare i suoi schemi e di mettere in difficoltà Novak, dopo quel break le palle break erano già state 29. Un numero esorbitante se pensate a quante volte avete letto di match giocati e vinti dall’uno e dall’altro senza concedere la minima palla-break.
Sul 2-3 nel quarto set sul mio taccuino avrei registrato il 50mo errore gratuito di Roger! E proprio lì sarebbe arrivata la prima delle 4 pallebreak non trasformate da Roger: l’ennesimo dritto che sarebbe valso il 3 pari. Ma lui e in 26.000 hanno continuato a sperare e sognare, fino a che anche le 3 pallebreak sul 4-5, dopo i due break consecutivi nel settimo e nell’ottavo game quando Djokovic ha servito per la prima volta per il match e il suo decimo Slam, sono svanite nel nulla e soltanto le prime due con Federer del tutto incolpevole.
Tre ore e 20 minuti e il dritto finale di Novak ha sancito il verdetto: il n.1 del mondo è lui, nessuno riesca a scalfire la sua superiorità quando conta davvero. Se procedesse alla velocità di crociera dei suoi due anni migliori, 2011 e 2015, e vincesse 3 Slam l’anno ecco che arriverebbe a quota 16 Slam a 30 anni (quattro meno di Federer). Ma se vincere 3 Slam l’anno non è davvero uno scherzo, c’è chi si sentirebbe di scommettere che Novak non ne vincerà almeno due su quattro l’anno prossimo e – se non spunta qualche fenomeno all’orizzonte – due anche l’anno dopo? Beh questo significherebbe che in quest’ipotesi non particolarmente azzardata Novak raggiungerebbe Rafa Nadal (se lo spagnolo non si riprenderà per vincere almeno una volta ancora il Roland Garros) a quota 14. Mentre in quella più “ottimistica” – che non prevede la realizzazione del Grande Slam… perché dopo quanto accaduto a Serena Williams con la Vinci ci andiamo tutti più cauti – Novak arriverebbe a 16 e a un tiro di schioppo da Roger Federer.
Chissà se coloro che mi hanno criticato tanto quando scrissi a Gennaio che per Novak Djokovic il traguardo di superare Nadal e di avvicinare se non sorpassare Federer, potrebbero ribadire anche oggi i loro concetti. Io li inviterei alla prudenza. Ma poi, per carità, scrivano qui quello che pensano. Ubitennis esiste proprio per ospitare il parere di tutti. Se da me dissenziente… ancora meglio. Quando espresso in toni civili.
Il video commento di Ubaldo Scanagatta e Steve Flink:
L’audio dell’intervista a Novak Djokovic: